giovedì 19 febbraio 2015

Il Nuovo Tempo

Fino a quel giorno avevamo vissuto in pace. Noi donne, sorelle di sangue e di spirito.
E avevano vissuto in pace i nostri uomini, legati a noi da vincoli di parentela e di amore, eppure liberi, così come libere eravamo noi, che mantenevamo l’armonia e l’equilibrio nei nostri clan.

Fino a quel giorno, ogni ora, ogni momento, ogni ciclo stagionale, erano trascorsi nella gioia e nella condivisione. I nostri uomini passavano molto tempo in mare, nelle lunghe imbarcazioni a forma di mezzaluna. Pescavano per noi, e noi coltivavamo la madre terra con i semi che Lei ci aveva donato all’inizio dei tempi, quando in forma di Donna Antica era giunta dalle acque salmastre con le mani colme di piccoli granelli scuri.

Figlie mie, donate alla Terra questa sacra semenza, dissetatela con la sacra acqua e lasciate che il sacro Sole la scaldi, e che la sacra Luna, vostra Madre e Sorella, regoli il suo germogliare.
Da questi sacri grani verrà il vostro nutrimento.”

Così, avevamo fatto ciò che la Donna Antica aveva detto, e in pochi cicli lunari le foglie verdi si erano innalzate dalla terra, e frutti, verdura, grano ed erbe mediche erano maturate al Sole e alla Luna.
Fino a quel giorno avevamo svolto i nostri rituali segreti nelle capanne di terra e acqua. Avevamo acceso i fuochi, danzato nude sotto la luna, ci eravamo bagnate nel mare, recandogli Doni per ciò che lui donava a noi. Avevamo celebrato il sangue e la nascita, l’amore e la morte.
Avevamo cantato per la Luna, osservato il cammino delle stelle. Avevamo misurato il tempo e innalzato pietre, avevamo cotto il pane e preparato sacchetti di medicina.
Avevamo amato i nostri uomini, che ci amavano e ci accarezzavano la pelle con baci e fiori.
Avevamo amato i nostri figli che come fiori erano sbocciati dal nostro grembo fecondo, pieno come la Luna, nostra Madre e Sorella.
Fino a quel giorno avevamo gioito. Gioito pienamente della Vita.

E poi giunsero loro. 
Le Anziane lo avevano predetto. Un’ombra scura aveva attraversato il loro sguardo, la loro fronte si era corrugata e il loro cuore aveva tremato. Leggendo nel fumo e nelle braci, le Anziane avevano capito che il mondo sarebbe cambiato, e che il Tempo era giunto.
Quel giorno li vedemmo apparire sulla linea luminosa che divide l’oceano dal cielo. Cupi e neri come demoni terribili, spegnevano con il loro avvicinarsi la luce che fino ad allora aveva vegliato sulle nostre fronti scurite dal Sole.
Parevano lontani, eppure per quanto tempo ci misero a raggiungere la riva, a noi non sembrò che un istante. 
Ormeggiarono quelle navi grandi e spaventose e si buttarono sulle sacre spiagge, urlando e ridendo in un modo che ci sembrò subito diverso dal modo di urlare e ridere che avevamo noi. Non c’era luce nelle loro risa, ma solo foga e volgarità. Non c’era grazia selvaggia nelle loro urla, ma solo orrore e ferocia.

I primi giorni che trascorsero sull’Isola rimasero vicini alle loro imbarcazioni, e qualcuna di noi, spinta da una vana, quanto bramosa, speranza, disse che non ne avremmo avuto male, che presto sarebbero ripartiti e che tutto sarebbe tornato alla normalità. Che, forse, le Anziane avevano sbagliato.
Ma nemmeno loro credevano alle proprie parole. Le Anziane non sbagliavano mai.

Così il Tempo giunse. E noi conoscemmo ciò che non avevamo mai conosciuto.
La nostra terra cominciò ad essere sfruttata, i nostri corpi di Donne belle e sacre vennero profanati, i nostri uomini vennero costretti a lavorare nelle miniere o nelle piantagioni dei loro padroni. Loro, che non avevano mai saputo cosa fosse un padrone.
Si diffusero malattie delle quali non avevamo mai conosciuto l’esistenza, e per le quali non avevamo alcuna medicina. L’ombra viveva davanti al nostro sguardo, e i nostri occhi conobbero la rovina e la disperazione.
Peggio delle malattie che quegli uomini riversarono su di noi e sulla nostra sacra terra, vi era un sentimento oscuro e furente che cresceva nei nostri cuori, e che nessuna di noi aveva mai conosciuto. Un sentimento che ci scavava dentro e che non sapevamo come guarire.
Così alcune di noi parlarono alle Anziane e innalzarono preghiere alla Donna Antica per chiederle aiuto.

Anziane Madri, diteci, cos’è questa tenebra oscura che ci cresce dentro? Cosa ci divora nel cuore e ci rende cupe e accigliate?
Abbiamo udito gli invasori nominare l’odio. È forse questo il nome con cui viene chiamata la tenebra nel loro mondo di distruzione?
Eppure, come possiamo non nutrire la tenebra davanti ai loro sacrilegi?
Come possiamo non cedere alla sua oscurità quando penetrano i nostri corpi con furia e violenza?
Come possiamo non desiderarla quando penetrano i corpi delle nostre figlie e delle nostre madri,
quando distruggono i nostri altari e bruciano le nostre case?
Come possiamo non assecondarla quando rubano i nostri uomini e li portano a lavorare e morire nei buchi che loro hanno scavato nella sacra terra, per rubarle i suoi tesori?

Le Anziane stavano sedute in cerchio, nel silenzio. Era la prima volta che non ci sorridevano rassicuranti, donandoci con amore la risposta alle nostre domande.
Ci guardarono… ma rimasero in silenzio.

Il fuoco crepitava, caldo e luminoso, e le scintille salivano verso il cielo punteggiato di stelle, portando alla Donna Antica la nostra preghiera.
Una delle Anziane sollevò lo sguardo dalle braci ardenti, e parlò.

Figlie mie, Resistete. Il Tempo del Cambiamento è giunto e il peso che dovete sopportare nel vostro spirito è grande e tenterà di schiacciarvi, sottraendovi l’Amore, l’Armonia e la Bellezza nelle quali siete state plasmate il giorno in cui la Donna Antica vi partorì dal suo grembo.
Resistete, Figlie, nel buio e nello smarrimento. Resistete.
Non lasciate che la malattia dell’invasore attanagli il vostro spirito, consumandovi e trascinandovi nella sua tenebra, perché così facendo gli darete vittoria.
Combattete invece, preservando tutto ciò che è sacro sin dall’inizio del Tempo.
Difendete voi stesse e i vostri figli. Difendete le vostre madri e i vostri uomini.
Difendete la vostra terra e i sacri principi che hanno regolato le vostre vite armoniose.
Difendete il vostro spirito dalla tenebra. Lei non vi appartiene, né mai vi apparterrà.
Non arrendetevi all’invasore. Non ascoltate la parola di chi vuole oscurare il vostro spirito luminoso. Non credete a chi giudicherà impuri i vostri sacri corpi, e vorrà insegnarvi il timore, la fede e il pentimento.
Voi sapete chi siete. Ricordate.

Riunitevi in Società segrete, dove potrete ritrovare la forza l’una nell’altra. Perché la vostra forza proviene dalla Donna Antica, e nessuna tenebra può scalfirla, né alcuna malattia può contaminarla.
Riunitevi, Figlie, così che ogni smarrimento svanisca alla luce della vostra unione. E ognuna di voi saprà che, anche nei momenti più terribili, non sarà mai sola.
Preservate la vostra sacra Tradizione e Ricordate la Donna Antica.
Ricordate chi siete, e nessuna ombra potrà possedervi.

Resistete e Ricordate.
E se tutto sarà perduto, Tessete di nuovo la vostra antica Tela.
Resistete e Ricordate.”

***

L’Anziana tacque, mentre le ultime scintille si libravano dalle braci ardenti. Lei e le altre Sorelle ci guardarono e ci sorrisero con un amore che non avevamo mai visto.
Il loro sguardo non era rassicurante, ma nei loro occhi c’era una luce nuova. Una luce che avevamo dimenticato. La luce della speranza.

Da quel giorno, noi Resistiamo. Ricordiamo e Resistiamo.
E anche nella tenebra più oscura, quando la nostra forza vacilla,
Ricordiamo chi siamo.
E sappiamo che non siamo mai sole.

***

Nota:

Il testo è ispirato da “Le Figlie della Donna di Rame”, di Anne Cameron, e dalle ricerche di Heide Goettner-Abendroth, inerenti in particolare alle invasioni degli Europei nelle terre lontane dell’America e del Canada.
Ogni Donna dallo spirito antico è uguale a quelle terre, ovunque lei sia, ovunque sia nata o nascerà.
Noi tutte siamo terra devastata che attende la Guarigione, che solo dentro di noi possiamo ritrovare.

Fonti:

Le Figlie della Donna di Rame, Anne Cameron, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000
Le società matriarcali, Heide Goettner-Abendroth, Venexia, Torino, 2013

Testo di Violet. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.

La Raccoglitrici di Bellezza

Esisteva, un tempo, una bellissima fanciulla, che percorreva le vie più segrete e inviolate del mondo alla ricerca della bellezza. Portava abiti semplici e di fattura antica, ai piedini calzava un paio di graziosi zoccoletti, e allacciato in vita teneva un fine grembiule di lino.
Camminando senza mai stancarsi, la fanciulla cercava le infinite visioni della divina bellezza, che nascevano nei luoghi in cui la natura era rimasta pura, vergine e rigogliosa, e ogni volta che ne incontrava una se ne lasciava incantare dolcemente, si offriva alle sue gioiose emanazioni, si riempiva il grembo della sua magia, e in cambio le offriva un caldo sorriso, ringraziandola con amore.

La fanciulla camminava e camminava, e nell’infinito tempo del sogno raccoglieva la bellezza dentro se stessa, ovunque la trovasse… un florido frutteto pieno di meli in fiore, una brezza fresca che faceva fremere le foglie, un delicato bucaneve sbocciato al margine di un sentiero innevato, il silenzioso volo di una civetta fra le luminose stelle del cielo, un raggio di luna riflesso sulle calme acque di un lago di montagna, il cinguettio vivace di un’allodola, il gorgogliare argentino di un ruscello fra le rocce coperte di muschio, i tralci verde scuro dell’edera abbracciata a un vecchio faggio, il piumaggio turchino di un martin pescatore sulla superficie di un torrente, le bacche scarlatte di una grande rosa selvatica, il canto potente delle onde del mare, e tanti altri tesori partoriti da Madre Natura.
Piena di gioia e di armonia, la fanciulla camminava e raccoglieva. Si donava alla bellezza, la custodiva amorevolmente e sempre ne preservava il ricordo. E più la bellezza la riempiva più lei diventava bella, radiosa e felice. Più la bellezza la trasformava, più lei se ne faceva luminoso riflesso vivente.
Così, il bosco viveva in lei, la luna viveva in lei, l’acqua, i fiori, il fuoco, gli alberi, il vento, il mare vivevano in lei, e tutta la divina armonia viveva in lei, riempiendola di luce.
I suoi passi imprimevano tracce dorate sul sentiero della vita, il suo sorriso splendeva come un raggio di sole, i suoi occhi brillavano come le stelle, e sempre la fanciulla raccoglieva…
E nell’infinito tempo del sogno portava la bellezza nel mondo.

***

Raccogliere la bellezza significa lasciarsi incantare dall’armonia naturale, farsene invadere e riempire fino a sentirla vivere dentro di sé, fino a ricongiungersi ad essa in una gioiosa ed estatica comunione. 
Coltivando la capacità di aprirsi ad accogliere le infinite visioni armoniose che nascono da Madre Natura, diventa sempre più spontaneo offrirsi alla bellezza, commuovendosi e abbandonandosi ad essa senza alcun limite e sentendola risuonare nell’intimo del proprio grembo, ovvero in quell’intimità riposta che nella donna rappresenta la parte più magica e adatta a raccogliere e contenere il divino.
Ascoltando la natura con la pancia, lasciandosi ispirare dalle sue incantevoli emanazioni perché ci riempiano di dolcissimo e travolgente amore, ci si rende ad essa simili, e si trasforma il grembo in un luminoso calderone traboccante di di bellezza. Una sorgente inesauribile alla quale potremo attingere ogni volta che vorremo.

***

Ogni volta che, camminando nella natura, incontrate qualcosa che vi incanta profondamente e vi trasmette sentimenti d’amore, di tenerezza o di intensa emozione, dedicate a questa visione qualche istante. Lasciatevi pervadere dalla sua purissima bellezza, abbandonatevi senza trattenervi a ciò che vi suscita nell’anima, lasciate che canti dentro di voi e sentitela con la pancia, in modo istintivo e spontaneo. Offritevi ad essa, fatevi trasformare dalla sua magia armonizzante e rigenerativa, e raccoglietela in voi, riponendo il suo vivo ricordo nel grembo. In questo modo essa continuerà a vivervi dentro, risvegliandosi e incantandovi ogni volta che ne ravviverete la memoria.

Raccogliendo la bellezza ovunque la si incontri, ripetutamente e con amore incondizionato, si può ridestare l’antica armonia in noi stesse, sentendo nascere e rinascere tutta la florida natura nell’anima e nel grembo. Così si potrà, ogni giorno di più, nutrirsi di bellezza, amarsi nella bellezza, ubriacarsi di bellezza... e divenire donne gravide di bellezza

***

Soffiava una brezza leggera, che sembrava intonare un canto antico. Respirando profondamente, la fanciulla "sentì" il bosco intorno a lei. Per un momento breve, le sembrò di essere il vento invernale che la accarezzava dolcemente con mani fredde e pulite; e poi l'acqua del ruscello che gorgheggiava ininterrottamente, e le nuvole che danzavano nel cielo. Era come sentire tutto il bosco dentro di sé, e la fanciulla seppe che quello era un messaggio che le veniva inviato da qualcuno, un messaggio di felicità e di armonia.”

(...) Dentro di noi c'è tutto, c'è il bosco, ci sono l'aria ed i fiumi. Basta saperlo trovare, basta sentirlo e farlo vivere in noi.”

(Barbara Fiore, La Signora dell’antica Casa, Edizioni della Terra di Mezzo)

***

Dedico questo breve scritto alla donna che, anni fa, dopo una meravigliosa giornata immersa nell’incanto della natura, mi ha detto: “Ora puoi tenere tutto questo nella pancia. Tienilo nella pancia, e potrai ritrovarlo ogni volta che vorrai.”

Testo di Violet. E' concessa e incoraggiata la diffusione, sempre specificando il nome dell'autrice e citando la fonte. Grazie

Cailleach delle Nevi

Cailleach delle Nevi

"C’era una volta, tantissimo tempo fa, nelle regioni che allora erano sommerse dall’acqua, Cailleach, l’essere più vecchio che sia mai esistito.
Gli inverni erano le sue notti e le estati i suoi giorni. Fu Cailleach a formare le montagne quando, con le sue sorelle, scese sulla Scozia, molto tempo prima che i popoli la abitassero. Sorvolando le terre di Scozia esse gettarono pietre e, nei punti dove i massi cadevano, si formarono le montagne.
Passarono i secoli e Cailleach e le sue sorelle divennero vecchie e stanche. Popoli giovani iniziarono a popolare la Scozia ed esse si ritirarono sulle alte montagne dove le faccende umane non potevano disturbarle.

Il segreto per cui Cailleach e le sue sorelle sopravvissero così a lungo era la Fonte della Giovinezza, che sgorgava sulla vetta più alta delle montagne scozzesi.
Appena si presentavano i dolori della vecchiaia, esse iniziavano ad immergersi nelle fresche e chiare acque della fonte, da cui uscivano ogni volta giovani e forti come prima.
Ma, già all’arrivo dei primi popoli, le acque della Fonte della Giovinezza apparivano solo di tanto in tanto. Presto fu chiaro alle sorelle che, in futuro, ci sarebbe stata acqua sufficiente solo per una di loro.
“Tiriamo a sorte e vediamo chi sarà la fortunata a potersi bagnare ancora alla fonte, quando le acque riappariranno!” decisero. La prescelta si sarebbe immersa nell’acqua e ne sarebbe uscita ancora giovane, mentre le sorelle sarebbero invecchiate. La prescelta dalla sorte fu Cailleach e, mentre lei rimaneva sempre giovane, le altre sorelle furono colpite da tante infermità che non poterono più stare sulla Terra. Esse non morirono come gli umani, ma si sedettero ad osservare i laghi e le terre della Scozia, finché, una ad una, si trasformarono in pietre, diventando parte di quelle montagne che avevano creato; alla fine Cailleach rimase sola.
Piangeva le sorelle e diceva: “Ahimè! Dove saranno le mie sorelle, ora?” le sue lacrime si trasformarono in neve, i suoi sospiri divennero venti di burrasca e la terra fu sommersa dalla neve e dal ghiaccio.
Da quel momento la vita fu solitaria per Cailleach. Finché le sorelle erano in vita, i giorni e le notti passavano gioiosi. Ma ora non c’era nessuno ad aiutarla e Cailleach divenne feroce come una mattina gelida, quando il sole non riesce ad uscire dalle nuvole.
Ella cercava di sbrigarsela al meglio: si cuciva i vestiti con i veli del tempo o con le nuvole lavorate a maglia e i mantelli con le notti stellate.
I suoi stivali erano fatti con la pelle delle innumerevoli renne che popolavano allora le terre di Scozia.
Esse guidavano anche il carro con cui Cailleach trasportava la carne e il latte.
Quando voleva lavare i vestiti, li gettava nel vortice del Corryvrekin e le sue acque, sempre in tumulto, glieli restituivano puliti.
Quando le ossa dolevano e la forza veniva meno, Cailleach si immergeva nelle acque magiche della Fonte della Giovinezza.
La fonte però, non aveva più il potere di un tempo e l’acqua scarseggiava.
Cailleach doveva affrettarsi a buttarvisi, prima che arrivasse qualche uccellino a dissetarsi.
La sua vita si trasformò in un inverno perenne. Col passare del tempo non sopportò più i caldi mesi estivi e si nascose nelle valli buie e fredde delle montagn più alte, tra le rocce più nascoste e impervie.
All’arrivo dell’inverno ricominciava a vagare solitaria.
Con il suo mantello di pietra colpiva la terra finché non diventava dura, gelata e senza un filo d’erba. Con l’arrivo della primavera Cailleach sedeva su una montagna e si lamentava per la giovinezza perduta: “Ahimè! Dove sono finiti i giorni spensierati che ho vissuto con le mie sorelle?”.
Ogni suo respiro si trasformava in un vento potente che riuniva nuvole nere nel cielo e la gente diceva: “Cailleach piange le sue sorelle!” e i pescatori preferivano non uscire in mare, perché i suoi sospiri e i suoi lamenti potevano generare tempeste che li spingevano lontano dalla terraferma.
I giorni e gli anni passavano, la Fonte della Giovinezza s’inaridiva e Cailleach era sempre meno giovane e agile. I lavori che un tempo svolgeva con facilità ora le apparivano duri.
Aveva ormai bisogno di un aiutante che svolgesse i compiti quotidiani: pescare nei laghi, cucire i vestiti, preparare il pranzo e pettinarla.
Cailleach percorse così l’intera Scozia e rapì giovani donne. Sceglieva sempre le più agili, forti e belle, strappandole alle loro case e alle loro famiglie. Ma Cailleach viveva così a lungo che, una ad una, le fanciulle invecchiarono e poi morirono. La gente aveva paura a far uscire le proprie donne perché Cailleach poteva portarle via: era divenuta una rapitrice sempre più abile. L’inverno era diventato per lei la stagione della forza, quando riusciva ad assumere le sembianze di diversi animali, come una grassa scrofa, un lupo feroce, un’anguilla scivolosa o un’esile gru.
A quei tempi viveva una fanciulla di nome Bride, che abitava nella casa di un druido insieme a sua madre, che ne era la domestica.
Bride badava alle pecore e le portava a pascolare sulle montagne. Il druido le aveva dato un fischietto d’osso, dicendole: “Quando sei lassù in montagna tutta sola, tieni questo fischietto al collo perché Cailleach è alla ricerca di una nuova aiutante e può apparirti sotto varie sembianze. Se vedi una grassa scrofa, un lupo feroce, un’anguilla scivolosa o un’esile gru, usa il fischietto ed esso ti proteggerà”.
Un giorno, mentre Bride era sulle montagne con il suo gregge, scese una spessa nebbia ghiacciata che le fece perdere il senso dell’orientamento.
Così inizio a chiamare ad alta voce le pecore. Sentendo il suono delle loro unghie sulle rocce, la ragazza allungo una mano, ma non tocco lo spesso vello di una pecora, bensì la grassa e rugosa pelle di un maiale. Velocemente si portò il fischietto alla bocca ma, prima che potesse usarlo, fu portata via da Cailleach. 
Il fischietto cadde e si perse nella nebbia gelata.
Cailleach portò Bride nella sua caverna e le ordinò di mungere le renne che popolavano la valle.
La ragazza, che passava le sue giornate a mungere e a fare il formaggio con il latte delle renne, sentiva molto la nostalgia di casa. Le stagioni passavano e Bride continuava a cercare il suo fischietto, ma non riuscì mai a trovarlo.
Un giorno Cailleach prese le sembianze di una gru e portò con sé Bride fino al mare, dove le diede una canna da pesca.
“Dovrai riempire questo cesto di pesce, prima che cali la notte!” ordinò. “Torneò a prenderti prima che il sole tramonti!”.
Con le mani che tremavano per il freddo, Bride agganciava le esche all’amo e pescava, piangendo silenziosamente al ricordo di sua madre.
Mentre la ragazza piangeva, le si avvicino un uccello bianco e nero con un lungo becco rosso che la chiamò: “Klee-ee, klee-ee!”.
Era proprio il druido che si era trasformato in una beccaccia di mare per cercarla.
“Continua a pescare, Bride, e ascoltami! Ti sto cercando da quasi un anno. Il tempo sta inesorabilmente passando per Cailleach e sta arrivando il suo momento. Fai come ti dico: non solo presto sarai libera dalla schiavitù di Cailleach, ma potrai acquisire anche i suoi poteri e la sua saggezza. Sono certo che quell’essere non potrà sopravvivere a lungo senza gettarsi presto nelle acque magiche della Fonte della Giovinezza.”
“Che cosa devo fare?” sospirò Bride, gettando un altro pesce nella cesta di vimini.
“Tre cose ti ridaranno la libertà. Dapprima dovrai scoprire qual è il suo nome segreto, poi dovrai trovare a Fonte della Giovinezza e come prova ultima, ma non meno importante, dovrai sopraffare la morsa del gelo invernale, perché la primavera torni presto. Per scoprire il suo nome, dovrai chiederle da quanto tempo vive. Ascolta con attenzione la sua risposta e poi, quanto tornerò da te, dovrai riferirmela parola per parola.”
Quella sera Bride accese un bel fuoco, diede a Cailleach una ciotola di latte di renna e, timidamente, le chiese: “Suppongo tu viva da molto tempo, grande Cailleach”.
“Ah bambina! Sono nata avanti il tempo stesso e vivevo già prima che le montagne vedessero sorgere le loro vette e le valli fossero sommerse dai laghi. Si, la Figlia delle Spoglie Mortali, allora, era già nata!”, racconto Cailleach con tristezza e poi tacque.
La beccaccia di mare ritornò e ascoltò attentamente ciò che Bride le riferiva.
“Il nome segreto di Cailleach è “Nic Neven”, la Figlia delle Spoglie Mortali” le disse il druido.
“Conoscendo il suo segreto ormai potrai scoprire dove si trova la Fonte della Giovinezza e assicurarti che la prossima volta non si getti nelle sue acque. Il tempo della nuova cerimonia di rigenerazione è vicino e, se fallirà, Cailleach morirà. Dovrai seguirla ogni istante, da questo momento in poi, ma prima dovrai raccogliere dei giunchi sulle rive del lago e intrecciarli, dando loro questa forma.”
E così dicendo, con il suo lungo becco, disegnò sul terreno una stella a tre punte.
“Avrai bisogno di questa stella a tre punte per sigillare la fonte, altrimenti Cailleach non morirà!” aggiunse l’uccello.
Quando Cailleach tornò alla caverna, quella sera, la ragazza stava intrecciando a forma di stella i giunchi raccolti sulle rive del lago.
Il giorno successivo Cailleach assunse le sembianze di un lupo feroce per recarsi alla fonte.
Bride la seguì, mantenendosi ad una certa distanza, ma non era ancora giunto il momento per le acque di apparire in superficie e Cailleach, sempre sotto le spoglie di un lupo, discese la montagna.
Bride, invece, andò alla fonte e, proprio come il druido le aveva detto, posò l stella atre punte all’interno della cavità da cui sarebbero dovute sgorgare le acque della Fonte della Giovinezza, dicendo: 

Nel nome dell’antica Nic Neven
chiudo questa fonte con il sigillo divino.
Per le scintille del sole e le sue lingue di fuoco
Possano le acque della fonte mai più risorgere
Finché io non le chiamerò
E solo allora le acque sgorgheranno in superficie!

Poi la ragazza incontrò nuovamente il druido, sempre celato sotto le spoglie di una beccaccia di mare, e gli disse: “Ho fatto tutto ciò che mi hai detto, ma ora, come potrò sopraffare la morsa del gelo invernale, per fare in modo che la primavera torni presto?” 
Il druido rispose: “Taglia un ramo di betulla dall’albero che è cresciuto in fondo alla valle e insegna a Cailleach la Danza della Foschia. È sicuramente tanti anni che non balla e sarà felice di farlo. Dovrai insegnarle tutti i passi e i movimenti, poi le darai il ramo di betulla da tenere in mano, spiegandole i gesti successivi fanno parte della danza stessa. Quindi coricati a terra e dille di toccarti, con il ramo di betulla, le mani i piedi e la bocca. Tu morirai per un breve tempo, ma non preoccuparti, perché io sarò al tuo fianco, fischiettando la Danza della Foschia. Sii determinata e non avere paura, perché Cailleach vorrà danzare ancora e per questo ti soffierà sulle mani, sui piedi e sulla bocca e ti ridarà la vita. Quando sarà arrivato anche il suo momento di coricarsi a terra, dovrai toccarle, con il ramo di betulla, le mani, i piedi e la bocca: lei si tramuterà in pietra e tutti i suoi poteri e la sua saggezza passeranno a te. Ma non soffiarle sulle mani, piedi e bocca, altrimenti si risveglierà”.
Bride tagliò un ramo di betulla e lo nascose sotto il mantello. Più tardi, quella sera, la fanciulla andò da Cailleach e le disse: “Le nostre notti sono così lunghe e noiose senza un po’ di musica! Mi chiedevo se avessi voglia di ballare, grande Cailleach.”
Cailleach emise un lungo sospiro: “È da tantissimo tempo che non danzo, come ero solita fare con le mie sorelle giù nella vallata. Ora sono troppo vecchia e poi non abbiamo musica!”.
“A quella ho pensato io. Ho insegnato a questo uccello la melodia di una danza, l’unica che è riuscito ad imparare”, rispose la ragazza.
La beccaccia di mare, obbedendo agli ordini di Bride, inizio a fischiettare la Danza della Foschia dal ritmo allegro e brioso. I piedi di Cailleach si mossero e presto ella pregò Bride di insegnarle quella danza.
La ragazza afferrò il ramo di betulla, che aveva posato su una catasta di legna, così da far apparire il gesto del tutto casuale, e mostrò a Cailleach come muoversi.
“Prima ci portiamo entrambe in avanti e poi facciamo un passo indietro, quindi ci sfioriamo e ci scambiamo il posto, battendo il ramo sul terreno a ritmo della musica”.
Presto Cailleach fu senza fiato: “È una danza molto impegnativa”, commentò.
Bride sorrise e disse: “Si, ma a turno ci riposeremo – in questo modo. Dapprima una delle due darà un colpetto sulla testa dell’altra, che si coricherà a terra. Poi, quella che è ancora in piedi darà alla compagna un colpetto sulle mani, sui piedi e uno sulla bocca. Quando quella sarà immobile, l’altra le soffierà sulle mani, sui piedi e sulla bocca: entrambe ci ritroveremo in piedi e ci scambieremo di ruolo. Sei pronta a cominciare? Inizia tu, tieni il ramo di betulla e io mi sdraierò, mentre tu imparerai la danza. Poi sarà il tuo turno di sdraiarti a terra così potrai riposarti quanto vorrai.”
“Bene!” disse Cailleach. Dapprima Cailleach toccò Bride sulla testa poi la ragazza si sdraiò a terra.
Con il ramo di betulla Cailleach toccò le mani e i piedi della ragazza mentre quest’ultima, a terra, tremava per la paura: credeva ciecamente nel druido, ma non era sicura che Cailleach si ricordasse di soffiarle sulle mani, sui piedi e sulla bocca. Se non l’avesse fatto Bride sarebbe morta.
Quindi Cailleach le toccò la bocca con il ramo di betulla e Bride sentì che la sua vita si allontanava.
La beccaccia di mare continuò a fischiettare, ma Bride non sentì più nulla finché Cailleach non le soffiò sulla bocca, dopo averle soffiato anche sulle mani e sui piedi.
“Ora è il tuo turno di danzare” le disse Cailleach, e così il rito iniziò nuovamente.
Questa volta fu Bride a toccare con il ramo di betulla Cailleach, che si era distesa a terra e, in quel momento, la terrà tremò.
Il ramo di betulla fece danzare ancora un po’ le mani e i piedi di quell’essere mostruoso, mentre gli aghi dei pini e i ghiaccioli che pendevano dalle rocce lì intorno cominciarono a tremare.
Quelli furono gli ultimi movimenti della Cailleach, perché, quando Bride le diede un colpetto con il ramo sulla bocca, l’essere mostruoso si trasformò in pietra.
La beccaccia di mare, rivolgendosi alla ragazza, le disse: “Ora tutti i poteri della Cailleach sono tuoi. Usa il ramo di betulla con saggezza e ricorda: mentre la luce scende, il freddo aumenta.”
Bride sentì il potere che cresceva dentro di lei e promise al druido che avrebbe utilizzato le sue nuove capacità per aiutare le persone che si trovavano in pericolo.
Poi disse ad alta voce:

Il potere di Nic Neven è vinto
Sorgete, acque, dalle cavità più profonde.
Per le scintille del sole e le sue lingue di fuoco
Possa il rigore dell’inverno essere vinto
e il freddo ghiaccio lasciare il posto alle fioriture di primavera!

Bride prese il ramo di betulla e la stella a tre punte che copriva la Fonte della Giovinezza e li alzò al cielo. Le acque, per il potere delle sue parole, sgorgarono dalla roccia e caddero come pioggia sulla Scozia, mischiandosi al ghiaccio e alla neve.
Ogni anno in Scozia, si ricorda ancora l’arrivo della primavera portando la stella di giunco, simbolo dell’alternanza delle stagioni e in ricordo di Bride, che viene invocata in caso di bisogno. In questo giorno viene ricordata anche la beccaccia di mare, chiamata “Gille Brighid” o “Serva di Bride”. In Scozia gli inverni non sono più così rigidi come una volta ma, se nevica o fa freddo, la gente del posto dice che è Cailleach che vaga, ancora una volta, per le terre scozzesi."

***

Nota bibliografica:

La storia, narrata da Caitlin Matthews, attinge dall'antica tradizione scozzese ed è contenuta nel libro Storie Celtiche, di Caitlin Matthews, illustrato da Olwyn Whealer, Edizioni IdeAli, 2004
Il Tempio della Ninfa

mercoledì 18 febbraio 2015

Vi aspettiamo!

Per info:pagina Facebook, Le Figlie dell'Antica Religione.
Evento:Beltane con Le Figlie dell'Antica Religione.Un'Energia che va oltre....

martedì 17 febbraio 2015

La Stregoneria non è per tutti

La Stregoneria non è per tutti. Non è per coloro che sono irascibili o che hanno recriminazioni. Non è per coloro che amano il potere o che calpestano gli altri per ottenere il successo. Non è per i bigotti, per i millantatore, né per i superbi. Semplicemente non funziona in questo modo.
E non è neppure un gioco in cui si recita una parte. Non ha nulla a che fare con gli incantesimi preconfezionati, né con il volare nell'aria, o il lanciare fulmini dalla punta delle dita. Non riuscirete a passare attraverso gli specchi senza farvi male, o a materializzare migliaia di dollari con un semplice schiocco di dita. E, per quanto vi sforziate o per quanto abili siate, non vi darà il potere di trasformare in ranocchi i vostri nemici così da poterli scaricare in mezzo  a un'autostrada .Queste cose non accadono nella vita reale. Meglio lasciarle ai film.

Dorothy Morrison

lunedì 16 febbraio 2015

Frassino,culla della vita, il gigante buono...un protettore della giovinezza

Albero Frassino

Più ascendiamo nella nostra crescita interiore e maggiormente dobbiamo ancorare il nostro Io nella terra come fa il frassino, per essere ben radicati, per stare con i piedi ben piantati per terra: per il frassino sarebbe uno sbaglio fare come molti pseudo spiritualisti che, ad ascoltarli, si capisce benissimo come non siano più collegati alla realtà.

I celti pensavano che il frassino unisse il cielo e la terra, per consentire che le due parti si scambiassero energie e anime, infatti questo albero viene usato spesso per rappresentare l'Yggdrasill, il sacro albero celtico-druidico, sul quale ci si arrampica per raggiungere il celebre campo degli Dei dove ogni giorno si beve idromele, si combattono le guerre tra dei per poi tornare interi, senza che la morte possa toccare nessuno. Anche se il frassino viene associato all'elemento aria, esso è simile all'elemento fuoco poiché ha un forte potere di combustione, bruciando con un calore intenso, anche se verde, questo fece sorgere idee collegate alla risurrezione e al rinnovamento tra la cultura celtica.

Simbolismo albero frassino

Il frassino era comunemente usato nelle cerimonie per i rituali di protezione, perché si credeva che grandi energie fossero contenute al suo interno, in particolare, il frassino si pensava ottimo per custodire i bambini proteggendoli dal male, spesso infatti era usato come agente di guarigione per le malattie infantili, sotto forma di tisane e preparati erboristici. La sua associazione con i bambini può ricordare molti miti nordici all'interno della tradizione celtica, in alcune leggende il frassino era ritenuto la culla della vita, il gigante buono e un protettore della giovinezza.

 
SCRITTO DA ENRICO SANTARATO.

venerdì 13 febbraio 2015

Origine Pagana di San Valentino

da LUPERCUS a San VALENTINO

San Valentino, oggi nota come festa degli innamorati, è una delle tante ricorrenze ormai del tutto commercializzate, le cui origini pagane furono cancellate dalla tradizione cristiana con la sovrapposizione di un santo, e talvolta con la perdita del significato originale della festa. 

Come ben sappiamo i popoli antichi, per lo più dediti alla pastorizia e all'agricoltura, tenevano in grande considerazione i momenti più importanti del ciclo della natura, dal suo risveglio, al raccolto, alla nascita degli agnelli e dei vitelli e tutto quanto era connesso ai ritmi della terra e della vita agricola.
Ne è dimostrazione la ruota dell'anno del calendario celtico, ove ogni festività segna un importante momento di passaggio nel ciclo della natura e come conseguenza nella vita dell'uomo che vive a contatto con essa. 
E così anche gli antichi romani avevano i loro riti e divinità, con cui celebravano i momenti più importanti del ciclo agricolo e pastorizio. 

Ebbene, Febbraio era un mese particolare, che segnava il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile. 
Un mese da molte culture dedicato alla purificazione, ma anche il mese in cui si manifestano i primi segni del risveglio della natura.
Le prime gemme erano pronte a fiorire, mentre negli ovili già nascevano gli agnelli, e i lupi, affamati dal lungo inverno, scendevano a valle in cerca di cibo, minacciando i greggi. 
Così i romani, che con i lupi avevano indubbiamente un rapporto di odio e amore, per via della lupa che allattò i famosi gemelli, si rivolgevano al loro dio della natura selvaggia in cerca di protezione. 
Lupercus era il nome di questo dio, un fauno cacciatore di ninfe, sposo e fratello di Fauna, una delle tante rappresentazioni femminili di Madre Natura.
Si narra che Lupercus proteggesse i greggi dai lupi e riscuotesse in cambio tributi di cacio e ricotta dai pastori. 
In suo onore gli antichi romani celebravano ogni anno un'importante festa, chiamata i lupercali, che guarda un po', si svolgeva proprio il 15 febbraio.

LUPERCUS FAUNUS

Lupercus Faunus non è che uno dei volti del Fauno, un Dio della natura selvaggia e degli istinti, prima figlio e poi consorte di Fauna (1), Dea della natura che fece, come tutte le Dee Vergini, un figlio senza il concorso del marito, e che in seguito con lui si accoppiò.
Veniva rappresentato col flauto, la cornucopia, abbigliato con pelli di capra e armato da una clava da pastore. (2) 
La sua sposa dunque era Fauna, chiamata anche Fatua e in versioni più tarde fu associato al Dio greco Pan, oltre che al Satiro.
Il nume di Luperco gli deriva dalla qualità di difensore delle greggi dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (Lupercus = lupus + hircus).
Il Dio aveva doti profetiche e per questo era soprannominato Fatuus. Ma era anche nume ispiratore e invasante, che cacciava per possedere le sue prede, le Ninfe delle fonti e delle sorgenti, le quali, di conseguenza, divenivano simili alle Sibille nel loro profetare. 
A lui si attribuisce anche l’invenzione degli antichissimi versi saturnii su cui si fonda la poesia latina. 
E' dunque dio d’ispirazione profetica e poetica, come Pan e come le Ninfe a cui è connesso, anche associato al timor panico, con apparizioni spaventose e voci soprannaturali. 
Fauno nei secoli assunse significati diversi, da Dio dell’abbondanza, dipinto sulle pareti di quasi tutte le abitazioni greche e latine, simbolo di prosperità e della bella vita, cui si rivolgevano continuamente tutte le preghiere dei pastori e dei contadini, loro protettore e “lupercolo” benigno per i loro greggi.... fino ad essere considerato infimo demone dei campi che non dava consigli utili agli uomini ma li esortava solo al divertimento sfrenato. 

I LUPERCALI 

"Lupercalia dicta, quod in Lupercali Luperci sacra faciunt. Rex cum ferias menstruas Nonis Februariis edicit, hunc diem februatum appellat; februm Sabini purgamentum, et id in sacris nostris uerbum non ignotum: nam pellem capri, cuius de loro caeduntur puellae Lupercalibus, ueteres februm uocabant, et Lupercalia Februatio, ut in Antiquitatum libris demonstraui." (3)

I lupercali, come tutte le feste primaverili che celebrano il risveglio di Madre natura, era un'importante e godereccia festa attraverso cui le genti dell'antica Roma solevano festeggiare l'avvicinarsi della bella stagione e contemporaneamente propiziarsi buoni futuri raccolti e la fecondità della terra e dei suoi abitanti. 
Per fare questo essi si purificavano ed inscenavano un loro particolare rito.

Pare che i lupercali si tenessero nei dintorni della grotta sacra a Luperco, ai piedi del Palatino, grotta in cui secondo la leggenda la famosa lupa trovò ed allattò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma.

Qui i sacerdoti offrivano alla dea-lupa la mola salsa (tritello di farro misto con il sale) preparata dalle vergini Vestali, sacrificavano una capra (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione) e con il sangue degli animali battezzavano due fanciulli: il sacerdote ungeva le loro fronti con la lama insaguinata usata per i sacrifici per poi ripulirle con bende di lana bagnate nel latte mentre i pargoli ridevano fragorosamente, come prescritto dalla liturgia.

I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta seminudi, con i soli fianchi coperti da una pelle di capra, le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia, correndo per la Via Sacra armati di februa (lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro da cui deriva il nome del mese di febbraio) in cerca di giovani donne da “fecondare”. Tutti coloro che erano colpiti dalla februa venivano “purificati” e resi fertili, sia la terra che gli individui.

In particolare le donne, per ottenere la fecondità, offrivano volontariamente il ventre (in seguito, al tempo di Giovenale ai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle mani). 
I luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino. 

La festa prevedeva oltre alla rappresentazione nel lupercale anche una simpaticalotteria a sfondo amoroso e sessuale dove i nomi delle giovani vergini e quelli dei giovani aspiranti uomo-lupo erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori. 
Due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano un bigliettino formando così le coppie, che avevano a disposizione un anno per provvedere alla fertilitè di tutta la comunità, con la benedizione di tutti gli dei (marte, romolo, pan, fauno luperco) e delle grandi madri romane (ruma, rea silvia, fauna, acca laurentia) incarnatesi nel modello mitico universale noto come la lupa. 
Il culto di Luperco era molto sentito ed i Lupercali rimasero una ricorrenza significativa per i Romani , anche dopo l'avvento del Cristianesimo. 
L'antico rito pagano infatti fu celebrato fino al V° secolo dopo Cristo, quando subentrò la nuova festa cristiana nota come San Valentino, o Festa degli innamorati. 

I LUPERCI

I luperci erano i sacerdoti del dio Lupercus e nell'antica Roma godevano di un gran prestigio.
Diretti da un unico magister, essi erano divisi in due schiere di dodici membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani -"dei Fabii", fondati da Remo, e Luperci Quinctiales -dei Quinctii", fondati da Romolo (ai quali per un breve periodo Gaio Giulio Cesare aggiunse una terza schiera chiamata Luperci Iulii, in onore di se stesso).
In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi, mentre da Augusto in poi la cosa fu ritenuta sconveniente e ne fecero parte solo giovani appartenenti all'ordine equestre. 
Plutarco riferisce nella vita di Romolo che il giorno dei Lupercalia, venivano iniziati due nuovi luperci (uno per i Luperci Fabiani e uno per i Luperci Quinziali) nella grotta del Lupercale, con il rito sopra descritto del sacrificio della capra e del cane.
Questa cerimonia è stata interpretata come un atto di morte e rinascita rituale, nel quale la "segnatura" con il coltello insanguinato rappresenta la morte della precedente condizione "profana", mentre la pulitura con il latte (nutrimento del neonato) e la risata rappresentano la rinascita alla nuova condizione sacerdotale.

DAI FAUNI A SAN VALENTINO

Sin dai primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero demonizzate e in particolare i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani, si trasformarono in orribili diavoli, precisamente con le corna, gli zoccoletti e la coda. 
Nel medioevo infatti, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani per il loro aspetto animalesco, per i loro doni profetici, ma soprattutto per il loro carattere istintivo ed erotico, connesso ai culti della fertilità. 
Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati «incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane. 
Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali, sebbene tali non fossero. 
Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente, da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della Natura selvaggia, viva, numinosa, e dunque, ai loro occhi, diabolica: la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo, ad essere perseguitata. 
Fu così che la festa di Fauno fu gradualmente sostituita con la festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni sessuali.

LA DEA LUPA

Ben prima che toccasse ai Fauni, la triste sorte accadde anche alla Dea della natura selvaggia, la grande Madre o Dea Lupa.
La nascita dell'antica Roma corrisponde ad un tempo in cui il patriarcato ha già avuto il sopravvento ed erano gli Dei maschi a dominare 
lo scenario religioso. 
In particolare Marte, dio guerriero e dominatore, suscita la maggior devozione di questo popolo molto impegnato con le guerre di conquista e quindi dotato di un potente esercito.
Per quanto riguarda le Dee, a parte le divinità greche importate a roma con nome latino (Vesta, Minerva, Venere, Cerere), i popoli avevano una particolare predilezione per la Dea Acca Larentia, una Dea prostituta (guarda caso) e protettrice di Roma ma soprattutto della plebe. 
I miti che la riguardano sono vari.
Per alcuni si trattava di una semplice donna che guadagnò il favore degli Dei stando per una notte intera in adorazione nel tempio di Eracle. Appena uscita dal tempio incontrò tal Caruzio, Taruzio o Taurilio, uomo ricchissimo, che se ne innamorò e la sposò, lasciandola poi erede della sua immensa fortuna. Alla sua morte Acca lasciò tutto il patrimonio al popolo romano. Tutto questo sarebbe accaduto al tempo di Anco Marzio. Il re, in segno di ringraziamento, le avrebbe fatto costruire una magnifica tomba sul Velabro, il mitico luogo del rinvenimento dei gemelli, nei pressi della porta Romanula. 
Secondo Plinio e Gellio invece, Acca era la nutrice dei gemelli, ed ebbe anche dodici figli maschi che diventeranno poi i fratelli Arvali, costituendo il celebre collegio sacerdotale, adoratore di Dia, antichissima Dea. 
Secondo un altro mito essa era una tipina un po' dissoluta, moglie del pastore Faustolo (il nome probabilmente deriva dal Dio Faunus), che si fece però carico dei fatali gemelli fondatori di Roma, per altri una prostituta vera e propria che fece loro da balia. 
In un altro mito essa era la famosa lupa che li allattò sulle rive del Tevere.

Ma tutti questi miti sono solo la versione patriarcale di una storia ben più antica:

Larentia era in origine la Grande madre, o Madre Natura, la prostituta sacra che si accoppia con chiunque e produce di tutto, dalle piante agli animali e agli uomini. E' in suo nome che si effettuava la prostituzione sacra, la ierodulia, e le stesse sacerdotesse, in onore della Dea selvaggia, la Dea lupa, indossavano pelli di lupo e ululavano ai viandanti. Non a caso gli antichi postriboli erano detti "lupanare" (4).
Allo stesso modo in cui il Fauno fu gradualmente sostituito da un santo, così anche la sua controparte femminile, potente e istintiva,
fu sostituita da divinità mano a mano sempre meno potenti, fino ad arrivare alla totale castrazione della componente istintiva e sessuale.

Tutto questo mi ricorda il testo con cui si apre il celebra libro di Pinkola Estès, dal significativo titolo "Donne che corrono con i lupi":
"Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l'ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe". 

E S. VALENTINO?

Valentino era un vescovo di terni e suo patrono dal 1644, e come tale professava la fede cristiana nell'epoca delle persecuzioni nel sacro romano impero, pagano e politeista. Accadde che non solo convertì al cristianesimo un filosofo romano di nome Cratone, ma commise anche l'errore di sposare una coppia di giovani innamorati (tale fanciulla di nome Serapia con un centurione romano non meglio identificato), andando contro l'editto di claudio II, che aveva vietato ai suoi legionari il matrimonio con le fedeli cristiane. Per questo il vescovo fu giustiziato e in seguito fatto santo e commemorato, dal 496 d.c. nello stesso giorno in cui si teneva la festa dei lupercali. La leggenda narra che poco prima di essere giustiziato, Valentino fece un miracolo. Il 14 febbraio lasciò un bigliettino alla figlia non vedente del suo carceriere asterio, di cui si era platonicamente innamorato, su cui era scritto "dal tuo valentino". Ella lo lesse ritrovando la vista e da ciò sembra derivare l'usanza di scambiarsi messaggini d'amore nel giorno di san valentino. 

Esistono alcune graziose leggende d'amore su San Valentino (5), ma la cosa buffa è che la chiesa stessa soppresse questa festa dal 1969. 
Ciò nonostante continua a comparire su alcuni calendari, fortemente promossa non tanto dagli innamorati quanto dai mass media e dalla grande industria del consumisto che nel nome dell'amore fa i suoi ricchi bottini.
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ote

(1) Nell'antica Roma Fauna venne identificata con varie Dee tra cui Bona Dea, Cerere e Cibele. Nel suo tempio era proibito il mirto, perchè secondo la leggenda suo marito l'avrebbe con un ramo di mirto fustigata per essersi lasciata andare al vino. Si usava al suo posto il latte. Ma in realtà ciò che era vietato veniva usato nei sacri misteri. Il vino era il sangue della Madre Terra che poteva essere bevuto solo in condizioni di purezza spirituale, cioè durante i sacri misteri, e il mirto era sacro alle Grandi Madri, in particolare a Venere. 

(2) In alcuni miti si dice un antico re del lazio, nipote di saturno o di marte, figlio di Pico e Canente, o Pico e secondo l'Eneide padre del re Latino. Secondo questo mito dopo la morte Fauno fu venerato come protettore di raccolti e armenti con il nome i Inuus o Ianus la cui consorte era Ianua da cui deriverebbero Giano e Giunone, ma aveva pure potestà oracolari quale consorte di Fatua, con il nome Fatuus. 
Secondo un mito latino era invece figlio di Giove e Circe.
Secondo dei miti romani, ripresi poi nell'Eneide da Virgilio, Fauno era lo sposo di Marica, divinità delle acque e dei boschi, dalle quale ebbe il futuro re Latino. Venerata in un bosco sacro, Marica fu in realtà un’immagine o un aspetto della Signora degli Animali, l’antica Potnia, altri aspetti della quale sono Fauna e Kirke. Sempre per Virgilio - Eneide - il re Latino: "si rivolge agli oracoli di Fauno, il padre profetico, e consulta i divini boschi sotto l’alta Albunea, massima tra le selve, che risuona dal sacro fonte ed esala violenti vapori mefitici".
Secondo una tradizione riferita da Nonno di Panopoli nelle «Dionisiache», Fauno era figlio di Poseidone e di Kirke, e della madre, la quale amava gli alti monti rocciosi e boscosi, e dimorava nelle ombrose sale di un palazzo di roccia, aveva appreso le arti. Da lei aveva imparato a conoscere i boschi solitari e i loro segreti. Altri lo identificavano con Agrio (il «selvaggio»), e Fauno sarebbe allora figlio di Kirke e di Odisseo. Secondo un’altra tradizione, invece, è figlio di Kirke e di Pico, primo nume oracolare, trasformato in picchio dalla Dea stessa quando ha osato rifiutarne l’amore. Come Kirke, vive nella foresta ed è Signore degli Animali. 
Sia come cornuto e caprino, sia come lupesco, sembra connesso al mondo infero. Per altri ancora fu il terzo re preistorico dell'Italia, e avrebbe introdotto nella penisola il culto delle divinità e l'agricoltura; dopo la morte fu venerato come dio dei boschi, protettore di greggi e armenti. Secondo altre fonti, i Fauni sarebbero stati antichi pastori, abitanti, ai primordi del mondo, nel territorio sul quale verrà fondata Roma. 
Nell'Eneide Fauno è il padre del giovane guerriero italico Tarquito ucciso da Enea in combattimento. Tarquito era un semidio, figlio della ninfa Driope. Secondo un’altra tradizione è fratello e marito di Fauna, Signora degli Animali come Kirke e come Diana, nonché identificata con Bona Dea, e soprannominata a sua volta Fatua. In un’altra versione, Bona Dea è sua figlia, e lo respinge, quando lui la insidia. In seguito, però, egli riesce a congiungersi con lei dopo essersi trasformato in serpente. Ma questi sono miti elaborati successivamente, perchè nel mito più arcaico era figlio e paredro della Dea Madre. Tutto ciò, inoltre, lo accosta a Pan, che ha simili caratteristiche. 

(3) Terenzio Varrone, De lingua latina

(4) Sembra che Acca Larentia fosse denominata anche Mater Larum o "Madre dei Lari", del resto in sanscrito Akka significa Madre, ma fu anche un nome di Demetra, Acca Demetra, in qualità di nutrice. 
Romolo e Remo infatti furono celebrati come Lari di Roma, gli antenati protettivi. 
Acca Larenzia viene identificata con una divinità ctonia, custode del mondo dei morti, Larenta, o Larunda, come era chiamata dai Sabini. Larenta, o "Dea Muta" era una divinità femminile del sottosuolo e dell'oltretomba, quindi il lato oscuro della Madre Natura, quello relativo alla morte.

(5) Le leggende d'amore su san Valentino

Leggenda dell’Amore Sublime 
Questa leggenda narra di un giovane centurione romano di nome Sabino che, passeggiando per una piazza di Terni, vide una bella ragazza di nome Serapia e se ne innamorò follemente. Sabino chiese ai genitori di Serapia di poterla sposare ma ricevette un secco rifiuto: Sabino era pagano mentre la famiglia di Serapia era di religione cristiana. Per superare questo ostacolo, la bella Serapia suggerì al suo amato di andare dal loro Vescovo Valentino per avvicinarsi alla religione della sua famiglia e ricevere il battesimo, cosa che lui fece in nome del suo amore. Purtroppo, proprio mentre si preparavano i festeggiamenti per il battesimo di Sabino (e per le prossime nozze), Serapia si ammalò di tisi. Valentino fu chiamato al capezzale della ragazza oramai moribonda. Sabino supplicò Valentino affinché non fosse separato dalla sua amata: la vita senza di lei sarebbe stata solo una lunga sofferenza. Valentino battezzò il giovane, ed unì i due in matrimonio e mentre levò le mani in alto per la benedizione, un sonno beatificante avvolse quei due cuori per l’eternità. 

Leggenda della Rosa della Riconciliazione 
Un giorno San Valentino sentì passare, al di là del suo giardino, due giovani fidanzati che stavano litigando. Decise di andare loro incontro con in mano una magnifica rosa. Regalò la rosa ai due fidanzati e li pregò di riconciliarsi stringendo insieme il gambo della rosa, facendo attenzione a non pungersi e pregando affinché il Signore mantenesse vivo in eterno il loro amore. Qualche tempo dopo la giovane coppia tornò da lui per invocare la benedizione del loro matrimonio. La storia si diffuse e gli abitanti iniziarono ad andare in pellegrinaggio dal vescovo di Terni il 14 di ogni mese. Il 14 di ogni mese diventò così il giorno dedicato alle benedizioni, ma la data è stata ristretta al solo mese di febbraio perché in quel giorno del 273 San Valentino morì. 

Leggenda dei Bambini 
San Valentino possedeva un grande giardino pieno di magnifici fiori dove permetteva a tutti i bambini di giocare. Si affacciava sovente dalla sua finestra per sorvegliarli e per rallegrarsi nel vederli giocare. Quando venive sera, scendeva in giardino e tutti i bambini lo circondavano con affetto ed allegria. Dopo aver dato loro la benedizione regalava a ciascuno di loro un fiore raccomandando di portarlo alle loro mamme: in questo modo otteneva la certezza che sarebbero tornati a casa presto e che avrebbero alimentato il rispetto e l’amore nei confronti dei genitori. Da questa leggenda deriva l’usanza di donare dei piccoli regali alle persone a cui vogliamo bene. Leggenda dei Colombini Il sacerdote Valentino possedeva un grande giardino che nelle ore libere dall’apostolato coltivava con le proprie mani. Tutti i giorni permetteva ai bambini di giocare nel suo giardino, raccomandando che non avessero fatto danni, perché poi la sera avrebbe egli regalato a ciascuno un fiore da portare a casa. Un giorno, però, vennero dei soldati e imprigionarono Valentino perchè il re lo aveva condannato al carcere a vita. I bambini piansero tanto. Valentino, stando in carcere pensava a loro, e al fatto che non avrebbero più avuto un luogo sicuro dove giocare. Ci pensò il Signore. Fece fuggire dalla gabbia del distratto custode due dei piccioni viaggiatori che Valentino teneva in giardino. Questi piccioni, guidati da un misterioso istinto, trovarono il carcere dove stava chiuso il loro santo padrone. Si posarono sulle sbarre della sua finestra e presero a tubare fortemente. Valentino li riconobbe, li prese e li accarezzò. Poi legò al collo di uno un sacchetto fatto a cuoricino con dentro un biglietto, ed al collo dell’altro legò una chiavetta. Quando i due piccioni fecero ritorno furono accolti con grande gioia. Le persone si accorsero di quello che portavano e riconobbero subito la chiavetta: era quella del giardino di Valentino. I bambini ed i loro familiari si trovavano fuori del giardino quando il custode lesse il contenuto del bigliettino. C’era scritto: “A tutti i bambini che amo, dal vostro Valentino”. 

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Fonti:

wikipedia
www.sacroromanoimpero.com 
il "Dizionario di mitologia classica"
immagini tratte dalla rete
Ricerca di Manuela Caregnato 
Inserito nel sito www.ilcerchiodellaluna.it nel Gennaio 2011