SOLSTIZIO
D ‘INVERNO
LA RINASCITA DEL MONDO
Mentre l’anno volge al termine, nelle terre dell’emisfero boreale a clima
temperato le notti si allungano e le ore di luce sono sempre più brevi, fino al
giorno del Solstizio invernale, il 21 dicembre. Solstizio, dal latino “sol stat”, “il
sole si ferma”. E difatti il sole per circa tre giorni sorge sempre nello stesso
punto. Il respiro della natura è sospeso, nell’attesa di una trasformazione, e il
tempo stesso pare fermarsi. E’ uno dei momenti di passaggio dell’anno, forse il
più drammatico e paradossale: l’oscurità regna sovrana, ma nel momento del
suo trionfo cede alla luce che, lentamente, inizia a prevalere sulle brume
invernali. Dopo il Solstizio, la notte più lunga dell’anno, le giornate
ricominciano poco alla volta ad allungarsi. Come tutti i momenti di passaggio, il
Solstizio d’Inverno è un periodo carico di valenze simboliche e magiche,
dominato da una costellazione di miti e di simboli, echi ancestrali di un passato
lontanissimo e dei quali abbiamo ormai perso il significato originario. E
tuttavia, nelle moderne celebrazioni natalizie e di fine anno è ancora possibile
discernere i simboli di tradizioni primordiali sotto la loro attuale veste, cristiana
o consumistica che sia.
Cerchiamo per un attimo di immaginare come viveva l’antica umanità questo
periodo dell’anno, in epoche prive della
tecnologia moderna e nelle quali buio e gelo erano sinonimi di fame e morte.
Dalla Siberia alle Isole Britanniche, passando per l’Europa Centrale e il
Mediterraneo, era tutto un fiorire di riti e cosmogonie che celebravano le nozze
fatali della notte più lunga col giorno più breve. Due temi principali si
intrecciavano e si sovrapponevano, come i temi musicali di una grande
sinfonia. Uno era la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Bambino,
l’altra era il tema vegetale che narrava la sconfitta del Dio Agrifoglio, Re
dell’Anno Calante, ad opera del Dio Quercia, Re dell’Anno Crescente. Un terzo
tema, forse meno antico e nato con le prime civiltà agrarie, celebrava sullo
sfondo la nascita-germinazione di un Dio del Grano...
Se il sole è un dio, il diminuire del suo calore e della sua luce è visto come
segno di vecchiaia e declino. Occorre cacciare l’oscurità prima che il sole
scompaia per sempre.Le genti dell’antichità, che si consideravano parte del
grande cerchio della vita, ritenevano che ogni loro azione, anche la più piccola,
potesse influenzare i grandi cicli del cosmo. Così si celebravano riti per
assicurare la rigenerazione del sole e si accendevano falò per sostenerne la
forza e per incoraggiarne, tramite la cosiddetta “magia simpatica” la rinascita e
la ripresa della sua marcia trionfale. L’inverno era pericoloso, non solo per il
freddo e la scarsità di cibo, ma anche perché vagavano sulla terra spiriti di
defunti, vampiri e licantropi, entrati dal varco che si era aperto alle calende di
novembre, Samhain (l’attuale Ognissanti). In un anno di 13 mesi lunari di 28
giorni ciascuno, resta inevitabilmente fuori un giorno, il giorno senza nome che
rappresenta una frattura nel ciclo del tempo, il ritorno del Caos
primordiale. Il Solstizio è insieme festa di morte, trasformazione e rinascita.Il
Re Oscuro, il Vecchio Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce
dall’utero della Dea: all’alba la Grande Madre ‘Terra dà alla luce il Sole Dio. La
Dea è la vita dentro la morte, perché anche se ora è regina del gelo e
dell’oscurità, mette al mondo il Figlio della Promessa, il Sole suo amante che la
rifeconderà riportando calore e luce al suo regno. Anche se i più freddi giorni
dell’inverno ancora devono venire, sappiamo che con la rinascita del sole la
primavera ritornerà.
I Celti consideravano il sole che si levava fino alla vigilia del Solstizio un
sole-ombra, mentre quello vero era prigioniero di Arawn, re del Mondo-di-
Sotto. Questo vero sole rinasceva dal grembo di Ceridwen, la vecchia Dea-
Strega dell’inverno. Nella tradizione druidica moderna il solstizio prende il
nome di Alban Arthuan, “Luce di Artù”, dove il Dio Sole rinasce in questo
giorno come il re Artù che dorme in una grotta segreta nelle montagne gallesi
si risveglierà un giorno per portare un’epoca di pace e di prosperità.
I grandi monumenti megalitici della preistoria sono testimonianze mute ma
possenti di questa tradizione.A Stonehenge, il cerchio di pietre eretto in
Inghilterra fra il 3100 e il 1700 a.C. il sole del Solstizio sorge all’alba attraverso
il trilite di Sud-Est e proprio sopra la Altar Stone, la Pietra Altare. I costruttori
di dolmen e menhir possedevano una notevole sapienza astronomica e appare
evidente il loro interesse per il solstizio invernale e per la posizione della luna
in questo periodo: si è già visto come il Nuovo Sole era inseparabilmente
legato alla Vecchia Strega lunare, regina dell’inverno. Forse i monumenti
preistorici erano teatro di danze rituali in cerchio che, combinate con le energie
delle grandi pietre, avevano lo scopo di rigenerare i poteri della vita.A
Newgrange, in Irlanda, il simbolismo era più spettacolare: nell’enorme tumulo
eretto verso il 3200 a.C., un raggio del sole che sorge all’alba del solstizio
percorre esattamente un lungo e strettissimo corridoio per illuminare la piccola
cella interna. Molto più tardi, i Celti narreranno che Lugh, dio della luce, era
stato sepolto a Newgrange, tomba e utero della sua rinascita.
Sono numerose le tradizioni che vedono nascere un dio del sole o della luce
in una caverna. Il sole emerge dall’utero-caverna della Dea o, per usare un
altro linguaggio, il buio è l’oscurità alchemica in cui si forma la splendente
pietra filosofale. In una grotta, simbolo del cosmo stesso, nascono Dioniso,
Hermes. Zeus. In Atene il rituale del solstizio erano le Lenee, la Festa delle
Donne Selvagge, in cui si celebravano ad un tempo la morte e la rinascita di
Dioniso. Grotte addobbate di fiori commemoravano la nascita del dio, sacrificato
in precedenza come capretto dai Titani. I Cretesi uccidevano e
mangiavano un toro quale sostituto di Dioniso. E come toro veniva adorato e
sacrificato un altro dio solstiziale, il persiano Mithra, che nasceva il 25
dicembre in una grotta, così come grotte erano i suoi santuari di iniziazione.
In Egitto era Iside a circumambulare sette volte, sotto forma di vacca aurea,
l’altare di Osiride per cercare le parti del suo cadavere smembrato,
raffigurando la ricerca del sole in inverno da parte della Dea. Le case erano
decorate con lampade a olio che ardevano tutta la notte. A mezzanotte i
sacerdoti uscivano dal santuario gridando “La Vergine ha partorito! La luce è
crescente!” e mostrando un’immagine del bambino ai fedeli. La sepoltura di
Osiride, il Vecchio Sole assassinato dal fratello Seth, il dio dalla testa di asino,
avveniva il 21 dicembre.Il 23 Iside dava alla luce il figlio Horus, il Nuovo Sole e
al tempo stesso il Signore dei raccolti.Horus e Osiride rappresentano
contemporaneamente gli aspetti solari e vegetali della divinità, fondendo nel
suo) mito i tre temi mitici del Solstizio e insegnandoci che morte e vita Sono
inseparabili: ogni nuova nascita ci porta più vicini alla morte.Il Vecchio Dio
deve venire a patti con le implicazioni di questa verità perché solo così può
rinascere attraverso il figlio. Il Natale è la versione cristiana della rinascita (lei
sole, fissato secondo la tradizione al 25 dicembre dal papa Giulio I (337 - 352)
I)CF il duplice SCO{)O di celebrare Gesù Cristo come ‘Sole (li giustizia’ e
creare una celebrazione alternativa alla più popolare festa pagana dell’epoca.Il
25 dicembre infatti, quando il nuovo sole è già salito percettibilmente sull’orizzonte,
era a Roma il Dies Natalis Solis lnvicti, la festa in onore del Sole
Invincibile istituita dall’imperatore Aureliano per celebrare il sole quale
manifestazione della divinità che governa il cosmo.La nuova religione cristiana
assorbì gran parte dei significati di questa festa, così come, più tardi, assorbì le
usanze legate alla festività nord-europee di Yule (dal norvegese iul, “ruota’, ad
indicare la vuota o ciclo dell’anno).ella a Roma vi era una festa molto più antica
di quella del Sole Invincibile: fra il li e il 23 dicembre si celebravano i
Saturnali.In ogni città e villaggio veniva nominato un rex Saturnaliorum che
regnava per una settimana fra banchetti, giochi e orge, mentre gli schiavi
prendevano il posto nei padroni e viceversa.I a libertà e il caos non erano altro
che il ricordo della mitica Età del l’oro, un’epoca felice,uguaglianza e
abbondanza in cui aveva regnato Saturno. Solo durante i Saturnali veniva
ammesso il gioco d’azzardo: nomi un semplice svago tua un atto rituale
oracolare, teso ad interpretare la volontà degli dei. La falce di Saturno era in
realtà un lituus, il bastone ricurvo usato dagli àuguri per vaticinare il futuro.E i
dadi dell’antica Roma erano forse il residuo di una antichissimo gioco
oracolare: “sortes’ erano in latino i dadi, nome che rimanda alla lettura dei
destini.La moderna tombola ha ereditato questo valore, con i suoi significati
scherzosi attribuiti ai 90 numeri, mentre ancor oggi fioriscono le vecchie
usanze divinatorie, come quella secondo cui è possibile trarre pronostici sui 1 2
mesi dell’anno a venire osservando 1 2 giorni che separano il Natale
dall’Epifania.Tutti i momenti critici dell’anno, come ormai abbiamo ben
compreso,sono fratture tra i mondi umani e quelli ultraumani, sommo tempi
fuori dal tempo, mm cui passato, presente e futuro si mescolano e di
conseguenza momenti propizi per le arti divinatorie. Gli antichi Greci
chiamavano il Solstizio invernale ‘porta degli dei”, considerandolo il confine tra
il nostro mondo e una dimensione non-spaziale e non-temporale. Per questa
porta si accede ad uno stato super-individuale, divino, il regno degli dei.
Un’altra tradizione tramandata dai Saturnali è quella dei doni: in epoca
imperiale a Roma ci si scambiava lumi accesi, simbolo della luce crescente. Alla
fine dei Saturnali il Rex Saturnìaliorurn era ucciso simbolicamente (o forse
realmente in epoche remote), e Saturno nuovamente legato, perché la frattura
spazio-temporale si era richiusa e l’Età dell’Oro poteva essere instaurata
definitivamente solo alla fine di un intero ciclo cosmico.
Saturno veniva imprigionato da Giove: questo ricorda chiaramente il tema
delle due divinità che si combattono, la metà crescente e quella calante
dell’anno o, come appare in certi miti di origine celtica, il Re della Quercia e il
Re dell’Agrifoglio. Le attuali decorazioni natalizie richiamano l’antica usanza di
mantenere vivo lo spirito della vegetazione con piante sempreverdi. In
analogia al Solstizio d’Estate, anche il Solstizio d’Inverno è ricco di simboli
vegetali.
L’albero di Natale, l’abete, rappresenta in realtà l’Albero del Cosmo delle
mitologie nordiche. Se appendiamo ai suoi rami luci e frutti dorati è per
celebrare il mito solare. L’albero di Natale ha in effetti origini pre-cristiane.Si
attribuisce la sua introduzione a Martin Lutero, nella Germania del XVI0 secolo,
ma la parola tedesca per l’albero non è Kristenbaum bensì Tannenbaum, parola
collegata a Tinne o Glas-tin (gli alberi sacri dei Celti). La parola Tin o Tanne era
usata per una quercia sempreverde (di qui il nome tannino, l’acido estratto
dalla corteccia e usato per la concia delle pelli) e quindi abbiamo un ulteriore
rinvio al Re della Quercia.
L’agrifoglio invece, con le sue bacche rosse allude al sole e ghirlande di
agrifogli simboleggiano la Ruota dell’Anno. In certi luoghi delle Isole
Britanniche un uomo vestito di nero (colore saturnino!) o con la faccia tinta di
nerofumo era il Ragazzo dell’Agrifoglio, la persona designata a entrare per
prima nelle case il giorno del Solstizio. Una mazza di agrifoglio era il bastone di
Saturno con il quale si uccideva un asino durante i Saturnali. Per le loro
associazioni con il Dio dell’Anno Calante, ancora oggi in Irlanda, le decorazioni
di agrifoglio vengono spazzate via dalle case dopo Natale perché porta sfortuna
conservare i simboli dell’anno vecchio. Tinnìe la parola irlandese per agrifoglio
è ritenuta collegata alla parola Glas-Tin che in Cornovaglia significa “albero
sacro”: ciò ha fatto ipotizzare che Glastonbury, la località britannica
considerata il luogo) di sepoltura del mitico re Artù, fosse stata anticamente un
bosco di alberi sacri ove magari crescevano agrifogli e querce.L’agrifoglio era
collegato folkloricamente all’edera, simbolo di vita e di rinascita a motivo della
sua crescita a spirale, e considerato l’arbusto in cui si nasconde lo
scricciolo.Nelle antiche usanze britanniche l’edera era utilizzata come
decorazione natalizia e si combattevano scherzose battaglie a base di canti
satirici tra le Ragazze dell’Edera e i Ragazzi dell’Agrifoglio.[orse ciò
rappresentava uno scontro tra la parte dell’Anno dominata da una divinità
maschile e quella dominata da una divinità femminile. “Fanciulla dell’Edera” era
chiamato l’ultimo covone di grammo mietuto e questo ci conduce al tenia
agrario e cerealicolo del Solstizio.Lo scrittore Robert Graves riteneva clic la
foglia a cinque punte dell’edera simboleggiasse il misterioso gruppo delle
cinque dee dell’antica Britannia, le Deae Matronìae che ricorrono in numerose
iscrizioni dell’epoca romana e che forse presiedevano i duelli solstiziali dei due
Re.Ma è amiche probabile che l’edera rappresentasse il nuovo sole, il Dio
risorto, dato che era una pianta sacra a Dioniso e a Osiride.
Nel fòlklore britannico la morte del Re dell’Anno Galante è tuttora celebrata
cori la caccia e uccisione dello scricciolo (uccello totemico di Saturno) ad opera
del pettirosso, l’uccello dell’Anno Crescente. In certe località irlandesi, il 26
dicembre i “ragazzi dello scricciolo” gira no per le case con rami di agrifoglio,
chiedendo doni. In altri luoghi a girare sono gruppi di musici adulti, con una
piccola effigie di uno scricciolo su un ramo di agrifoglio. Non esistono
corrispondenti tradizioni estive della caccia al pettirosso, anche se la curiosa
credenza irlandese secondo cui i bambini nati alla Pentecoste e ritenuti in
pericolo di vita potevano salvarsi se fra le loro mani veniva schiacciato un non
specificato uccellino, può suggerire il sacrificio rituale del pettirosso simbolo del
Re della Quercia, che si prende la rivincita in inverno. Nei mumming plays
inglesi 5. Giorgio uccide l’oscuro “Turco” gridando poi di avere ucciso il suo
stesso fratello: luce ed oscurità sono complementari e inseparabili, così alla
fine di queste rappresentazioni folkloriche giunge un misterioso “Dottore” che
resuscita con un elisir il personaggio ucciso. Questo equilibrio di buio e luce è
stato distorto nel corso dei secoli in una lotta fra bene e male. In molte località
europee le campane delle chiese per secoli suonarono il “rintocco funebre del
diavolo” nell’ultima ora della vigilia di Natale, avvisando che Cristo stava
arrivando per distruggere Satana. Curiosamente, il soprannome inglese del
diavolo “Old Nick” ci rinvia a Nik, un nome del dio nordico Odino, e a San
Nicola, che nell’antico folklore cavalcava un cavallo bianco nel cielo, proprio
come Odino.Questo santo com’è noto, si è poi trasformato nel Santa Claus
americano, l’odierno Babbo Natale e ultima incarnazione del Dio Agrifoglio,
l’anno calante, il Saturno vecchio e morente ma dispensatore di doni e di
saggezza analogo al dio celtico Bran (e come questo signore del benefico caos
solstiziale). Babbo Natale vive al Polo Nord e il nord è la direzione simbolica
degli spiriti, la terra dei morti. Incidentalmente, in Italia Babbo Natale è
sostituito o affiancato dalla Befana, la strega benefica che altri non è che la
Vecchia Dea come dispensatrice di nuova vita.
Anche la mela, frutto che abbiamo già visto a Samhain (capodanno celtico
così come il Solstizio è il capodanno astronomico), ha giocato un ruolo
importante nelle tradizioni solstiziali. Durante i secoli XIV e XV in molte località
europee venivano appese mele a rami sempreverdi per usarli in
rappresentazioni sacre la vigilia di natale, chiamata nel Medio Evo anche
Giorno di Adamo ed Eva. In queste rappresentazioni sacre i rami con le mele
indicavano l’albero dell’Eden. Ma più importante era il significato della
continuità della vita spirituale che si manifesta nel continuo ciclo delle stagioni.
Nell’epoca più buia dell’anno occorreva mimare il ritorno del sole e un modo
semplice per fare questo era adornare rami di sempreverdi con simboli di
abbondanza, di luce e di primavera, come frutti e candele accese. L’uso delle
mele era molto antico e si ricollegava all’usanza pagana sassone del wassailing
(dal sassone wes hai = essere in buona salute) che consisteva nel recarsi di un
gruppo di persone nei frutteti al Solstizio d’Inverno con un recipiente di
wassail, cioè di sidro bollito e speziato. Il sidro era spruzzato sui rami e versato
intorno alla base del tronco di un albero scelto a rappresentare tutti gli altri.
Danze e canti accompagnavano questo rito che aveva lo scopo di garantire
futuri abbondanti raccolti.
Il Solstizio d’inverno cela tra le sue molteplici manifestazioni anche quelle
legate ad un simbolismo granario. San Girolamo, che visse a Betlemme fra il
386 e il 420, scrisse che là c’era un bosco sacro ad Adone o Tammuz, come era
chiamato in Palestina. Tammuz, amato dalla dea Ishtar, è il tipico dio morente
e risuscitato, Signore della vegetazione e del grano. La religione cristiana
assimilò ben presto questo simbolismo nel sacramento dell’eucarestia. La
risonanza del ciclo del grano con quello del sole si riflette ancora in molte
usanze, come quella scozzese di conservare fino a Yule la Fanciulla del Grano,
la bambola costruita con le spighe dell’ultimo covone mietuto, per poi darla
come cibo al bestiame per farlo prosperare. Oppure nell’usanza, diffusa in
molte regioni europee, di spargere le ceneri del ciocco di Natale sui campi di
grano.
La tradizione del ciocco è quella che, forse più di tante altre, ha fuso in unico
simbolo il mito della luce solare e quello vegetale del dio che muore per
rinascere dalle proprie ceneri. Il ceppo, di solito di legno di quercia (l’albero del
Dio dell’anno crescente, trionfante al Solstizio d’Inverno...), veniva portato
nelle case la sera della vigilia, ornato di sempreverdi e innaffiato di vino, per
essere acceso nel caminetto dal membro più giovane o più anziano della
famiglia (il nuovo o il vecchio sole...) Spento il giorno dopo, veniva riacceso
ogni sera nelle fatidiche 12 notti fino all’Epifania. La cenere era sparsa intorno
all’orto contro i parassiti o sulle travi di casa a protezione dai fulmini. I carboni
erano riaccesi quando minacciava la grandine.Il pezzo che restava era
utilizzato per accendere il ciocco dell'anno successivo, a simboleggiare la forza
della vita che passa da una modalità di esistenza all’altra, in un ciclo senza
fine.
In Scozia e Cornovaglia si bruciava un ceppo cori una figura umana
rozzamente scolpita su di esso, vestigia di un antichissimo sacrificio divino.Il
ciocco ci riconduce al simbolo del pettirosso tramite una curiosa credenza. Il
nome inglese dell’uccello, Robin Redbreast, richiama infatti Robin Hood e Hood
significa ciocc() (li legno.Nel ciocco di legno di quercia si credeva risiedesse
questo spirito.“Cavallo di Robin Hood” era chiamato il pidocchio del legno che
fuggiva quando il ciocco veniva acceso; Robìn stesso fuggiva dal camino in
forma di pettirosso e a Yule muoveva contro il Dio dell’Anno Calante.Per gli
antichi Ittiti il dio Alalu, il cui nome significa ciocco, personificava il destino.Così
il ciocco ci riconduce al significato più autentico della festa solstiziale: il grande
cerchio dell’essere dove buio e luce, mori e vita, passato e futuro si intrecciano
e si trasformano l’uno nell’altro in quella eterna danza cosmica che è il destino
di tutto ciò che esiste.La pianta sacra del Solstizio D’inverno è il vischio, pianta
simbolo della vita in quanto le sue bacche bianche e traslucide somigli ano allo
sperma maschile. Il vischio.pianta sacra ai druidi, era considerata una pianta
discesa dal cielo, figlia del fulmine, e quindi emanazione divina.Equiparato alla
vita attraverso la sua somiglianza allo sperma, ed unito alla quercia, i sacro
albero dell’eternità. Questa pianta partecipa sia del simbolismo dell’eternità che
di quello dell ‘istante, simbolo di rigenerazione ma anche di immortalità. I
druidi tagliavano ritualmente ai solstizi i rami di vischio con unì falcetto d’oro,
strumento che univa in sé il simbolo del sei e quello del la luna.La pianta era
chi amata il tutto-sana (in gaelico irlandese uile-iceadh, in gaelico scozzese uilioc),
medicina universale dono del risanante momento dell’eternità. Ancora
oggi baciarsi sotto il vischio è un gesto propiziatorio di
fortuna e la prima persona a entrare in casa dopo il solstizio deve portare con
sè un ramo di vischio.Queste usanze solstiziali sono state trasferite al primo
gennaio: il Capodanno dell' attuale calendario civile.
CELEBRARE IL SOLSTIZIO D’INVERNO
La natura in questo tempo si riposa per prepararsi a vivere un nuovo ciclo e
anche per noi sarebbe fisicamente opportuna una pausa, approfittando magari
delle vacanze natalizie per
dedicarci alla lettura, alla meditazione, a esercizi di rilassamento.Una cosa
piacevole sarebbe l'idromassaggio, un a pratica rilassante e al tempo stesso
simboleggiante le acque uterine da cui vogliamo rinascere per l'anno a
venire.Purtroppo tutto congiura contro un salutare riposo solstiziale.Infatti
questo p nodo dell’anno, per l'accumularsi di celebrazioni, feste e acquisti di
regali può portare a stress e ansia La forzata allegria, la caduta della routine
quotidiana, il consumismo esasperato, sono tutti elementi che possono
condurre a sentimenti di depressione e isolamento. Sarà la minor quantità di
luce solare, sarà l’essere costretti a mostrare un aspetto felice, ma questo è
uno dei periodi dell’anno con il più alto picco di suicidi. .Iuttavia, se ricordiamo
che questo tempo è quel lo in cui siamo più lontani dal Sole e
contemporaneamente anche consapevoli della sua rinascita, possiamo provare
a trattenere questa piccola luce in noi. Il Solstizio può essere per noi un
momento molto calmo e importante, in cui nella silenziosa e oscura profondità
del nostro essere, noi contattiamo la scintilla del nuovo sole. Questa è anche
una opportunità per gioire e abbandonarci a sentimenti di ottimismo e di
speranza: come il sole risorge, anche noi possiamo uscire dalle tenebre
invernali rigenerati. Ci sono tanti modi per celebrare a livello spirituale questa
festa: possiamo decorare la nostra casa con le piante del Solstizio oppure fare
un albero solstiziale. Non un solito albero natalizio, bensì un albero decorato
con tante piccole raffigurazioni del sole. O ancora possiamo alzarci all’alba e
salutare il nuovo sole. Si possono accendere candele o luci per rappresentare
la nascita delle nostre speranze per il nuovo anno. Possiamo anche compiere
una celebrazione più rituale, con l’accensione del ciocco. Anche se non
abbiamo un caminetto in casa possiamo accenderlo nel nostro giardino, o in un
prato insieme ai nostri amici. Si prende un grosso pezzo di legno di quercia e lo
si orna con rametti di varie piante: il tasso (a indicare la morte dell’anno
calante), l’agrifoglio (l’anno calante stesso), l’edera (la pianta del dio
solstiziale) e la betulla (l’albero delle nascite e dei nuovi inizi). Si legano i
rametti al ciocco usando un nastro rosso. Se abbiamo celebrato questo rito
anche l’anno precedente e abbiamo un pezzo non combusto del vecchio ciocco,
accenderemo il fuoco con questo. Si dice: “Come il vecchio ciocco è
consumato, così lo sia anche l’anno vecchio”. Quando il ciocco prende fuoco si
dice: “Come il nuovo ciocco è acceso, così inizi il nuovo anno”. Una volta che il
fuoco è acceso osserviamo le sue fiamme e meditiamo sulla rinascita della luce
e sulla nostra rinascita interiore. Accogliamo le nostre speranze, i nostri sogni
per il futuro e salutiamo questa luce dicendo: “Benvenuta, luce del nuovo
sole!”. Brindiamo con vino brulè (in sostituzione del wassail nord-europeo) e
consumiamo dolci, lasciando una parte del nostro festino per la Madre Terra.
Se sono con noi amici e familiari doniamo loro rami di vischio. Più tardi le
ceneri del ciocco potranno essere sparse nel nostro giardino o nei vasi delle
piante che teniamo in casa per propiziare la salute e la fertilità della
vegetazione.
Un modo simpatico per celebrare il Solstizio di inverno è quello del ramo dei
desideri, un rituale della tradizione celtica bretone. Nove giorni prima del
Solstizio occorre procurarsi un ramo secco di buone dimensioni, pitturarlo con
vernice dorata e appenderlo nell’anticamera della propria abitazione, con un
pennarello e alcune strisce di carta rossa da tenere lì vicino. Chiunque entri in
casa se vuole, potrà scrivere un proprio desiderio su una striscia di carta, che
verrà ripiegata per garantire la segretezza del desiderio e legata al ramo con
un nastrino colorato. Quando nove giorni dopo si accende il fuoco del Solstizio
(nel caminetto di casa o in un falò nel giardino o nel campo) il ramo viene
sistemato sulla legna da ardere e i desideri che sono appesi ad esso bruciando
saliranno col fumo sempre più in alto, finché verranno accolti da entità celesti e
chissà, forse esauditi.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)