venerdì 14 febbraio 2014

Le origini pagane di San Valentino

da LUPERCUS a San VALENTINO
a cura di Manuela Caregnato 

San Valentino, oggi nota come festa degli innamorati, è una delle tante ricorrenze ormai del tutto commercializzate, le cui origini pagane furono cancellate dalla tradizione cristiana con la sovrapposizione di un santo, e talvolta con la perdita del significato originale della festa.

Come ben sappiamo i popoli antichi, per lo più dediti alla pastorizia e all'agricoltura, tenevano in grande considerazione i momenti più importanti del ciclo della natura, dal suo risveglio, al raccolto, alla nascita degli agnelli e dei vitelli e tutto quanto era connesso ai ritmi della terra e della vita agricola.
Ne è dimostrazione la ruota dell'anno del calendario celtico, ove ogni festività segna un importante momento di passaggio nel ciclo della natura e come conseguenza nella vita dell'uomo che vive a contatto con essa.
E così anche gli antichi romani avevano i loro riti e divinità, con cui celebravano i momenti più importanti del ciclo agricolo e pastorizio.

Ebbene, Febbraio era un mese particolare, che segnava il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile.
Un mese da molte culture dedicato alla purificazione, ma anche il mese in cui si manifestano i primi segni del risveglio della natura.
Le prime gemme erano pronte a fiorire, mentre negli ovili già nascevano gli agnelli, e i lupi, affamati dal lungo inverno, scendevano a valle in cerca di cibo, minacciando i greggi.
Così i romani, che con i lupi avevano indubbiamente un rapporto di odio e amore, per via della lupa che allattò i famosi gemelli, si rivolgevano al loro dio della natura selvaggia in cerca di protezione.
Lupercus era il nome di questo dio, un fauno cacciatore di ninfe, sposo e fratello di Fauna, una delle tante rappresentazioni femminili di Madre Natura.
Si narra che Lupercus proteggesse i greggi dai lupi e riscuotesse in cambio tributi di cacio e ricotta dai pastori.
In suo onore gli antichi romani celebravano ogni anno un'importante festa, chiamata i lupercali, che guarda un po', si svolgeva proprio il 15 febbraio.

LUPERCUS FAUNUS

Lupercus Faunus non è che uno dei volti del Fauno, un Dio della natura selvaggia e degli istinti, prima figlio e poi consorte di Fauna (1), Dea della natura che fece, come tutte le Dee Vergini, un figlio senza il concorso del marito, e che in seguito con lui si accoppiò.
Veniva rappresentato col flauto, la cornucopia, abbigliato con pelli di capra e armato da una clava da pastore. (2)
La sua sposa dunque era Fauna, chiamata anche Fatua e in versioni più tarde fu associato al Dio greco Pan, oltre che al Satiro.
Il nume di Luperco gli deriva dalla qualità di difensore delle greggi dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (Lupercus = lupus + hircus).
Il Dio aveva doti profetiche e per questo era soprannominato Fatuus. Ma era anche nume ispiratore e invasante, che cacciava per possedere le sue prede, le Ninfe delle fonti e delle sorgenti, le quali, di conseguenza, divenivano simili alle Sibille nel loro profetare.
A lui si attribuisce anche l’invenzione degli antichissimi versi saturnii su cui si fonda la poesia latina.
E' dunque dio d’ispirazione profetica e poetica, come Pan e come le Ninfe a cui è connesso, anche associato al timor panico, con apparizioni spaventose e voci soprannaturali.
Fauno nei secoli assunse significati diversi, da Dio dell’abbondanza, dipinto sulle pareti di quasi tutte le abitazioni greche e latine, simbolo di prosperità e della bella vita, cui si rivolgevano continuamente tutte le preghiere dei pastori e dei contadini, loro protettore e “lupercolo” benigno per i loro greggi.... fino ad essere considerato infimo demone dei campi che non dava consigli utili agli uomini ma li esortava solo al divertimento sfrenato.

I LUPERCALI

"Lupercalia dicta, quod in Lupercali Luperci sacra faciunt. Rex cum ferias menstruas Nonis Februariis edicit, hunc diem februatum appellat; februm Sabini purgamentum, et id in sacris nostris uerbum non ignotum: nam pellem capri, cuius de loro caeduntur puellae Lupercalibus, ueteres februm uocabant, et Lupercalia Februatio, ut in Antiquitatum libris demonstraui." (3)

I lupercali, come tutte le feste primaverili che celebrano il risveglio di Madre natura, era un'importante e godereccia festa attraverso cui le genti dell'antica Roma solevano festeggiare l'avvicinarsi della bella stagione e contemporaneamente propiziarsi buoni futuri raccolti e la fecondità della terra e dei suoi abitanti.
Per fare questo essi si purificavano ed inscenavano un loro particolare rito.

Pare che i lupercali si tenessero nei dintorni della grotta sacra a Luperco, ai piedi del Palatino, grotta in cui secondo la leggenda la famosa lupa trovò ed allattò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma.

Qui i sacerdoti offrivano alla dea-lupa la mola salsa (tritello di farro misto con il sale) preparata dalle vergini Vestali, sacrificavano una capra (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione) e con il sangue degli animali battezzavano due fanciulli: il sacerdote ungeva le loro fronti con la lama insaguinata usata per i sacrifici per poi ripulirle con bende di lana bagnate nel latte mentre i pargoli ridevano fragorosamente, come prescritto dalla liturgia.

I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta seminudi, con i soli fianchi coperti da una pelle di capra, le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia, correndo per la Via Sacra armati di februa (lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro da cui deriva il nome del mese di febbraio) in cerca di giovani donne da “fecondare”. Tutti coloro che erano colpiti dalla februa venivano “purificati” e resi fertili, sia la terra che gli individui.

In particolare le donne, per ottenere la fecondità, offrivano volontariamente il ventre (in seguito, al tempo di Giovenale ai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle mani).
I luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino.

La festa prevedeva oltre alla rappresentazione nel lupercale anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale dove i nomi delle giovani vergini e quelli dei giovani aspiranti uomo-lupo erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori.
Due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano un bigliettino formando così le coppie, che avevano a disposizione un anno per provvedere alla fertilitè di tutta la comunità, con la benedizione di tutti gli dei (marte, romolo, pan, fauno luperco) e delle grandi madri romane (ruma, rea silvia, fauna, acca laurentia) incarnatesi nel modello mitico universale noto come la lupa.
Il culto di Luperco era molto sentito ed i Lupercali rimasero una ricorrenza significativa per i Romani , anche dopo l'avvento del Cristianesimo.
L'antico rito pagano infatti fu celebrato fino al V° secolo dopo Cristo, quando subentrò la nuova festa cristiana nota come San Valentino, o Festa degli innamorati.

I LUPERCI

I luperci erano i sacerdoti del dio Lupercus e nell'antica Roma godevano di un gran prestigio.
Diretti da un unico magister, essi erano divisi in due schiere di dodici membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani -"dei Fabii", fondati da Remo, e Luperci Quinctiales -dei Quinctii", fondati da Romolo (ai quali per un breve periodo Gaio Giulio Cesare aggiunse una terza schiera chiamata Luperci Iulii, in onore di se stesso).
In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi, mentre da Augusto in poi la cosa fu ritenuta sconveniente e ne fecero parte solo giovani appartenenti all'ordine equestre.
Plutarco riferisce nella vita di Romolo che il giorno dei Lupercalia, venivano iniziati due nuovi luperci (uno per i Luperci Fabiani e uno per i Luperci Quinziali) nella grotta del Lupercale, con il rito sopra descritto del sacrificio della capra e del cane.
Questa cerimonia è stata interpretata come un atto di morte e rinascita rituale, nel quale la "segnatura" con il coltello insanguinato rappresenta la morte della precedente condizione "profana", mentre la pulitura con il latte (nutrimento del neonato) e la risata rappresentano la rinascita alla nuova condizione sacerdotale.

DAI FAUNI A SAN VALENTINO

Sin dai primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero demonizzate e in particolare i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani, si trasformarono in orribili diavoli, precisamente con le corna, gli zoccoletti e la coda.
Nel medioevo infatti, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani per il loro aspetto animalesco, per i loro doni profetici, ma soprattutto per il loro carattere istintivo ed erotico, connesso ai culti della fertilità.
Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati «incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane.
Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali, sebbene tali non fossero.
Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente, da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della Natura selvaggia, viva, numinosa, e dunque, ai loro occhi, diabolica: la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo, ad essere perseguitata.
Fu così che la festa di Fauno fu gradualmente sostituita con la festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni sessuali.

LA DEA LUPA

Ben prima che toccasse ai Fauni, la triste sorte accadde anche alla Dea della natura selvaggia, la grande Madre o Dea Lupa.
La nascita dell'antica Roma corrisponde ad un tempo in cui il patriarcato ha già avuto il sopravvento ed erano gli Dei maschi a dominare
lo scenario religioso.
In particolare Marte, dio guerriero e dominatore, suscita la maggior devozione di questo popolo molto impegnato con le guerre di conquista e quindi dotato di un potente esercito.
Per quanto riguarda le Dee, a parte le divinità greche importate a roma con nome latino (Vesta, Minerva, Venere, Cerere), i popoli avevano una particolare predilezione per la Dea Acca Larentia, una Dea prostituta (guarda caso) e protettrice di Roma ma soprattutto della plebe.
I miti che la riguardano sono vari.
Per alcuni si trattava di una semplice donna che guadagnò il favore degli Dei stando per una notte intera in adorazione nel tempio di Eracle. Appena uscita dal tempio incontrò tal Caruzio, Taruzio o Taurilio, uomo ricchissimo, che se ne innamorò e la sposò, lasciandola poi erede della sua immensa fortuna. Alla sua morte Acca lasciò tutto il patrimonio al popolo romano. Tutto questo sarebbe accaduto al tempo di Anco Marzio. Il re, in segno di ringraziamento, le avrebbe fatto costruire una magnifica tomba sul Velabro, il mitico luogo del rinvenimento dei gemelli, nei pressi della porta Romanula.
Secondo Plinio e Gellio invece, Acca era la nutrice dei gemelli, ed ebbe anche dodici figli maschi che diventeranno poi i fratelli Arvali, costituendo il celebre collegio sacerdotale, adoratore di Dia, antichissima Dea.
Secondo un altro mito essa era una tipina un po' dissoluta, moglie del pastore Faustolo (il nome probabilmente deriva dal Dio Faunus), che si fece però carico dei fatali gemelli fondatori di Roma, per altri una prostituta vera e propria che fece loro da balia.
In un altro mito essa era la famosa lupa che li allattò sulle rive del Tevere.

Ma tutti questi miti sono solo la versione patriarcale di una storia ben più antica:

Larentia era in origine la Grande madre, o Madre Natura, la prostituta sacra che si accoppia con chiunque e produce di tutto, dalle piante agli animali e agli uomini. E' in suo nome che si effettuava la prostituzione sacra, la ierodulia, e le stesse sacerdotesse, in onore della Dea selvaggia, la Dea lupa, indossavano pelli di lupo e ululavano ai viandanti. Non a caso gli antichi postriboli erano detti "lupanare" (4).
Allo stesso modo in cui il Fauno fu gradualmente sostituito da un santo, così anche la sua controparte femminile, potente e istintiva,
fu sostituita da divinità mano a mano sempre meno potenti, fino ad arrivare alla totale castrazione della componente istintiva e sessuale.

Tutto questo mi ricorda il testo con cui si apre il celebra libro di Pinkola Estès, dal significativo titolo "Donne che corrono con i lupi":
"Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l'ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe".

E S. VALENTINO?

Valentino era un vescovo di terni e suo patrono dal 1644, e come tale professava la fede cristiana nell'epoca delle persecuzioni nel sacro romano impero, pagano e politeista. Accadde che non solo convertì al cristianesimo un filosofo romano di nome Cratone, ma commise anche l'errore di sposare una coppia di giovani innamorati (tale fanciulla di nome Serapia con un centurione romano non meglio identificato), andando contro l'editto di claudio II, che aveva vietato ai suoi legionari il matrimonio con le fedeli cristiane. Per questo il vescovo fu giustiziato e in seguito fatto santo e commemorato, dal 496 d.c. nello stesso giorno in cui si teneva la festa dei lupercali. La leggenda narra che poco prima di essere giustiziato, Valentino fece un miracolo. Il 14 febbraio lasciò un bigliettino alla figlia non vedente del suo carceriere asterio, di cui si era platonicamente innamorato, su cui era scritto "dal tuo valentino". Ella lo lesse ritrovando la vista e da ciò sembra derivare l'usanza di scambiarsi messaggini d'amore nel giorno di san valentino.

Esistono alcune graziose leggende d'amore su San Valentino (5), ma la cosa buffa è che la chiesa stessa soppresse questa festa dal 1969.
Ciò nonostante continua a comparire su alcuni calendari, fortemente promossa non tanto dagli innamorati quanto dai mass media e dalla grande industria del consumisto che nel nome dell'amore fa i suoi ricchi bottini.

Note

(1) Nell'antica Roma Fauna venne identificata con varie Dee tra cui Bona Dea, Cerere e Cibele. Nel suo tempio era proibito il mirto, perchè secondo la leggenda suo marito l'avrebbe con un ramo di mirto fustigata per essersi lasciata andare al vino. Si usava al suo posto il latte. Ma in realtà ciò che era vietato veniva usato nei sacri misteri. Il vino era il sangue della Madre Terra che poteva essere bevuto solo in condizioni di purezza spirituale, cioè durante i sacri misteri, e il mirto era sacro alle Grandi Madri, in particolare a Venere.

(2) In alcuni miti si dice un antico re del lazio, nipote di saturno o di marte, figlio di Pico e Canente, o Pico e secondo l'Eneide padre del re Latino. Secondo questo mito dopo la morte Fauno fu venerato come protettore di raccolti e armenti con il nome i Inuus o Ianus la cui consorte era Ianua da cui deriverebbero Giano e Giunone, ma aveva pure potestà oracolari quale consorte di Fatua, con il nome Fatuus.
Secondo un mito latino era invece figlio di Giove e Circe.
Secondo dei miti romani, ripresi poi nell'Eneide da Virgilio, Fauno era lo sposo di Marica, divinità delle acque e dei boschi, dalle quale ebbe il futuro re Latino. Venerata in un bosco sacro, Marica fu in realtà un’immagine o un aspetto della Signora degli Animali, l’antica Potnia, altri aspetti della quale sono Fauna e Kirke. Sempre per Virgilio - Eneide - il re Latino: "si rivolge agli oracoli di Fauno, il padre profetico, e consulta i divini boschi sotto l’alta Albunea, massima tra le selve, che risuona dal sacro fonte ed esala violenti vapori mefitici".
Secondo una tradizione riferita da Nonno di Panopoli nelle «Dionisiache», Fauno era figlio di Poseidone e di Kirke, e della madre, la quale amava gli alti monti rocciosi e boscosi, e dimorava nelle ombrose sale di un palazzo di roccia, aveva appreso le arti. Da lei aveva imparato a conoscere i boschi solitari e i loro segreti. Altri lo identificavano con Agrio (il «selvaggio»), e Fauno sarebbe allora figlio di Kirke e di Odisseo. Secondo un’altra tradizione, invece, è figlio di Kirke e di Pico, primo nume oracolare, trasformato in picchio dalla Dea stessa quando ha osato rifiutarne l’amore. Come Kirke, vive nella foresta ed è Signore degli Animali.
Sia come cornuto e caprino, sia come lupesco, sembra connesso al mondo infero. Per altri ancora fu il terzo re preistorico dell'Italia, e avrebbe introdotto nella penisola il culto delle divinità e l'agricoltura; dopo la morte fu venerato come dio dei boschi, protettore di greggi e armenti. Secondo altre fonti, i Fauni sarebbero stati antichi pastori, abitanti, ai primordi del mondo, nel territorio sul quale verrà fondata Roma.
Nell'Eneide Fauno è il padre del giovane guerriero italico Tarquito ucciso da Enea in combattimento. Tarquito era un semidio, figlio della ninfa Driope. Secondo un’altra tradizione è fratello e marito di Fauna, Signora degli Animali come Kirke e come Diana, nonché identificata con Bona Dea, e soprannominata a sua volta Fatua. In un’altra versione, Bona Dea è sua figlia, e lo respinge, quando lui la insidia. In seguito, però, egli riesce a congiungersi con lei dopo essersi trasformato in serpente. Ma questi sono miti elaborati successivamente, perchè nel mito più arcaico era figlio e paredro della Dea Madre. Tutto ciò, inoltre, lo accosta a Pan, che ha simili caratteristiche.

(3) Terenzio Varrone, De lingua latina

(4) Sembra che Acca Larentia fosse denominata anche Mater Larum o "Madre dei Lari", del resto in sanscrito Akka significa Madre, ma fu anche un nome di Demetra, Acca Demetra, in qualità di nutrice.
Romolo e Remo infatti furono celebrati come Lari di Roma, gli antenati protettivi.
Acca Larenzia viene identificata con una divinità ctonia, custode del mondo dei morti, Larenta, o Larunda, come era chiamata dai Sabini. Larenta, o "Dea Muta" era una divinità femminile del sottosuolo e dell'oltretomba, quindi il lato oscuro della Madre Natura, quello relativo alla morte.

(5) Le leggende d'amore su san Valentino

Leggenda dell’Amore Sublime
Questa leggenda narra di un giovane centurione romano di nome Sabino che, passeggiando per una piazza di Terni, vide una bella ragazza di nome Serapia e se ne innamorò follemente. Sabino chiese ai genitori di Serapia di poterla sposare ma ricevette un secco rifiuto: Sabino era pagano mentre la famiglia di Serapia era di religione cristiana. Per superare questo ostacolo, la bella Serapia suggerì al suo amato di andare dal loro Vescovo Valentino per avvicinarsi alla religione della sua famiglia e ricevere il battesimo, cosa che lui fece in nome del suo amore. Purtroppo, proprio mentre si preparavano i festeggiamenti per il battesimo di Sabino (e per le prossime nozze), Serapia si ammalò di tisi. Valentino fu chiamato al capezzale della ragazza oramai moribonda. Sabino supplicò Valentino affinché non fosse separato dalla sua amata: la vita senza di lei sarebbe stata solo una lunga sofferenza. Valentino battezzò il giovane, ed unì i due in matrimonio e mentre levò le mani in alto per la benedizione, un sonno beatificante avvolse quei due cuori per l’eternità.

Leggenda della Rosa della Riconciliazione
Un giorno San Valentino sentì passare, al di là del suo giardino, due giovani fidanzati che stavano litigando. Decise di andare loro incontro con in mano una magnifica rosa. Regalò la rosa ai due fidanzati e li pregò di riconciliarsi stringendo insieme il gambo della rosa, facendo attenzione a non pungersi e pregando affinché il Signore mantenesse vivo in eterno il loro amore. Qualche tempo dopo la giovane coppia tornò da lui per invocare la benedizione del loro matrimonio. La storia si diffuse e gli abitanti iniziarono ad andare in pellegrinaggio dal vescovo di Terni il 14 di ogni mese. Il 14 di ogni mese diventò così il giorno dedicato alle benedizioni, ma la data è stata ristretta al solo mese di febbraio perché in quel giorno del 273 San Valentino morì.

Leggenda dei Bambini
San Valentino possedeva un grande giardino pieno di magnifici fiori dove permetteva a tutti i bambini di giocare. Si affacciava sovente dalla sua finestra per sorvegliarli e per rallegrarsi nel vederli giocare. Quando venive sera, scendeva in giardino e tutti i bambini lo circondavano con affetto ed allegria. Dopo aver dato loro la benedizione regalava a ciascuno di loro un fiore raccomandando di portarlo alle loro mamme: in questo modo otteneva la certezza che sarebbero tornati a casa presto e che avrebbero alimentato il rispetto e l’amore nei confronti dei genitori. Da questa leggenda deriva l’usanza di donare dei piccoli regali alle persone a cui vogliamo bene. Leggenda dei Colombini Il sacerdote Valentino possedeva un grande giardino che nelle ore libere dall’apostolato coltivava con le proprie mani. Tutti i giorni permetteva ai bambini di giocare nel suo giardino, raccomandando che non avessero fatto danni, perché poi la sera avrebbe egli regalato a ciascuno un fiore da portare a casa. Un giorno, però, vennero dei soldati e imprigionarono Valentino perchè il re lo aveva condannato al carcere a vita. I bambini piansero tanto. Valentino, stando in carcere pensava a loro, e al fatto che non avrebbero più avuto un luogo sicuro dove giocare. Ci pensò il Signore. Fece fuggire dalla gabbia del distratto custode due dei piccioni viaggiatori che Valentino teneva in giardino. Questi piccioni, guidati da un misterioso istinto, trovarono il carcere dove stava chiuso il loro santo padrone. Si posarono sulle sbarre della sua finestra e presero a tubare fortemente. Valentino li riconobbe, li prese e li accarezzò. Poi legò al collo di uno un sacchetto fatto a cuoricino con dentro un biglietto, ed al collo dell’altro legò una chiavetta. Quando i due piccioni fecero ritorno furono accolti con grande gioia. Le persone si accorsero di quello che portavano e riconobbero subito la chiavetta: era quella del giardino di Valentino. I bambini ed i loro familiari si trovavano fuori del giardino quando il custode lesse il contenuto del bigliettino. C’era scritto: “A tutti i bambini che amo, dal vostro Valentino”.

Fonti:

wikipedia
www.sacroromanoimpero.com
il "Dizionario di mitologia classica"
Il cerchio della luna

martedì 7 gennaio 2014

Chi é la Strega?

Chi è la Strega?

La visione della Strega descritta di seguito, che è quella che Il Tempio della Ninfa sostiene e condivide totalmente, è una visione che pochi sentiranno di condividere a propria volta. Al giorno d’oggi, infatti, sembra che tutti vogliano appropriarsi di questo splendido termine a proprio piacimento, ignorandone il senso profondo e ciò che esso intimamente comporta.

La parola Strega richiama simbolicamente una Iniziata agli antichi Misteri della Grande Madre, una Donna che Conosce, una Donna Saggia, una Donna "che Vede" e che è in totale sintonia con la Natura libera e rigogliosa. In italiano, la parola Strega deriva dal latino "strix", che indica un uccello notturno simile alla civetta, che appartiene al mondo della Notte, e quindi dell'Inconoscibile. Soprattutto in epoca Medioevale, la notte era vista come il momento in cui tutto ciò che è Ignoto, e quindi spaventoso, esce allo scoperto e popola i sentieri, le campagne e i boschi silenziosi. Gli uccelli notturni stridono, contrariamente a quelli diurni, che cinguettano; le ombre creano figure inquietanti e ogni regola che, durante il giorno, dirige la vita ordinaria di tutti gli uomini, di notte scompare. La notte sovverte gli schemi razionali/diurni degli uomini e quindi essi temono la discesa delle tenebre, con i loro “demoni” e le loro "streghe", ovvero coloro che la notte non la temono, ma che, anzi, la amano perchè la percepiscono come loro alleata. Nemica delle regole e amica dell'istintualità selvatica, nemica degli abiti stretti e costrittivi e amica della divina nudità, nemica della compostezza e amica delle danze sfrenate, la Notte è sposa di quelle Anime, femminili o maschili, che segretamente, nel profondo dell'Essere, non aspettano altro che lei, per rovesciare il mondo umano e vivere liberi in quello divino. La Strega, fondamentalmente, è un'Anima "notturna", intesa come nemica dell'estremo ordine razionale, del "giorno" passato a fare cose senza senso, a correre perchè "manca il tempo per fare tutti i doveri", a lavorare, a mantenere un atteggiamento contenuto e ordinato, ad indossare e mostrare maschereper apparire simili agli altri, ad indossare abiti stretti e coprenti che nascondono ed imprigionano il corpo, ad essere gentili e cordiali con tutti, ecc. ovvero a fare tutte quelle cose che in realtà sono caduche ed illusorie, mai veramente utili e fuorvianti. Ma la Strega non è solo questo. Tornando al termine "strix", infatti, intuiamo che esso richiama proprio ciò che vive nella notte e possiede la capacità magica e misteriosa di "vedere nel buio", ovvero di saper scorgere la realtà delle cose al di là del buio apparente, dell'illusione, di ciò che oscura la vista e rende ciechi. La Strega pertanto è una persona Saggia perchè solo la Saggezza che proviene dal profondo Divino può donare la capacità di Vedere oltre il buio dell'illusione e, viceversa, ciò chepuò essereVisto al di là dell'apparenza, dona ulterioreConoscenza e Saggezza divine. La Strega è Colei che Vede, ma è anche Colei che, come la civetta, è in grado di volare oltre la notte più nera, oltre i veli più pesanti d’apparenza e superficie, ovvero di librarsi con lo spirito e di viaggiare da un mondo all’altro, abbandonandosi all’ebbrezza della sua assoluta libertà. E da ogni viaggio ritorna colma di nuova meraviglia, di nuova bellezza, di nuova conoscenza e consapevolezza sublimi. Ella è Colei che ha conosciuto la Saggezza perché l’ha toccata e l’ha integrata in sé, vivendo della sua luminosità accecante; è Colei che custodisce il misterioso Fuoco magico che arde nel profondo; è Colei che sa distinguere la verità dietro alle maschere che la nascondono; è Colei che ha ritrovato la vera sintonia e comunione con la Grande Madre primigenia, coltivandole sempre di più sino a divenire una cosa sola con Essa. Ella è questo e molto altro ancora… Per questo è una Donna sacra… e non abbisogna d'altro che di ciò che già vive eriluce dentro di lei. Il termine ‘strega’, inoltre, secondo una definizione a dir poco meravigliosa, “ha in realtà il senso originario di 'Donna di Conoscenza', cioè indicava ogni donna che si mette, per vie ad essa adatte e peculiari, alla ricerca della Verità e dell'Armonia”.* Il che comunque non giustifica l’abuso del termine che oggi dilaga ovunque, poiché in ogni caso, chiunque creda o pensi di essere una Strega senza possederne i requisiti –o perlomeno la purezza e predisposizione necessarie ad intraprendere un Percorso che porterà, un giorno, a poter accogliere amorevolmente questo nome- evidentemente dimostra di non conoscere nemmeno il vero ed originario significato della parola, ed inoltre svilisce enormemente tale termine ‘adattandolo’ alla propria persona totalmente indegna di portarlo, come purtroppo in questi tempi accade abitualmente, soprattutto all’interno delle realtà neo-pagane. Sarebbe più semplice e corretto, nonché onesto e veritiero, sentirsi per ciò che più naturalmente si è, ovvero dei Viandanti che percorrono gli infiniti Sentieri magici -scegliendo quelli più congeniali al proprio essere- alla ricerca della Consapevolezza, della Bellezza, della Verità dell’Anima Antica, e quindi della Grande Madre naturale e del Suo Ventre d’eterna Armonia.

* Citazione da Davide Melzi, La Via dello Sciamanesimo boreale, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1996, pag. 68
Il tempio della Ninfa

sabato 4 gennaio 2014

Le erbe da procurarsi durante l'anno

Le erbe da procurarsi durante l’anno

Anche oggi torniamo a parlare di erbe, in particolare delle erbe in relazione ai mesi dell’anno, poiché ogni periodo dell’anno ci offre una vasta gamma di erbe da procurarci.

La magia è pericolosa ed è indispensabile che la strega, o magista, studi e raccolga le proprietà delle seguenti piante. Iniziamo con lo specificare che, le piante magiche vanno protette ed utilizzate in un determinato modo, e ci sono determinati periodo di raccolta per tutte le piante.

Ecco mese per mese quali piante vanno raccolte.

GENNAIO: Bergamotto.

FEBBRAIO: Abete bianco, Abete rosso, Carrubo, Cipollaccio col fiocco, Cipresso, Favagello, Lichene islandico.

MARZO: Asparago, Barba di becco, Borsa di pastore, Bosso, Cappero, Cariofillata, Enula campana, Epilobio, Erica carnicina, Faggio, Farfara, Farfaraccio, Felce florida, Fumaria, Genziana, Lichene pulmonario, Margheriti na, Nocciolo, Olivo, Olmo, Ononide, Pesco, Pino silvestre, Pioppo, Prugno, Quercia, Salice rosso, Sanguinello, Serenella, Viola mammola.

APRILE: Acero, Agrifoglio, Ailanto, Alliaria, Betonica, Betulla, Biancospino, Billeri, Calamo aromatico, Calendula, Carciofo, Castagno, Castagno d’India, Centocchio, Crescione, Efedra, Favagello, Fico d’India, Fitolacca, Fragola, Frangola, Frassino, Gramigna rosSa, Imperatoria, Lapazio, Larice, Ligustro, Lentisco, Manna, Mentastro, Noce, Ontano, Ortica, Primavera, Prugno spinoso, Rovo, Salice bianco, Tamerici, Tarassaco, Tiglio semplice, Valeriana, Viola del pensiero.

MAGGIO:Acetosa, Acetosella, Aglio orsino, Altea, Arancio amaro, Asperula, Bagolaro, Bocca di Lupo, Bugula, Ca momilla, Camomilla romana, Chelidonia, Ciliegio, Cineraria, Cinoglosso, Cinquefoglio, Edera terrestre, Erba roberta, Erba ruggine, Farfaraccio, Fico, Finocchio marino, Fiordaliso, Galega, Malvone, Mestolaccia, Mo rine, Podagraria, Prezzemolo, Pulmonaria, Quercia marina, Rosa canina, Rosa rossa, Rosolaccio, Sambuco, Sanicula, Sedano montano, Senecione, Serenella, Trifoglio fibrino.

GIUGNO:Agrimonia, Amarena, Amorino, Avena, Balsamina, Bocca di leone, Borragine, Camedrio, Camepizio, Capri foglio, Cardiaca, Cardo benedetto, Centinodio, Cicutaria, Cimbalaria, Coclearia, Consolida maggiore, Cre spino, Cuscuta, Dragoncello, Ebbio, Echio, Erisimo, Eucalipto, Eupatorio, Fico d’India, Fragola, Giglio bianco, Ginestrino, Lampone, Ligustro, Malva comune, Malva silvestre, Margherita, Millefoglio, Mirtillo, Mirto, Nepetella, Ortica bianca, Parietaria, Pervinca, Pesco, Pilosella, Pulegio, Risetto, Rosmarino, Ruta, Salcerella, Salvia, Serpillo, Timo, Verbasco, Veronica, Vulneraria.
LUGLIO: Achillea moscata, Alchemilla, Alloro, Altea, Anagallide, Arancio dolce, Argentina, Amica, Artemisia, Assenzio, Ballota, Bardana, Basilico, Betonica, Bistorta, Canapa selvatica, Capelvenere, Carciofo, Cardo mariano, Carota, Cataria, Centaurea minore, Cetriolo, Cicoria, Coda cavallina, Corbezzolo, Comiolo, Cotogno, Cumino dei prati, Dittamo, Edera, Elicriso, Eliotropio, Erba vescica, Erigero, Eufrasia, Farfara, Fieno greco, Frassino, Genepi, Genzianella, Granoturco, Iperico, Issopo, Lappola, Lavanda, Lingua di cane, Marrubio, Meliloto, Melissa, Menta acquatica, Menta piperita, Mentastro, Mentone, Mugo, Origano, Pastinaca, Piede di gatto, Pimpinella, Poligala, Porcellana, Prunella, Rapunzia, Ribes nero, Ribes rosso, Salvia sclarea, Santolina, Semprevivo, Senape bianca, Tiglio semplice, Tiglio doppio, Verbena.

AGOSTO: Aglio, Alchechengi, Anice verde, Brugo, Caglio, Carrubo, Cipolla, Coriandolo, Epilobio, Erniaria, Fagiolo, Finocchio, Finocchio marino, Fitolacca, Giaggiolo, Girasole, Iride germanica, Lampone, Licopodio, Linaiola, Lino, Luppolo, Maggiorana, Melanzana, Mirtillo, Nocciolo, Noce, Olivella, Olmaria, Peperoncino, Piantaggine, Polipodio, Prezzemolo, Prugno, Psillio, Romice, Rosolida, Santoreggia, Sedano, Serenella, Spincervino, Tormentilla, Uva ursina, Verga d’oro, Vite, Vulvaria.

SETTEMBRE: Aneto, Angelica, Angelica selvatica, Amica, Barba di becco, Bistorta, Calamo aromatico, Calcatreppolo, Calendula, Canna, Canna di palude, Cappero, Cardo dei lanaioli, Cariofillata, Castagno d’India, Cedrina, Cicoria, Cinquefoglio, Cren, Dittamo, Giglio bianco, Ginepro rosso, Nigella, Ononide, Ortica, Peucedano, Pungitopo, Quercia, Rosa canina, Rovo, Salcerella, Sanicula, Sorbo rosso, Tamerici, Tarassaco, Valeriana, Zucca.

OTTOBRE:Acetosa, Ailanto, Altea, Asfodelo, Asparago, Bardana, Borsa di pastore, Carlina, Carota, Consolida maggiore, Corniolo, Cotogno, CrespInO, Ebbio, Enula campana, Erba ruggIne, Eupatorio, Felce maschio, Genziana, Ginepro, Giuggiolo, Imperatoria, Lapazio, Limone, Lingua di cane, Liquirizia, Malva silvestre, Ninfea, Pioppo, Podagraria, Primavera, Prugno spinoso, Rabarbaro alpino, Rapunzia, Sedano montano, Sigillo di Salomone, Sorbo, Tamaro, Valeriana rossa, Vulneraria, Zafferano.

NOVEMBRE :Arancio amaro, Arancio dolce
DICEMBRE:Agrifoglio, Alloro, Felce florida, Finocchio, Frangola, Mestolaccia, Nespolo, Olmo.

(morgana)

Dea Jana-risplendente di luce

Dea Jana (Gennaio)


Anticamente le Janare erano sacerdotesse , con funzioni anche orgiastiche rituali. Il termine è rimasto nel dialetto Beneventano assurgendo al sinonimo di streghe.
Col nome Janara si indica una donna, che possiede poteri magici, conosce le virtù delle erbe, pratica alcune operazioni mediche. In Sardegna esiste un luogo detto Domus Janas, che nel dialetto popolare significa casadelle fate. Il significato esoterico relativo alla quantità e natura del divino. Nella sua forma Janua guardava allo stesso tempo, al passato e futuro che in lei coincidevano; in un eterno privo di inizio e di fine impersonò la posizione della Terra nell’orbita dell’eclittica, agli equinozi di primavera e di autunno, e nelle feste solstiziali. Il volto del presente era nascosto, perché il presente non si può raffigurare, prima della raffigurazione è futuro, dopo è inesorabilmente passato….Janua è dunque Signora del Tempo e madre degli Dei. Genova deve il suo nome a Jana ( Genua) la porta sul mare. In epoca romana Jana, diventa divinità maschile, Giano. La radice indoeuropea del suo nome “ia” allude al concetto di “passaggio”, come il gaelico “ya-tu” (guado) ed il sanscrito “yana” (porta). In effetti, il dio Giano era il “custode delle porte” (“Ianitor”, da “ianua”, in latino “porta”) e di ogni passaggio, quindi anche di ogni inizio (anno, mese, giorno ecc…).Giano era dunque una divinità solare che aveva il controllo delle “Porte del Cielo” (Januae caelestis aulae), aperte all’alba (Oriente) e chiuse al tramonto (Occidente) dal Sole che vi transitava col suo carro splendente e “iani” in latino si chiamavano infatti gli archi di passaggio a forma di volta, simbolo della volta celeste In origine, quando il dio Giano veniva raffigurato bifronte su sculture e monete, le due facce erano una barbuta e l’altra no, forse a simboleggiare il “maschile” ed il “femminile”, quindi il “Sole” e la “Luna”. Anche Plinio il Vecchio lo rappresenta come un dio solare a due facce, mentre Macrobio nei Saturnalia dice che Gennaio (Januarius) era dedicato a Giano, dio con due facce, in quanto fuso con Jana, cioè Diana, chiamata da Varrone anche “Jana Luna”, la dea della luce lunare, protettrice dei boschi e delle fiere selvagge. Varrone sostiene anche che Janus era il vero “dio del cielo” e lo identificava addirittura con Juppiter, cioè con Giove stesso ! Janus, quindi, sarebbe il “doppio” o il “gemello” di Jana, (come Dianus di Diana), derivando i loro nomi dalla medesima radice ariana “Di”, che significa “risplendente di luce” (Web)

giovedì 2 gennaio 2014

Nel giardino della Dea

Nel giardino della Dea

Un sacerdote e una sacerdotessa furono chiamati al tempio della Dea. In un grande cerchio nel mezzo della foresta fitta di alberi essi innalzarono i loro pensieri al Cielo e richiamarono i sacri nomi, implorando udienza nientemeno che con la Signora in persona.

La Dea apparì dinanzi a loro, scegliendo la forma delicata di una donna nuda, formosa, con capelli disordinati aggrovigliati con rovi e spine, fiori intrecciati attorno alle sue caviglie e polsi, una luna crescente tatuata sulla fronte.

Luccicante e splendida da ammirare, la Dea si avvicinò al sacerdote e alla sacerdotessa, sorridendo a loro con un'espressione luminosa come i raggi del Sole, delicata come la soffice luce della Luna. Davanti a loro la Dea era, alta e imponente, eppure così dolce e amichevole.

"Chi ha bisogno di me?"

Il sacerdote e la sacerdotessa schermarono i propri occhi dallo splendore. "Ti abbiamo chiamata, Grande Madre, dalle profondità del cielo, perché abbiamo bisogno di conoscere il nostro scopo nella vita. Dicci, Grande Madre, in cosa possiamo servirti?"

La figura della Dea acquistò in magnificenza e sembrò che la sua luminosità crescesse all'infinito. Ella allargò le braccia, come per abbracciare, e si indirizzò ai sui figli con voce amorosa e compassionevole. "Voi mi avete chiamato nelle lingue sacre dei vostri antenati. Voi vi siete avvicinati a me nel cerchio sacro immerso così profondamente nel mondo naturale per vedere il mio volto. Voi mi avete amato in modo così puro dalla più remota profondità del vostro cuore. Così io sono venuta davanti a voi ad illuminare le vostre menti e farvi sapere che la vostra vita non è stata invano".

"Tutto il mondo è il mio corpo, e tutto il mio corpo è un tempio, risuonante di milioni di voci, ognuna delle quali è la mia voce, e milioni di sentieri, ognuno dei quali conduce a me. Ognuno di voi sarà una luce nel mio tempio, nessuna più luminosa di nessun'altra; ognuno la sua propria luca, ognuno la sua propria fiamma. E tutti assieme illuminerete tutto il mondo, e penetrerete con la luce anche nei luoghi più oscuri, in modo tale che anche le ombre riluceranno della mia gloria. Perché io sono la Grande Dea, la Custode del Cielo e della Terra, colei nota con diecimila nomi".

Il sacerdote coprì la sua faccia e cadde sulle ginocchia davanti alla gloria della Dea, ma la Dea rise e gli ordinò di alzarsi. "Perché ti inginocchi a me, figlio mio?".

Il sacerdote, umile di fronte alla presenza divina, abbassò la sua testa con reverenza. "Grande Madre, io sono umile di fronte a te perché tue sono la forza e la gloria e io sono solo un tuo servo".

Ma la Dea rise divertita e carezzò sulla guancia il suo servo. "Io sono la stessa Dea che hai conosciuto nelle querce che perdono le loro foglie nella durezza invernale. Io sono la stessa Dea i cui occhi vedi rispondere al tuo sguardo quando lo incroci con quello della tua amante. Io sono la stessa Dea che ti bisbiglia nell'orecchio con voce portata dal vento. E dimmi, mio sacerdote, ti inginocchi forse dinanzi a queste cose, o le fronteggi con orgoglio, accettandole con gioia nel tuo cuore?".

Il sacerdote fu toccato da questa rivelazione, ma la confusione ancora era in lui. "Ma Signora, queste cose che hai menzionato - la quercia che muore, l'amante che può smarrirsi e il vento che strazia il mare, divorando le navi che solcano le acque -queste cose sono volubili e momentanee. Come puoi dirmi che tu, infinita ed eterna, puoi essere rappresentata da queste cose?".

La Dea sorrise al suo sacerdote e gli indicò il Sole. "Il Sole dà la luce al tuo mondo, il calore che gli occorre per portare la vita in tutti quelli che abitano sulla sua superficie. Eppure, anche il Sole un giorno si dissolverà, e il tuo mondo con esso. Ma ora, in questo momento, il Sole è il mio ambasciatore. È un ambasciatore meno importante semplicemente perché un giorno svanirà? Pensa alla mia gloria in questo modo - semplicemente come la fine di un momento del tuo piacere. Se io mi rivelassi a te come sono, tu non comprenderesti, e il mio splendore e la mia gloria, che io condivido con tutti i miei figli, sarebbero perduti".

La sacerdotessa alzò le sue mani, il suo sguardo rivolto verso la Dea, compiacendosi della luce e dello splendore della sua presenza. "Grande Madre", sussurò, "Cosa dovremo dire a chi ci chiederà chi ci manda?".

La Dea ci pensò su un attimo, poi rispose solennemente, "Dite loro che siete stati mandati dalle profondità della Terra e dalle altitudini del Cielo. Dite loro che la vostra Dea è l'amore e la luce della vita. E dite loro che io sono dinanzi a voi con innumerevoli apparenze".

La sacerdotessa tremò pensando a ciò che sarebbe stato. "Ma cosa risponderò a chi dirà che il tuo è un sentiero di oscurità?".

A questo la Dea alzò la testa e si fece una grassa risata. "Dite loro che la mia mano destra è la luce e che la mia mano sinistra l'oscurità, e che io non taglierei mai la mia mano sinistra come non taglierei mai la destra. Dite loro che entrambe le mani sono necessarie per sostenere il mondo e che la mia mano sinistra scherma il mondo dall'accecante splendore della destra".
(Web)

mercoledì 1 gennaio 2014

21 Gennaio - Giorno del Sorbo

21 Gennaio - Giorno del Sorbo.
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Il 21 Gennaio è dedicato al Sorbo, pianta rinomata per i suoi molteplici usi magici. 


Il sorbo era un albero sacro per le popolazioni celtiche che lo piantavano ovunque per proteggere le case e lo ritenevano una manifestazione terrena dell’altro mondo. Con i suoi rami si decoravano le abitazioni e si sbatteva la panna del latte. Lo si riteneva in grado di scacciare le streghe e di proteggere dai loro malefici.
I marinai attaccavano dei blocchi del suo legno sulla chiglia della nave perché li difendesse dalla furia delle tempeste marine.
Nell’alfabeto Ogham il sorbo è simbolo di rinascita e protezione contro la negatività. Aiuta contro gli attacchi magici e la negatività, l’invidia e la gelosia e protegge anche dalla paura. E’ utile per ricavare discernimento ed ispirazione per le nostre azioni.
L’animale totemico a lui collegato è il MERLO, la divinità BRIDE, la pietra il CRISOLITO GIALLO.

Proprietà terapeutiche: Il sorbo ha proprietà diuretiche, astringenti, antinfiammatorie e lenitive.
I suoi frutti, la cui maturazione viene completata sotto la paglia, sono perfettamente commestibili. Con le sorbe si possono fare ottime marmellate e, previa fermentazione, anche bevande alcoliche. Con la polpa dei frutti maturi si possono fare ottime maschere detergenti, tonificanti e riacidificanti per pelli precocemente invecchiate, astringenti e lenitive sulle pelli irritabili.
Le foglie e la corteccia del sorbo, per le loro proprietà astringenti, vengono impiegate anche nella concia delle pelli.

Curiosità 

Etimologicamente parlando, Sorbus è il nome dato dagli antichi Romani per indicare questa pianta, probabilmente deriva dal verbo sorbeo “bere”, riferito al fatto che i frutti, se consumati, arrestano i flussi dell'intestino (proprietà astringenti). Diversa è invece l'origine del nome anglosassone rowan: esso deriva dall'antico norreno raun, probabilmente derivato dal protogermanico raudnian “arrossare”, riferito al fogliame del sorbo che in autunno assume, nei climi freddi, una tonalità rosso acceso. Presso le popolazioni celtiche, l'albero veniva chiamato luis (si pronuncia “lweesh”), diventato successivamente luisliu “piacevole alla vista”; nel moderno irlandese viene chiamato caorthann (si pronuncia cöràn) oppure rudha-an “colui che è rosso (red-one)” e si pronuncia come la parola inglese rowan, il nome anglosassone del sorbo. Tra i nomi volgari inglesi troviamo in particolare witchbane e witch-wood, in riferimento alle numerose proprietà magiche del sorbo: la tradizione cristiana infatti riferisce che il legno vivo di sorbo abbia il potere di allontanare le streghe, i malefici e gli spiriti maligni.
Il sorbo è detto “degli uccellatori” perché le bacche sono molto appetibili dagli uccelli (così come tutte le bacche di colore rosso, come le amarene), che se ne cibano eliminando poi il seme indigeribile e agevolando la disseminazione. In Francia e in Piemonte fino al XVIII secolo i frutti venivano incorporati sotto forma di farina all'impasto del pane, per questo in certe regioni del nord Italia le sorbe vengono chiamate “farinacce”.

Il sorbo è uno degli alberi sacri ai Celti e, secondo il calendario arboreo, dava il nome al mese compreso tra la terza decade di gennaio e la metà di febbraio, periodo in cui cade la festa di Imbolc. Siccome Imbolc è la festa dedicata alla dea Brighid, non sarebbe infondato considerare il sorbo consacrato a questa divinità.
Sia i Celti che i Germani consideravano il suo frutto, al pari della mela, nutrimento degli dei e amuleto contro i fulmini e i sortilegi: appenderne un ramo fruttifero sull'uscio di casa ne assicurava la protezione. Ricavata dal sorbo era anche la “mano di strega”, una sorta di bacchetta da rabdomante per trovare i metalli preziosi. Pare che i druidi, prima di una battaglia, accendessero fuochi con il legno di sorbo e pregavano chiedendo agli spiriti di partecipare alla battaglia. Nei paesi nordici il sorbo, oltre ad essere usato per fabbricare i bastoni dei pastori, serviva anche per proteggere il bestiame dalle epidemie.

Sacro a Brighid, divinità del fuoco e protettrice dei bardi e dei fabbri (il “fuoco” dell'ispirazione e delle fucine), il sorbo ne acquista i poteri: i bardi si sedevano con la schiena appoggiata al tronco per ascoltare il sussurro dell'ispirazione divina; infuso della fiamma che illumina, il sorbo è il simbolo del risveglio dei sensi e della rigenerazione che segue la morte. I druidi si sedevano su pelli bovine cosparse da rametti di sorbo per “illuminare” il futuro e favorire la divinazione. Ancora oggi in Irlanda è sopravvissuto un detto che, riferendosi al passeggiare sopra ai rami del sorbo, dice “camminare sui rametti della conoscenza”.
Usi Magici: Il sorbo è uno dei 9 legni sacri che si bruciano tradizionalmente durante i quattro sabba maggiori. Bacche e foglie essiccate possono essere bruciate come incenso per favorire la divinazione, mentre i rami, legati a forma di croce a braccia uguali, si usano come amuleto per proteggere l'abitazione e i suoi abitanti. Bruciatene un po' quando cercate chiarezza.


Fonte:
http://antrodellamagia.forumfree.it
www.thereef.it
www.celticworld.it/

17 Gennaio Festa di Odino

17 Gennaio Festa di Odino
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Il 17 Gennaio si celebra la festa in onore del dio Norreno Odino.


Il nome Odino viene dalla radice che sta per “furore, ebbrezza, ispirazione poetica”.
Anche nel mondo greco queste parole sono legate, ed hanno connotazione sacra: è ciò che accomuna le Baccanti, la Pizia, i nympholeptoi (i "rapiti dalle ninfe"), i poeti e i bardi, gli innamorati ("che hanno dentro Amore") ed i guerrieri. Ed una particolarità di Odino è proprio quella di riunire un gran numero di funzioni ed attributi, è un poeta, un guerriero, un mago e molto altro ancora.

Odino dimora ad Ásgarðr, nel palazzo di Válaskjálf innalzato da lui stesso, dove, seduto sul trono Hliðskjálf, osserva ciò che accade in ciascuno dei Nove Mondi. In battaglia brandisce Gungnir, la sua lancia, e cavalca Sleipnir, il suo destriero a otto zampe, nato da una portentosa unione tra il dio Loki (momentaneamente trasformato in giumenta) e il cavallo Svaðilfœri.

I suoi figli più noti: da Jord ("Terra") ebbe Thor, il dio che porta il martello e accorre sempre a salvare gli Dei dai giganti; da Frigg ebbe invece Baldr, il luminoso e splendido Dio ucciso a tradimento da Loki (su di lui magari aprirò un post apposito perché la storia che lo riguarda è molto interessante). Da un'altra amante ebbe Tyr "divinità" che perse la sua mano coraggiosamente per riuscire ad imprigionare il lupo Fenrir ce al Crepuscolo degli Dei porterà la distruzione nel mondo, ed in fine Vidarr, l'Ase più forte dopo Thorr, che riuscirà a uccidere Fenrir dopo la morte di Odino stesso.

Il suo cavallo è Sleipnir ed ha otto zampe che lo rendono velocissimo. Ha due lupi Freki e Geri, "avido" e il "divoratore" "he nutre col cibo che sta sul suo tavolo. Si dice infatti che Óðinn non abbia alcun bisogno di nutrimento: il vino è per lui tanto cibo che bevanda." (da Bifrost). Ha anche due corvi: "Huginn e Muninn, il «pensiero» e la «memoria». Durante il giorno Óðinn li fa volare per il mondo; all'ora del pasto essi tornano e gli riferiscono ciò che hanno saputo, e Óðinn comprende ogni cosa. Per questo gli uomini lo chiamano anche Hrafnaguð «dio dei corvi»." (da Bifrost)


Culto di Odino

Secondo il racconto della Saga degli Ynglingar, Ásgarðr era luogo di sacrifici solenni cui presiedevano dodici sacerdoti (detti díar o drótnar) che erano al contempo i capi preminenti cui spettavano le decisioni e i giudizi. Essi sarebbero poi stati divinizzati dai loro sudditi. Nel caso di Odino si dice che, sentendosi prossimo a morire, lasciò la Svezia affermando che sarebbe tornato nella sua antica patria, chiamata Goðheimr ("paese degli dèi"), e i suoi seguaci credettero che allora egli fosse tornato ad Ásgarðr per vivere in eterno.

La saggezza Odino

citazione
Essendo il più antico degli dèi e il creatore del mondo e di tutte le cose, Odino è il signore della sapienza, conoscitore delle cose antiche e profonde. Egli ha imparato per primo tutte le arti e in seguito gli uomini le hanno apprese da lui. Tra i molti epiteti di Odino, parecchi si riferiscono alla sua immensa sapienza: Fjölnir e Fjölnsviðr ("assai sapiente"), Sanngetall ("che intuisce il vero"), Saðr o Sannr ("che dice il vero"), Forni ("antico") e Fornölvir ("antico sacerdote"), cioè conoscitore di tutte le cose dal principio.

La sapienza di Odino è conoscenza, magia e poesia al tempo stesso. Egli non solo conosce i misteri dei Nove Mondi e l'ordine delle loro stirpi, ma anche il destino degli uomini e il fato stesso dell'universo.

Odino ama disputare con creature antiche e sapienti. Sotto le mentite spoglie di Gágnraðr ("stanco del cammino") si giocò la vita sfidando a una gara di sapienza il possente gigante Vafþrúðnir, la cui erudizione era rinomata in tutti i Nove Mondi, e dopo una serie di domande sul passato, il presente e il futuro del mondo, a cui il gigante rispose prontamente, Gágnraðr domandò allora che cosa avesse sussurrato il dio Odino a Baldr prima che questi fosse posto sulla pira. Vafþrúðnir a questo punto lo riconobbe, ma aveva ormai perso la gara.

Un'altra volta, dicendo di chiamarsi Gestumblindi ("l'ospite cieco"), il dio sfidò un re di nome Heiðrekr ad una gara di indovinelli. Dopo una serie di quesiti a cui il re rispose senza difficoltà, Odino gli pose la medesima domanda che già aveva posto a Vafþrúðnir. A quella domanda il re cercò di ucciderlo, ma il dio gli sfuggì trasformandosi in falco.
Odino osserva il corpo decapitato di Mímir. Illustrazione per il carme Sigrdrífomál nell'edizione svedese dell'Edda poetica curata da Fredrik Sander.

Odino tiene accanto a sé la testa recisa[3] di Mímir, fonte inesauribile di conoscenza che gli rivela molte notizie dagli altri mondi (Völuspá 45). In un'altra versione (Völuspá 28) dello stesso motivo mitologico, Odino si cava un occhio e lo offre in pegno a Mímir per attingere un sorso di idromele da Mímisbrunnr, la fonte della saggezza che il gigante custodisce. L'occhio di Odino rimane, quindi, nella fontana dalla quale lo stesso Mímir ne beve ogni giorno l'idromele.[4] Da quella mutilazione derivano gli epiteti di Bileygr ("guercio") e Báleygr ("occhio fiammeggiante").

Incantesimo - Dagaz, un portale con Asgard e Alfheim.


Per tutte le Streghe amanti del folklore nordico e delle rune proponiamo un rituale per aprire lo spirito al mondo della Luce e ai suoi poteri. Questo rituale può essere eseguito sia in casa che all’ aria aperta (quest’ ultima più indicata), ma sempre e solo nelle ore dell’ alba o del tramonto.

L’ aurora e il crepuscolo sono per tradizione i momenti magici in cui il regno umano e quello spiritule si incontrano, rendendo possibile la comunicazione tra entrambe. Questo è il momento in cui siamo circondati dalla massima luce e ne riceviamo i benefici influssi: sono presenti alcune stelle, la luna e il sole; quindi da questi potrete calcolare facilmente il giorno migliore per operare.

Quello che si verifica in quei momenti sulla terra è un momento che puo fungere da portale prorpio per il luminoso regno di Asgard e Alfheim, rispettivamente il regno degli dei e degli elfi luminosi. Per aprire questo portale ci avveliamo della runa Dagaz, la runa della luce, il cui grafico esprime il concetto sopra esposto. Questa runa è stata una protagonista importante nella magia medioevale come runa di potenza, rigenerazione e guarigione.

dagaz


Dopo esservi purificati ritualmente con un bagno, recatevi nel luogo dove eseguirete il rituale. Qui accenderete dei fuochi, meglio se posizionati nelle quattro direzioni. Il fuoco è un importante elemento, simbolo ri trasformazione, forza e purificazione. Il fuoco fuga le ostilità ed alimenta lo spirito, è l’ elemeno sacro dei druidi.

Nel centro dell’ area verrà posta la pietra runica, o potrete in alternativa tracciarla sul terreno. Dopo aver liberato la mente tracciate la runa Dagaz usando la punta carbonizzata di un rametto in modo da traferire il potere del fuoco e della luce nella pietra, per attivare l e energie di Dagaz. Invocate Dagaz, la luce. Prestate attenzione, l’ evocazione del potere di Dagaz deve avvenire nel momento dell ‘aurora o del crepuscolo non oltre ne troppo presto.

Durante l evocazione liberate la mente e osservate la runa pronunciandone il nome come un mantra e chiedete di aprire il portale con Asgard o Alfheim e con l’ entità o il potere che da questi mondi vorrete chiamare a voi.

Ricordate che questa è una procedura base su cui potrete articolare un rituale personalizzato.


citazione
Divinità ed Entità: Odino, Freyr, Freya, Heimdall, Elfi Bianchi
Pietre: ambra, cristallo

Fonte:
http://antrodellamagia.forumfree.it/
http://anticastregoneria.wordpress.com
Wikipedia - Odino