sabato 4 gennaio 2014
Le erbe da procurarsi durante l'anno
Anche oggi torniamo a parlare di erbe, in particolare delle erbe in relazione ai mesi dell’anno, poiché ogni periodo dell’anno ci offre una vasta gamma di erbe da procurarci.
La magia è pericolosa ed è indispensabile che la strega, o magista, studi e raccolga le proprietà delle seguenti piante. Iniziamo con lo specificare che, le piante magiche vanno protette ed utilizzate in un determinato modo, e ci sono determinati periodo di raccolta per tutte le piante.
Ecco mese per mese quali piante vanno raccolte.
GENNAIO: Bergamotto.
FEBBRAIO: Abete bianco, Abete rosso, Carrubo, Cipollaccio col fiocco, Cipresso, Favagello, Lichene islandico.
MARZO: Asparago, Barba di becco, Borsa di pastore, Bosso, Cappero, Cariofillata, Enula campana, Epilobio, Erica carnicina, Faggio, Farfara, Farfaraccio, Felce florida, Fumaria, Genziana, Lichene pulmonario, Margheriti na, Nocciolo, Olivo, Olmo, Ononide, Pesco, Pino silvestre, Pioppo, Prugno, Quercia, Salice rosso, Sanguinello, Serenella, Viola mammola.
APRILE: Acero, Agrifoglio, Ailanto, Alliaria, Betonica, Betulla, Biancospino, Billeri, Calamo aromatico, Calendula, Carciofo, Castagno, Castagno d’India, Centocchio, Crescione, Efedra, Favagello, Fico d’India, Fitolacca, Fragola, Frangola, Frassino, Gramigna rosSa, Imperatoria, Lapazio, Larice, Ligustro, Lentisco, Manna, Mentastro, Noce, Ontano, Ortica, Primavera, Prugno spinoso, Rovo, Salice bianco, Tamerici, Tarassaco, Tiglio semplice, Valeriana, Viola del pensiero.
MAGGIO:Acetosa, Acetosella, Aglio orsino, Altea, Arancio amaro, Asperula, Bagolaro, Bocca di Lupo, Bugula, Ca momilla, Camomilla romana, Chelidonia, Ciliegio, Cineraria, Cinoglosso, Cinquefoglio, Edera terrestre, Erba roberta, Erba ruggine, Farfaraccio, Fico, Finocchio marino, Fiordaliso, Galega, Malvone, Mestolaccia, Mo rine, Podagraria, Prezzemolo, Pulmonaria, Quercia marina, Rosa canina, Rosa rossa, Rosolaccio, Sambuco, Sanicula, Sedano montano, Senecione, Serenella, Trifoglio fibrino.
GIUGNO:Agrimonia, Amarena, Amorino, Avena, Balsamina, Bocca di leone, Borragine, Camedrio, Camepizio, Capri foglio, Cardiaca, Cardo benedetto, Centinodio, Cicutaria, Cimbalaria, Coclearia, Consolida maggiore, Cre spino, Cuscuta, Dragoncello, Ebbio, Echio, Erisimo, Eucalipto, Eupatorio, Fico d’India, Fragola, Giglio bianco, Ginestrino, Lampone, Ligustro, Malva comune, Malva silvestre, Margherita, Millefoglio, Mirtillo, Mirto, Nepetella, Ortica bianca, Parietaria, Pervinca, Pesco, Pilosella, Pulegio, Risetto, Rosmarino, Ruta, Salcerella, Salvia, Serpillo, Timo, Verbasco, Veronica, Vulneraria.
LUGLIO: Achillea moscata, Alchemilla, Alloro, Altea, Anagallide, Arancio dolce, Argentina, Amica, Artemisia, Assenzio, Ballota, Bardana, Basilico, Betonica, Bistorta, Canapa selvatica, Capelvenere, Carciofo, Cardo mariano, Carota, Cataria, Centaurea minore, Cetriolo, Cicoria, Coda cavallina, Corbezzolo, Comiolo, Cotogno, Cumino dei prati, Dittamo, Edera, Elicriso, Eliotropio, Erba vescica, Erigero, Eufrasia, Farfara, Fieno greco, Frassino, Genepi, Genzianella, Granoturco, Iperico, Issopo, Lappola, Lavanda, Lingua di cane, Marrubio, Meliloto, Melissa, Menta acquatica, Menta piperita, Mentastro, Mentone, Mugo, Origano, Pastinaca, Piede di gatto, Pimpinella, Poligala, Porcellana, Prunella, Rapunzia, Ribes nero, Ribes rosso, Salvia sclarea, Santolina, Semprevivo, Senape bianca, Tiglio semplice, Tiglio doppio, Verbena.
AGOSTO: Aglio, Alchechengi, Anice verde, Brugo, Caglio, Carrubo, Cipolla, Coriandolo, Epilobio, Erniaria, Fagiolo, Finocchio, Finocchio marino, Fitolacca, Giaggiolo, Girasole, Iride germanica, Lampone, Licopodio, Linaiola, Lino, Luppolo, Maggiorana, Melanzana, Mirtillo, Nocciolo, Noce, Olivella, Olmaria, Peperoncino, Piantaggine, Polipodio, Prezzemolo, Prugno, Psillio, Romice, Rosolida, Santoreggia, Sedano, Serenella, Spincervino, Tormentilla, Uva ursina, Verga d’oro, Vite, Vulvaria.
SETTEMBRE: Aneto, Angelica, Angelica selvatica, Amica, Barba di becco, Bistorta, Calamo aromatico, Calcatreppolo, Calendula, Canna, Canna di palude, Cappero, Cardo dei lanaioli, Cariofillata, Castagno d’India, Cedrina, Cicoria, Cinquefoglio, Cren, Dittamo, Giglio bianco, Ginepro rosso, Nigella, Ononide, Ortica, Peucedano, Pungitopo, Quercia, Rosa canina, Rovo, Salcerella, Sanicula, Sorbo rosso, Tamerici, Tarassaco, Valeriana, Zucca.
OTTOBRE:Acetosa, Ailanto, Altea, Asfodelo, Asparago, Bardana, Borsa di pastore, Carlina, Carota, Consolida maggiore, Corniolo, Cotogno, CrespInO, Ebbio, Enula campana, Erba ruggIne, Eupatorio, Felce maschio, Genziana, Ginepro, Giuggiolo, Imperatoria, Lapazio, Limone, Lingua di cane, Liquirizia, Malva silvestre, Ninfea, Pioppo, Podagraria, Primavera, Prugno spinoso, Rabarbaro alpino, Rapunzia, Sedano montano, Sigillo di Salomone, Sorbo, Tamaro, Valeriana rossa, Vulneraria, Zafferano.
NOVEMBRE :Arancio amaro, Arancio dolce
DICEMBRE:Agrifoglio, Alloro, Felce florida, Finocchio, Frangola, Mestolaccia, Nespolo, Olmo.
(morgana)
Dea Jana-risplendente di luce
Anticamente le Janare erano sacerdotesse , con funzioni anche orgiastiche rituali. Il termine è rimasto nel dialetto Beneventano assurgendo al sinonimo di streghe.
Col nome Janara si indica una donna, che possiede poteri magici, conosce le virtù delle erbe, pratica alcune operazioni mediche. In Sardegna esiste un luogo detto Domus Janas, che nel dialetto popolare significa casadelle fate. Il significato esoterico relativo alla quantità e natura del divino. Nella sua forma Janua guardava allo stesso tempo, al passato e futuro che in lei coincidevano; in un eterno privo di inizio e di fine impersonò la posizione della Terra nell’orbita dell’eclittica, agli equinozi di primavera e di autunno, e nelle feste solstiziali. Il volto del presente era nascosto, perché il presente non si può raffigurare, prima della raffigurazione è futuro, dopo è inesorabilmente passato….Janua è dunque Signora del Tempo e madre degli Dei. Genova deve il suo nome a Jana ( Genua) la porta sul mare. In epoca romana Jana, diventa divinità maschile, Giano. La radice indoeuropea del suo nome “ia” allude al concetto di “passaggio”, come il gaelico “ya-tu” (guado) ed il sanscrito “yana” (porta). In effetti, il dio Giano era il “custode delle porte” (“Ianitor”, da “ianua”, in latino “porta”) e di ogni passaggio, quindi anche di ogni inizio (anno, mese, giorno ecc…).Giano era dunque una divinità solare che aveva il controllo delle “Porte del Cielo” (Januae caelestis aulae), aperte all’alba (Oriente) e chiuse al tramonto (Occidente) dal Sole che vi transitava col suo carro splendente e “iani” in latino si chiamavano infatti gli archi di passaggio a forma di volta, simbolo della volta celeste In origine, quando il dio Giano veniva raffigurato bifronte su sculture e monete, le due facce erano una barbuta e l’altra no, forse a simboleggiare il “maschile” ed il “femminile”, quindi il “Sole” e la “Luna”. Anche Plinio il Vecchio lo rappresenta come un dio solare a due facce, mentre Macrobio nei Saturnalia dice che Gennaio (Januarius) era dedicato a Giano, dio con due facce, in quanto fuso con Jana, cioè Diana, chiamata da Varrone anche “Jana Luna”, la dea della luce lunare, protettrice dei boschi e delle fiere selvagge. Varrone sostiene anche che Janus era il vero “dio del cielo” e lo identificava addirittura con Juppiter, cioè con Giove stesso ! Janus, quindi, sarebbe il “doppio” o il “gemello” di Jana, (come Dianus di Diana), derivando i loro nomi dalla medesima radice ariana “Di”, che significa “risplendente di luce” (Web)
giovedì 2 gennaio 2014
Nel giardino della Dea
Nel giardino della Dea
Un sacerdote e una sacerdotessa furono chiamati al tempio della Dea. In un grande cerchio nel mezzo della foresta fitta di alberi essi innalzarono i loro pensieri al Cielo e richiamarono i sacri nomi, implorando udienza nientemeno che con la Signora in persona.
La Dea apparì dinanzi a loro, scegliendo la forma delicata di una donna nuda, formosa, con capelli disordinati aggrovigliati con rovi e spine, fiori intrecciati attorno alle sue caviglie e polsi, una luna crescente tatuata sulla fronte.
Luccicante e splendida da ammirare, la Dea si avvicinò al sacerdote e alla sacerdotessa, sorridendo a loro con un'espressione luminosa come i raggi del Sole, delicata come la soffice luce della Luna. Davanti a loro la Dea era, alta e imponente, eppure così dolce e amichevole.
"Chi ha bisogno di me?"
Il sacerdote e la sacerdotessa schermarono i propri occhi dallo splendore. "Ti abbiamo chiamata, Grande Madre, dalle profondità del cielo, perché abbiamo bisogno di conoscere il nostro scopo nella vita. Dicci, Grande Madre, in cosa possiamo servirti?"
La figura della Dea acquistò in magnificenza e sembrò che la sua luminosità crescesse all'infinito. Ella allargò le braccia, come per abbracciare, e si indirizzò ai sui figli con voce amorosa e compassionevole. "Voi mi avete chiamato nelle lingue sacre dei vostri antenati. Voi vi siete avvicinati a me nel cerchio sacro immerso così profondamente nel mondo naturale per vedere il mio volto. Voi mi avete amato in modo così puro dalla più remota profondità del vostro cuore. Così io sono venuta davanti a voi ad illuminare le vostre menti e farvi sapere che la vostra vita non è stata invano".
"Tutto il mondo è il mio corpo, e tutto il mio corpo è un tempio, risuonante di milioni di voci, ognuna delle quali è la mia voce, e milioni di sentieri, ognuno dei quali conduce a me. Ognuno di voi sarà una luce nel mio tempio, nessuna più luminosa di nessun'altra; ognuno la sua propria luca, ognuno la sua propria fiamma. E tutti assieme illuminerete tutto il mondo, e penetrerete con la luce anche nei luoghi più oscuri, in modo tale che anche le ombre riluceranno della mia gloria. Perché io sono la Grande Dea, la Custode del Cielo e della Terra, colei nota con diecimila nomi".
Il sacerdote coprì la sua faccia e cadde sulle ginocchia davanti alla gloria della Dea, ma la Dea rise e gli ordinò di alzarsi. "Perché ti inginocchi a me, figlio mio?".
Il sacerdote, umile di fronte alla presenza divina, abbassò la sua testa con reverenza. "Grande Madre, io sono umile di fronte a te perché tue sono la forza e la gloria e io sono solo un tuo servo".
Ma la Dea rise divertita e carezzò sulla guancia il suo servo. "Io sono la stessa Dea che hai conosciuto nelle querce che perdono le loro foglie nella durezza invernale. Io sono la stessa Dea i cui occhi vedi rispondere al tuo sguardo quando lo incroci con quello della tua amante. Io sono la stessa Dea che ti bisbiglia nell'orecchio con voce portata dal vento. E dimmi, mio sacerdote, ti inginocchi forse dinanzi a queste cose, o le fronteggi con orgoglio, accettandole con gioia nel tuo cuore?".
Il sacerdote fu toccato da questa rivelazione, ma la confusione ancora era in lui. "Ma Signora, queste cose che hai menzionato - la quercia che muore, l'amante che può smarrirsi e il vento che strazia il mare, divorando le navi che solcano le acque -queste cose sono volubili e momentanee. Come puoi dirmi che tu, infinita ed eterna, puoi essere rappresentata da queste cose?".
La Dea sorrise al suo sacerdote e gli indicò il Sole. "Il Sole dà la luce al tuo mondo, il calore che gli occorre per portare la vita in tutti quelli che abitano sulla sua superficie. Eppure, anche il Sole un giorno si dissolverà, e il tuo mondo con esso. Ma ora, in questo momento, il Sole è il mio ambasciatore. È un ambasciatore meno importante semplicemente perché un giorno svanirà? Pensa alla mia gloria in questo modo - semplicemente come la fine di un momento del tuo piacere. Se io mi rivelassi a te come sono, tu non comprenderesti, e il mio splendore e la mia gloria, che io condivido con tutti i miei figli, sarebbero perduti".
La sacerdotessa alzò le sue mani, il suo sguardo rivolto verso la Dea, compiacendosi della luce e dello splendore della sua presenza. "Grande Madre", sussurò, "Cosa dovremo dire a chi ci chiederà chi ci manda?".
La Dea ci pensò su un attimo, poi rispose solennemente, "Dite loro che siete stati mandati dalle profondità della Terra e dalle altitudini del Cielo. Dite loro che la vostra Dea è l'amore e la luce della vita. E dite loro che io sono dinanzi a voi con innumerevoli apparenze".
La sacerdotessa tremò pensando a ciò che sarebbe stato. "Ma cosa risponderò a chi dirà che il tuo è un sentiero di oscurità?".
A questo la Dea alzò la testa e si fece una grassa risata. "Dite loro che la mia mano destra è la luce e che la mia mano sinistra l'oscurità, e che io non taglierei mai la mia mano sinistra come non taglierei mai la destra. Dite loro che entrambe le mani sono necessarie per sostenere il mondo e che la mia mano sinistra scherma il mondo dall'accecante splendore della destra".
(Web)
mercoledì 1 gennaio 2014
21 Gennaio - Giorno del Sorbo
21 Gennaio - Giorno del Sorbo. Questo post fa parte del Calendario Festività Pagane Il 21 Gennaio è dedicato al Sorbo, pianta rinomata per i suoi molteplici usi magici. Il sorbo era un albero sacro per le popolazioni celtiche che lo piantavano ovunque per proteggere le case e lo ritenevano una manifestazione terrena dell’altro mondo. Con i suoi rami si decoravano le abitazioni e si sbatteva la panna del latte. Lo si riteneva in grado di scacciare le streghe e di proteggere dai loro malefici. I marinai attaccavano dei blocchi del suo legno sulla chiglia della nave perché li difendesse dalla furia delle tempeste marine. Nell’alfabeto Ogham il sorbo è simbolo di rinascita e protezione contro la negatività. Aiuta contro gli attacchi magici e la negatività, l’invidia e la gelosia e protegge anche dalla paura. E’ utile per ricavare discernimento ed ispirazione per le nostre azioni. L’animale totemico a lui collegato è il MERLO, la divinità BRIDE, la pietra il CRISOLITO GIALLO. Proprietà terapeutiche: Il sorbo ha proprietà diuretiche, astringenti, antinfiammatorie e lenitive. I suoi frutti, la cui maturazione viene completata sotto la paglia, sono perfettamente commestibili. Con le sorbe si possono fare ottime marmellate e, previa fermentazione, anche bevande alcoliche. Con la polpa dei frutti maturi si possono fare ottime maschere detergenti, tonificanti e riacidificanti per pelli precocemente invecchiate, astringenti e lenitive sulle pelli irritabili. Le foglie e la corteccia del sorbo, per le loro proprietà astringenti, vengono impiegate anche nella concia delle pelli. Curiosità Etimologicamente parlando, Sorbus è il nome dato dagli antichi Romani per indicare questa pianta, probabilmente deriva dal verbo sorbeo “bere”, riferito al fatto che i frutti, se consumati, arrestano i flussi dell'intestino (proprietà astringenti). Diversa è invece l'origine del nome anglosassone rowan: esso deriva dall'antico norreno raun, probabilmente derivato dal protogermanico raudnian “arrossare”, riferito al fogliame del sorbo che in autunno assume, nei climi freddi, una tonalità rosso acceso. Presso le popolazioni celtiche, l'albero veniva chiamato luis (si pronuncia “lweesh”), diventato successivamente luisliu “piacevole alla vista”; nel moderno irlandese viene chiamato caorthann (si pronuncia cöràn) oppure rudha-an “colui che è rosso (red-one)” e si pronuncia come la parola inglese rowan, il nome anglosassone del sorbo. Tra i nomi volgari inglesi troviamo in particolare witchbane e witch-wood, in riferimento alle numerose proprietà magiche del sorbo: la tradizione cristiana infatti riferisce che il legno vivo di sorbo abbia il potere di allontanare le streghe, i malefici e gli spiriti maligni. Il sorbo è detto “degli uccellatori” perché le bacche sono molto appetibili dagli uccelli (così come tutte le bacche di colore rosso, come le amarene), che se ne cibano eliminando poi il seme indigeribile e agevolando la disseminazione. In Francia e in Piemonte fino al XVIII secolo i frutti venivano incorporati sotto forma di farina all'impasto del pane, per questo in certe regioni del nord Italia le sorbe vengono chiamate “farinacce”. Il sorbo è uno degli alberi sacri ai Celti e, secondo il calendario arboreo, dava il nome al mese compreso tra la terza decade di gennaio e la metà di febbraio, periodo in cui cade la festa di Imbolc. Siccome Imbolc è la festa dedicata alla dea Brighid, non sarebbe infondato considerare il sorbo consacrato a questa divinità. Sia i Celti che i Germani consideravano il suo frutto, al pari della mela, nutrimento degli dei e amuleto contro i fulmini e i sortilegi: appenderne un ramo fruttifero sull'uscio di casa ne assicurava la protezione. Ricavata dal sorbo era anche la “mano di strega”, una sorta di bacchetta da rabdomante per trovare i metalli preziosi. Pare che i druidi, prima di una battaglia, accendessero fuochi con il legno di sorbo e pregavano chiedendo agli spiriti di partecipare alla battaglia. Nei paesi nordici il sorbo, oltre ad essere usato per fabbricare i bastoni dei pastori, serviva anche per proteggere il bestiame dalle epidemie. Sacro a Brighid, divinità del fuoco e protettrice dei bardi e dei fabbri (il “fuoco” dell'ispirazione e delle fucine), il sorbo ne acquista i poteri: i bardi si sedevano con la schiena appoggiata al tronco per ascoltare il sussurro dell'ispirazione divina; infuso della fiamma che illumina, il sorbo è il simbolo del risveglio dei sensi e della rigenerazione che segue la morte. I druidi si sedevano su pelli bovine cosparse da rametti di sorbo per “illuminare” il futuro e favorire la divinazione. Ancora oggi in Irlanda è sopravvissuto un detto che, riferendosi al passeggiare sopra ai rami del sorbo, dice “camminare sui rametti della conoscenza”. Usi Magici: Il sorbo è uno dei 9 legni sacri che si bruciano tradizionalmente durante i quattro sabba maggiori. Bacche e foglie essiccate possono essere bruciate come incenso per favorire la divinazione, mentre i rami, legati a forma di croce a braccia uguali, si usano come amuleto per proteggere l'abitazione e i suoi abitanti. Bruciatene un po' quando cercate chiarezza. Fonte: http://antrodellamagia.forumfree.it www.thereef.it www.celticworld.it/ |
17 Gennaio Festa di Odino
Questo post fa parte del Calendario Festività Pagane
Il 17 Gennaio si celebra la festa in onore del dio Norreno Odino.
Il nome Odino viene dalla radice che sta per “furore, ebbrezza, ispirazione poetica”.
Anche nel mondo greco queste parole sono legate, ed hanno connotazione sacra: è ciò che accomuna le Baccanti, la Pizia, i nympholeptoi (i "rapiti dalle ninfe"), i poeti e i bardi, gli innamorati ("che hanno dentro Amore") ed i guerrieri. Ed una particolarità di Odino è proprio quella di riunire un gran numero di funzioni ed attributi, è un poeta, un guerriero, un mago e molto altro ancora.
Odino dimora ad Ásgarðr, nel palazzo di Válaskjálf innalzato da lui stesso, dove, seduto sul trono Hliðskjálf, osserva ciò che accade in ciascuno dei Nove Mondi. In battaglia brandisce Gungnir, la sua lancia, e cavalca Sleipnir, il suo destriero a otto zampe, nato da una portentosa unione tra il dio Loki (momentaneamente trasformato in giumenta) e il cavallo Svaðilfœri.
I suoi figli più noti: da Jord ("Terra") ebbe Thor, il dio che porta il martello e accorre sempre a salvare gli Dei dai giganti; da Frigg ebbe invece Baldr, il luminoso e splendido Dio ucciso a tradimento da Loki (su di lui magari aprirò un post apposito perché la storia che lo riguarda è molto interessante). Da un'altra amante ebbe Tyr "divinità" che perse la sua mano coraggiosamente per riuscire ad imprigionare il lupo Fenrir ce al Crepuscolo degli Dei porterà la distruzione nel mondo, ed in fine Vidarr, l'Ase più forte dopo Thorr, che riuscirà a uccidere Fenrir dopo la morte di Odino stesso.
Il suo cavallo è Sleipnir ed ha otto zampe che lo rendono velocissimo. Ha due lupi Freki e Geri, "avido" e il "divoratore" "he nutre col cibo che sta sul suo tavolo. Si dice infatti che Óðinn non abbia alcun bisogno di nutrimento: il vino è per lui tanto cibo che bevanda." (da Bifrost). Ha anche due corvi: "Huginn e Muninn, il «pensiero» e la «memoria». Durante il giorno Óðinn li fa volare per il mondo; all'ora del pasto essi tornano e gli riferiscono ciò che hanno saputo, e Óðinn comprende ogni cosa. Per questo gli uomini lo chiamano anche Hrafnaguð «dio dei corvi»." (da Bifrost)
Culto di Odino
Secondo il racconto della Saga degli Ynglingar, Ásgarðr era luogo di sacrifici solenni cui presiedevano dodici sacerdoti (detti díar o drótnar) che erano al contempo i capi preminenti cui spettavano le decisioni e i giudizi. Essi sarebbero poi stati divinizzati dai loro sudditi. Nel caso di Odino si dice che, sentendosi prossimo a morire, lasciò la Svezia affermando che sarebbe tornato nella sua antica patria, chiamata Goðheimr ("paese degli dèi"), e i suoi seguaci credettero che allora egli fosse tornato ad Ásgarðr per vivere in eterno.
La saggezza Odino
La sapienza di Odino è conoscenza, magia e poesia al tempo stesso. Egli non solo conosce i misteri dei Nove Mondi e l'ordine delle loro stirpi, ma anche il destino degli uomini e il fato stesso dell'universo.
Odino ama disputare con creature antiche e sapienti. Sotto le mentite spoglie di Gágnraðr ("stanco del cammino") si giocò la vita sfidando a una gara di sapienza il possente gigante Vafþrúðnir, la cui erudizione era rinomata in tutti i Nove Mondi, e dopo una serie di domande sul passato, il presente e il futuro del mondo, a cui il gigante rispose prontamente, Gágnraðr domandò allora che cosa avesse sussurrato il dio Odino a Baldr prima che questi fosse posto sulla pira. Vafþrúðnir a questo punto lo riconobbe, ma aveva ormai perso la gara.
Un'altra volta, dicendo di chiamarsi Gestumblindi ("l'ospite cieco"), il dio sfidò un re di nome Heiðrekr ad una gara di indovinelli. Dopo una serie di quesiti a cui il re rispose senza difficoltà, Odino gli pose la medesima domanda che già aveva posto a Vafþrúðnir. A quella domanda il re cercò di ucciderlo, ma il dio gli sfuggì trasformandosi in falco.
Odino osserva il corpo decapitato di Mímir. Illustrazione per il carme Sigrdrífomál nell'edizione svedese dell'Edda poetica curata da Fredrik Sander.
Odino tiene accanto a sé la testa recisa[3] di Mímir, fonte inesauribile di conoscenza che gli rivela molte notizie dagli altri mondi (Völuspá 45). In un'altra versione (Völuspá 28) dello stesso motivo mitologico, Odino si cava un occhio e lo offre in pegno a Mímir per attingere un sorso di idromele da Mímisbrunnr, la fonte della saggezza che il gigante custodisce. L'occhio di Odino rimane, quindi, nella fontana dalla quale lo stesso Mímir ne beve ogni giorno l'idromele.[4] Da quella mutilazione derivano gli epiteti di Bileygr ("guercio") e Báleygr ("occhio fiammeggiante").
Incantesimo - Dagaz, un portale con Asgard e Alfheim.
Per tutte le Streghe amanti del folklore nordico e delle rune proponiamo un rituale per aprire lo spirito al mondo della Luce e ai suoi poteri. Questo rituale può essere eseguito sia in casa che all’ aria aperta (quest’ ultima più indicata), ma sempre e solo nelle ore dell’ alba o del tramonto.
L’ aurora e il crepuscolo sono per tradizione i momenti magici in cui il regno umano e quello spiritule si incontrano, rendendo possibile la comunicazione tra entrambe. Questo è il momento in cui siamo circondati dalla massima luce e ne riceviamo i benefici influssi: sono presenti alcune stelle, la luna e il sole; quindi da questi potrete calcolare facilmente il giorno migliore per operare.
Quello che si verifica in quei momenti sulla terra è un momento che puo fungere da portale prorpio per il luminoso regno di Asgard e Alfheim, rispettivamente il regno degli dei e degli elfi luminosi. Per aprire questo portale ci avveliamo della runa Dagaz, la runa della luce, il cui grafico esprime il concetto sopra esposto. Questa runa è stata una protagonista importante nella magia medioevale come runa di potenza, rigenerazione e guarigione.
Dopo esservi purificati ritualmente con un bagno, recatevi nel luogo dove eseguirete il rituale. Qui accenderete dei fuochi, meglio se posizionati nelle quattro direzioni. Il fuoco è un importante elemento, simbolo ri trasformazione, forza e purificazione. Il fuoco fuga le ostilità ed alimenta lo spirito, è l’ elemeno sacro dei druidi.
Nel centro dell’ area verrà posta la pietra runica, o potrete in alternativa tracciarla sul terreno. Dopo aver liberato la mente tracciate la runa Dagaz usando la punta carbonizzata di un rametto in modo da traferire il potere del fuoco e della luce nella pietra, per attivare l e energie di Dagaz. Invocate Dagaz, la luce. Prestate attenzione, l’ evocazione del potere di Dagaz deve avvenire nel momento dell ‘aurora o del crepuscolo non oltre ne troppo presto.
Durante l evocazione liberate la mente e osservate la runa pronunciandone il nome come un mantra e chiedete di aprire il portale con Asgard o Alfheim e con l’ entità o il potere che da questi mondi vorrete chiamare a voi.
Ricordate che questa è una procedura base su cui potrete articolare un rituale personalizzato.
Pietre: ambra, cristallo
Fonte:
http://antrodellamagia.forumfree.it/
http://anticastregoneria.wordpress.com
Wikipedia - Odino
9 Gennaio Festa di Selene
9 Gennaio Festa di Selene Questo post fa parte del Calendario Festività Pagane Per il calendario pagano, il 9 di Gennaio ricorre la festa di Selene, Dea della Luna. Selene rappresenta nella triplice Dea la Luna Piena e viene generalmente rappresentata come una bellissima donna, vestita di colori candidi (bianco e argento) e con in fronte la falce di luna. Selene è venerata anche per la fecondità, poichè, rappresentando la Luna Piena, essa rappresenta il periodo di maturazione, di pienezza, di fertilità. Selene è la personificazione della Luna piena, insieme ad Artemide (la Luna crescente), alla quale è a volte assimilata, ed ad Ecate (la Luna nuova). La dea viene generalmente descritta come una bella donna con il viso pallido, che indossa lunghe vesti fluide bianche od argentate e che reca sulla testa una luna crescente ed in mano una torcia. Molte rappresentazioni la raffigurano su un carro trainato da buoi o su una biga tirata da cavalli, che insegue quella solare. Le si attribuì una relazione con Zeus, dal quale ebbe Pandia ed Erse (la rugiada)ed un'altra con Pan, che per sedurla si travestì con un vello di pecora bianca e Selene vi salì sopra. Selene, Pergamonmuseum, Berlino Un altro mito che la riguarda è quello dell'amore per Endimione, re dell'Elide. Selene si innamorò del bellissimo giovane ed ogni notte lo andava a trovare mentre dormiva in una grotta del monte Latmo, in Asia Minore. Pur di poterlo andare a trovare ogni notte, Selene gli diede un sonno eterno e dalla relazione nacquero cinquanta figlie. Nella mitologia romana fu associata a Luna; il tempio della Luna si trovava a Roma sull'Aventino. Selene, in questa storia romanticissima e un po' triste, un giorno vide in una grotta un giovane addormentato, Endimione,e se ne innamorò perdutamente.Ne nacque un grande amore, che diede la luce a ben cinquanta figlie; ma Selene non sopportava l'idea che un giorno il suo amante potesse morire, e lo fece sprofondare in un sonno eterno per poi andare a trovarlo ogni notte. Endimione dormiva con gli occhi aperti, per poter vedere l'apparizione della sua donna. Altre versioni meno romantiche della storia sostengono che Endimione avesse chiesto a Zeus di dormire per non perdere la sua giovanile bellezza, o addirittura per evitare che Selene rischiasse un'ulteriore gravidanza! Selene comunque non perde il suo fascino di personificazione della Luna, che regala un po' di luce alla notte e un po' di sogno alla realtà. Inno a Selene Ascolta o fulgente regina immortale, divina Selene Luna dalle corna taurine, errabonda pellegrina del cielo Verginea Dea che porti la falce e rischiari la notte Che cresci e decresci e sei femmina e maschio O luminosa che ami i cavalli e sei madre del tempo ed i frutti ci arrechi O pallido volto che nella notte risplendi E tutto vedi ed ami le veglie e di begli astri ti attorni Amando la pace e la notte che è senza dolore O graziosa lampada fulgente, benefica, o gemma della notte Delle stelle regina, saggia fanciulla Vieni lieta e splendente con la tua chiarezza Ed i supplici giovani aiuta, o vergine beata Crediti: http://antrodellamagia.forumfree.it http://fayewicca.blogspot.com Eveyne Facebook |
6 Gennaio Festa di Pertcha
Questo post fa parte del Calendario Festività Pagane
Il 6 Gennaio si festeggia la festa di Pertcha.
Perchta, Berchta o Berta in area germanica era il corrispettivo femminile del dio celtico Cernunnos. Era la dea che vegliava sulla natura e sugli animali. Infatti era anche chiamata Signora delle bestie.
La sua figura era molto simile a quella della dea Holda, venerata principalmente nella Germania del Nord. Entrambe le divinità si mostravano agli uomini nei giorni tra il Natale e l’Epifania, quando l’oscurità sembrava prevalere sulla luce e il confine col mondo degli spiriti si assottiglia. La sua figura è spesso associata alla Dea Holla di cui si festeggia la festa proprio il 6 Gennaio.
In quel periodo, nella profondità dei boschi, i cacciatori si potevano imbattere nel suo corteo, costituito da animali selvaggi, elfi e anime. Per quanto la leggenda di Perchta-Holda sia tipicamente nordica, essa era conosciuta anche in area mediterranea. Basti pensare alla novella Nastagio degli Onesti del Decamerone di Boccaccio e al canto dantesco di Pier delle Vigne. In effetti il mito presenta analogie con la figura di Diana-Artemide. Forse anche l’antico adagio quando Berta filava… ha legami con la leggenda di Perchta, che proteggeva le donne che filavano la lana.
Ancora negli anni Trenta, in Germania era viva l’usanza di confezionare nel periodo natalizio dei pani a forma di treccia, che i bambini lasciavano nei boschi per ingraziarsi la dea.
Perchta significa splendente: per questo a volte è rappresentata bella e bianca come la neve.
Sembra che il suo culto fosse legato alla rigenerazione della natura e al ritorno della luce, infatti è proprio tra Natale e l’Epifania che la durata del giorno riprende a crescere.
Tuttavia non mancano racconti che la dipingono vecchia e brutta, tanto che in alcune parti dell’arco alpino è assimilata alla Befana. Alcuni hanno voluto vedere in questa tradizione l’influsso del Cristianesimo, che mirava a screditare gli antichi culti pagani.
Passavano i giorni, i mesi e lei non riusciva a darsi pace, finché venne la notte dell'Epifania e la mamma si sentì chiamare fuori dall'uscio.
Con grande stupore vide una bellissima signora che precedeva un lungo corteo di bambini festanti.
Molto indietro però restava un bimbo, che seguiva arrancando e trasportando un grande otre pieno d'acqua. Quando la povera figurina zuppa fu vicina, mamma e bimbo si riconobbero ed il figlio disse "Mamma, non piangere più, non riesco a portare tutte queste lacrime, io sto bene qui".
Da quel giorno la mamma più non pianse ed attese tutte le notti d'Epifania per spiare dall'uscio il passaggio della Pertha e del suo bambino.
Curiosità su Pertcha
Un’antica Dea Madre sopravvissuta nella moderna Germania, Svizzera e Austria sotto il nome di donna cervo.
Essa ha fama di render fertili i campi e favorire la nascita di vitelli forti.
Si dice che la si può talvolta vedere mentre aleggia sui campi per nutrirli, con il suo mantello bianco che assomiglia a una nebbiolina diffusa.
Naturalmente c’è anche la faccia negativa della medaglia: la Dea non sopporta la pigrizia, ispeziona con cura conocchie e arcolai, cercando i pezzetti di lana sciupati; se ne trova, graffia la tessitrice colpevole oppure ancor peggio, le apre la pancia e la imbottisce con gli avanzi di lana.
Essa stessa, tuttavia, ha un aspetto piuttosto trasandato, con i lunghi capelli scarmigliati e le vesti logore. La sua faccia è rugosa come una mela ma i suoi occhi sono belli; il periodo dell’anno che preferisce è quello dei dodici giorni di Natale, che culminano nel giorno di Perchta, quando tutti mangiano le torte di farina e latte in suo onore lasciandone qualche fetta per lei; essa verrà segretamente a gustarle ma se qualcuno cercherà di spiarla o di sorprenderla mentre mangia si troverà cieco per tutto l’anno.
Fonti:
http://antrodellamagia.forumfree.it/
www.turismoruralefvg.it
www.warlandia.it/
La Vecchia Perchta