martedì 31 dicembre 2013

OSTARA-EQUINOZIO DI PRIMAVERA L’EQUILIBRIO DEL COSMO

EQUINOZIO
DI PRIMAVERA
L’EQUILIBRIO DEL COSMO

All’Equinozio di Primavera, intorno al 21 marzo, giorno e notte sono in
perfetto equilibrio.
(la parola equinozio deriva dal latino aequus nox, “uguale notte”) ma la luce aumenta sempre di più, dopo le lunghe notti invernali. La
Ruota dell’Anno gira attraverso le stagioni, verso i lunghi e caldi giorni estivi.
La Natura si risveglia, i fiori sbocciano ovunque. E’ il tempo del ritorno della
vegetazione: fioriscono il narciso, la primula, la tussilaggine, fiori primaverili
color del sole. Gli uccelli costruiscono nidi e si accoppiano. Non c’è da
meravigliarsi quindi se questa data sia stata associata presso varie culture a
concetti quali la fertilità, la resurrezione, l’inizio.
Ma se nel suo aspetto di fertilità umana l’Equinozio deve inchinarsi alla festa
successiva, quella di Beltane, esso possiede completamente l’aspetto della
fertilità vegetale, che si manifesta in modi diversi a seconda della latitudine.
Infatti, se nel Mediterraneo è tempo di germogli, nel Nord Europa è tempo di
semina, in cui i nuovi semi vengono benedetti.
Nelle tradizioni neo-druidiche contemporanee l’Equinozio primaverile è
denominato Alban Eiler, “Luce della Terra”, con riferimento al fatto che il sole
ora si trova al di sopra dell’equatore celeste, la zona astronomica chiamata
nelle antiche cosmologie “terra emersa” e contrapposta alle “acque inferiori”,
cioè la zona al di sotto ditale fascia. La primavera, in queste concezioni
druidiche è celebrata con tre feste: Imbolc che ne rappresenta i primi
movimenti, l’Equinozio che ne è la manifestazione visibile, e Beltane che è la
sua pienezza.
Come inizio l’Equinozio di Primavera segna appunto l’inizio del calendario
zodiacale col segno dell’Ariete. Inoltre ogni era zodiacale viene chiamata col
nome della costellazione in cui cade il punto equinoziale nel suo ciclo precessionale
(circa 2000 anni per ogni segno zodiacale).
L’Equinozio primaverile rappresenta così una sorta di capodanno. Nella Roma
arcaica l’anno cominciava a primavera, nel mese di marzo sacro appunto a
Marte, padre dei due gemelli fondatori della città. Anche in altri paesi del
Mediterraneo e del Vicino Oriente l’anno iniziava con la primavera, quando il
sole torna a splendere alto nel cielo e la terra si risveglia.
E ogni anno a Roma, il 14 o 15 marzo, veniva portato in processione un
uomo coperto di pelli di capra, colpito con lunghe verghe e chiamato Mamurio
Veturio. Ritenuto il mitico fabbro che aveva costruito undici scudi a imitazione
di quello sacro donato da Giove al re Numa Pompilio e per questo ritenuto
colpevole di sacrilegio, Mamurio era in realtà la personificazione dell’anno
vecchio (Veturio da vetus
vecchio), il quale veniva scacciato alle Idi di Marzo per far posto al nuovo anno.
All’Equinozio di Primavera, in molte tradizioni ricorreva addirittura la nascita
del mondo, come nel mithraismo, l’antica religione persiana. Il mito narra che
Mithra sacrificò il toro cosmico, da cui nacquero tutte le piante e tutti gli animali,
e poi suggellò la sua amicizia con il Sole offrendogli la carne del toro in
un banchetto sacrificale.
Ma le antiche tradizioni ci offrono tutta una serie di miti legati alla
primavera, che hanno alloro centro l’idea di un sacrificio a cui succede una
creazione-rinascita-nascita. Esiste un preciso riferimento cosmico alla base di
queste mitologie: il sole che incrocia e supera la linea dell’equatore celeste
passando da nord a sud.Sembra che al tempo dell’equinozio nel segno dei
Gemelli (6000 - 4000 a.C. circa) la più notevole figura astronomica del cielo
meridionale, la Croce del Sud, fosse visibile nei cieli della Mesopotamia. I
Babilonesi fecero della croce il simbolo dell’adempimento, quasi ad indicare che
il mito del dio dell’anno si conclude al termine di un ciclo con il dio stesso
appeso ad una croce....
Un mito che mostra bene l’idea di un sacrificio e di una successiva rinascita
è quello frigio di Attis e Cibele. Attis, bellissimo giovane nato dal sangue della
dea Cibele e da questa amato, voleva abbandonarla per sposare una donna
mortale. Cibele Io fece impazzire ed egli si evirò morendo dissanguato. Dal suo
sangue nacquero viole mammole, e gli dei, non potendolo resuscitare, Io
trasformarono in un pino sempreverde (raffigurazione dell ‘Albero Cosmico).
Secondo i filosofi neoplatonici questa storia cruda simboleggiava l’amore della
Provvidenza (Cibele) per la causa generatrice (Attis) di ogni cosa. La discesa
della causa generatrice termina al livello più basso, il mondo della materia,
quando la Provvidenza interrompe la folle corsa
Adone era in realtà il dio assiro-babilonese Tammuz, a cui i fedeli si
rivolgevano chiamandolo “Adon” (Signore). Egli, dimorava sei mesi all’anno
negli inferi, come il sole quando si trova al di sotto dell’equatore celeste
(autunno e inverno). Si festeggiava a primavera la sua risalita alla luce quando
si ricongiungeva alla dea Ishtar, l’equivalente dell’Afrodite greca. Allo stesso
modo nei Misteri Eleusini si festeggiava Persefone éhe ritorna nel mondo dopo
aver trascorso sei mesi nel regno dei morti. Proprio nel mese di Anthesterion
(“mese dei fiori”, febbraio-marzo circa) si celebravano ad Atene i Piccoli Misteri
Eleusini.
La Pasqua è la versione cristiana del tema dell’accoppiamento sacrificale: la
discesa di Cristo agli Inferi per salvare le anime dei giusti da Adamo in poi.Gli
inferi, nella visione delle tarde religioni pagane non erano altro che il misconosciuto
aspetto femminile della divinità, la Dea in cui il Dio sacrificato si
immerge per rinascere, ma i nomi di varie dee degli inferi (la nordica Hel, la
cananea Sheol) sono passati in seguito ad indicare luoghi ultraterreni di
punizione eterna...
Nel mese successivo all’Equinozio si festeggiavano in Atene le Grandi
Dionisìe in onore di Dioniso, dio morto e resuscitato. La processione compiuta
per celebrano portava per le strade simulacri di falli, simbolo della fertilità nel
suo aspetto maschile.
Tutti questi miti mostrano l’unione di un simbolismo cosmico, celeste, legato
al cammino del sole nel cielo, e un simbolismo terrestre, legato al risveglio
della Natura. Ciò riecheggia il sottostante tema del matrimonio fra una divinità
maschile, celeste o solare, ed una femminile, legata alla terra o alla luna.verso
l’indeterminato, il mondo frammentato e caotico della materia, per richiamarla
a sé. La mutilazione di Attis era il ritorno alla madre primordiale, il ridiventare
simili ad essa, androgini, per risorgere nell’Uno.A Roma le feste in onore di
Attis iniziavano il 15 marzo, con penitenze e digiuni. Il 22 marzo iniziavano i
Tristia, le commemorazioni per la passione e morte di Attis, durante le quali
avvenivano le autoevirazioni dei suoi adoratori che volevano diventarne
sacerdoti, i cosiddetti Galli. Il 25 marzo erano gli Hilaria, durante i quali si
celebrava la resurrezione di Attis, il suo ritorno alla Grande Madre, all’apparire
del sole che aveva appena superato l’equatore celeste. Si diceva che la tomba
si apriva e che il dio si levava tra i morti. I sacerdoti, toccando con un balsamo
le labbra degli adoratori, annunciavano che anche essi come Attis avrebbero
trionfato sulla morte. Tutti questi riti avevano luogo sul posto dove ora sorge la
basilica di San Pietro.Dopo l’Equinozio, si svolgevano nel mondo ellenico le
Adonìe, le feste della resurrezione di Adone. Bellissimo giovane amato dalla
dea Afrodite, venne ucciso da un cinghiale (forse il dio Ares ingelosito).
Collegati ai riti in suo onore erano i “giardini di Adone”, vasi in cui si
seminavano cereali e ortaggi che germogliavano rapidamente al sole
primaverile e venivano poi gettati in mare o nelle sorgenti per propiziare il
rinnovamento della Natura. Tale usanza è sopravvissuta nelle celebrazioni della
Pasqua cristiana: ancora oggi in molte località d’Italia si prepara nello stesso
modo il cosiddetto “grano del sepolcro”.
La primavera era infatti la stagione per accoppiamenti rituali meno cruenti di
quello di Attis: gli hieros gamos, le nozze sacre in cui il Dio e la Dea
(personificati spesso da un sacerdote e da una sacerdotessa) si accoppiano per
propiziare la fertilità. Il Dio Sole inizia a far sentire la sua giovinezza e ad
accoppiarsi con la giovane Dea della Terra.
Come festa solare, appartengono all’Equinozio i temi del fuoco e della luce.
Luce e fertilità sono sopravvissuti nel folklore europeo, in cui è rimasta la
tradizione di accendere i fuochi di Pasqua sulle cime di alte colline: più a lungo
restano accesi, più sarà fruttifera la terra.
I miti primaverili della fertilità sono presenti infatti anche nel Nord Europa.La
parola Est, la direzione a cui è collegato l'Equinozio primaverile, deriva da
Eostre (o Ostara, “la stella dell’est” cioè Venere) la dea sassone della fertilità
assimilabile a Venere, Afrodite e Ishtar. Eostre ha dato il suo nome anche alla
Pasqua nella lingua inglese: Easter per l’appunto. A Eostre era sacra la lepre,
simbolo di fertilità, il cui comportamento in mano si dice assomigli a quello di
una congrega di streghe danzanti (la famosa lepre marzolina di “Alice nel
paese delle meraviglie”...). Questo totem animale della dea fu infatti in seguito
considerato lo “spirito familiare” delle streghe, ma in realtà era un animale
sacro in molte tradizioni.Gli antichi Britanni associavano le lepri alle divinità
della luna e della caccia: ucciderle e mangiare la loro carne era tabù. Fino a
tempi recenti la lepre non veniva mangiata nella regione del Kerry, dal
momento che si diceva che mangiare una lepre equivaleva a mangiare la
propria nonna! I Celti abolivano temporaneamente il tabù all’equinozio
primaverile o a Beltane: si trattava di un pasto rituale in cui il corpo dell’ animale
totemico veniva consumato per partecipare della sua fertilità. I Celti
inoltre consideravano la lepre un animale divinatorio e dal modo in cui correva
traevano presagi. Anche gli Anglo-Sassoni veneravano la lepre e una
caratteristica delle feste primaverili in onore di Eostre era appunto una caccia
rituale a questo animale. Nel folklore delle Isole Britanniche ancora esistono
sopravvivenze di questi rituali. Così ad esempio la Contesa del Pasticcio di
Lepre nel villaggio di Hallaton, dove un grande pasticcio di carne di lepre viene
conteso dagli abitanti del villaggio, (sebbene in tempi recenti esso venga
tranquillamente servito nei piatti dal vicario).Fino alla fine del’700, vicino
Leicester aveva luogoogni Lunedì di Pasqua una caccia alla lepre nelle colline
circostanti.Si dice che i disegni sulla superficie della luna piena raffigurino una
lepre, ricordo questo dell’associazione dell’animale con divinità lunari. Questa
raffigurazione della “lepre nella luna” appare nelle tradizioni cinesi, europee,
africane e indiane.Nella tradizione buddista le leggende narrano di come una
lepre si sacrificasse per nutrire il Buddha affamato, balzando nel fuoco. In
segno di gratitudine il Buddha impresse l’immagine dell’animale sulla luna.
Questa leggenda riecheggia tradizioni ancora più antiche del Buddismo: in Cina
la lepre lunare ha un pestello ed un mortaio con cui prepara un elisir di
immortalità e figure di lepri e conigli vengono costruite in occasioni delle feste
lunari. La lepre è considerata un animale Yin che viene dal Polo Nord recando il
saluto della Dea della Luna. Amuleti di giada verde raffiguranti la lepre sono
costruiti e regalati per augurare la buona fortuna.
Nelle tradizioni dei Nativi Americani la Grande Lepre è l’eroe dell’alba, il
salvatore, creatore e trasformatore, padrone dei venti e fratello della neve. E’ il
Grande Imbroglione, simbolo della mente veloce che supera in astuzia la forza
fisica. Gli Indiani Algonchini adoravano la Grande Lepre che si diceva avesse
creato la Terra.
Per gli antichi Egizi la lepre era un animale lunare ma anche collegato
all’alba, all’est.Osiride risorto è simboleggiato dalla lepre in quanto divinità
solare, come pure Thoth, Ermes e Mercurio quali divinità messaggere, dal
momento che l’est è il luogo da cui provengono gli dei portatori di luce.
Nell’antica Europa i Norvegesi rappresentavano le Divinità lunari
accompagnate da una processione di lepri che portano lanterne. Anche la Dea
Freya aveva come inservienti delle lepri e la stessa Dea Eostre era raffigurata
con una testa di lepre.
Nel folklore europeo la lepre è stata associata allo spirito del grano, siccome
ha l’abitudine di nascondersi nei campi di grano fino alla mietitura, tanto che
l’ultimo covone veniva chiamato, tra gli altri nomi, “la lepre”. Ma la lepre è
stata collegata anche alla fertilità e alla sessualità vigorosa, essendo una
generatrice veloce e prolifica. I Greci la consideravano sacra ad Afrodite e a
suo figlio Eros. Filostrato diceva che il sacrificio più adatto per Afrodite era la
lepre in quanto essa possiede il suo dono di fecondità in un grado superlativo.
Come molti animali sacri dell’antichità, anche la lepre subì nel Medio Evo un
processo di demonizzazione e venne ritenuta animale di cattivo auspicio, in cui
le streghe si trasformavano. Si pensava che una lepre bianca fosse presagio di
morte e abbondarono le storie di ferite inflitte a lepri, ferite rinvenute il giorno
dopo su qualche donna.In Cornovaglia si raccontava che le ragazze morte dopo
essere state abbandonate dai loro innamorati si trasformavano in lepri bianche
per perseguitare i loro amanti infedeli!
Ma l’immagine della lepre fortunatamente ha incontrato un destino meno
lugubre: la lepre di Eostre che deponeva l’uovo della nuova vita per annunciare
la rinascita dell’anno è diventata l’odierno coniglio di Pasqua che porta in dono
le uova, altro simbolo di fertilità. Al giorno d’oggi la ricorrenza della Pasqua ci
ripropone ogni anno il tradizionale consumo e dono di uova, da quelle di
cioccolato con la sorpresa a quelle naturali decorate a mano (che raggiungono
livelli artistici nei “pysanky” dell’Ucraina) alle numerose ricette tipiche di
frittate e dolci. Ma che cosa rappresenta l’uovo e perché gioca un ruolo così
importante nelle tradizioni pasquali? In realtà l’attuale uovo di Pasqua ha
origini pre-cristiane, essendo un antichissimo simbolo di vita, di creazione e di
rinascita.
Come simbolo di iniziazione l’uovo simboleggia il due-volte- nato, la sua
deposizione essendo una prima nascita e la schiusa la seconda.
La nascita del mondo da un uovo cosmico è un’idea universalmente diffusa,
e non a caso veniva celebrata presso molte civiltà alla festa equinoziale di
primavera, quando la Natura risorge e le ore di luce iniziano a prevalere su
quelle notturne.In numerose mitologie un uovo primordiale, embrione e germe
di vita, è il primo essere ad emergere dal Caos. Non sinonimo di confusione o
distruzione, bensì di condizione primordiale che contiene la potenzialità di tutte
le cose esi
stenti, il Caos è la forza vitale generatrice di tutto ciò che esiste. E’ 1’ “Uovo
del mondo” covato da una Grande Dea e dischiuso dal Dio Sole. L’uovo è il
principio da cui nascono tutte le cose, portando in manifestazione ciò che
prima era solo allo stato potenziale. Nell’alchimia l’uovo è il vaso mistico in cui
si compie la trasmutazione, un modello della creazione in scala ridotta.
Un mito dell’India narra che nella notte dei tempi tutto era immerso nelle
tenebre e sepolto in un sonno profondo. L’Assoluto volle creare il cosmo dalla
propria sostanza:
così creò le acque e vi depose a galleggiare un uovo splendente il quale generò
al proprio interno Brahma il Creatore, che divise poi l’uovo stesso in due parti,
formando la terra e il cielo. In Cina era il tuorlo dell’uovo a rappresentare il
cielo mentre l’albume era la terra.
In altre tradizioni il tuorlo è il dio Sole e il guscio la Dea:
l’uovo del mondo deposto da una Dea veniva infatti dischiuso dal calore del
Sole, come si è detto. In molte leggende egizie, l’Oca del Nilo, la Grande Dea,
deponeva un uovo da cui nasceva Ra, il Sole. Un mito orfico greco narra che in
principio esisteva la Notte, la dea uccello dalle nere ali la quale, fecondata dal
Vento del Nord, depose un uovo d’argento nel grembo dell’oscurità. L’uovo era
la Luna e da esso balzò Eros, il dio della vita dalle ali dorate che portò alla luce
l’intero cosmo.
Ma in Grecia esisteva un mito più antico: Eurinome, Dea di Tutte le Cose,
cioè il Caos primigenio, per scaldarsi si mise a danzare nuda sulle onde delle
acque primordiali e poi strofinò tra le proprie mani il Vento del Nord. Da tale
gesto nacque un serpente, Ofione, che si accoppiò con la grande Dea.
Eurinome per accoppiarsi con Ofione si tramutò in colomba e dopo l’amplesso
depose l’uovo universale. Anche gli antichi popoli medio-orientali, come
babilonesi e sumeri, credevano alla mitica colomba che sorvolava le acque primordiali
del Caos. Una colomba.., non suggerisce nulla quest’immagine? E la
colomba in questi stessi miti viene’ associata ad un animale che tradizioni più
tarde avrebbero considerato con orrore. Infatti l’originale uovo primordiale era
un uovo di serpente.
Nel mondo celtico i Druidi chiamavano l’uovo cosmico “uovo del serpente” e
custodivano talismani fatti a sua immagine, forse ricci di mare fossili, che si
diceva possedessero qualità miracolose.
Una leggenda egizia narra come Kneph, il serpente primordiale produsse
l’uovo cosmico dalla propria bocca. Sempre l’orfismo greco, quella straordinaria
fucina di miti, considerando l’uovo il mistero della vita e della creazione, Io
raffigurò spesso circondato dall’Ouroboros, il mitico serpente circolare che si
morde la coda, quasi a rappresentare il tempo ciclico nel suo eterno ritorno. Ma
il serpente disteso è il tempo lineare della storia, e così anche l’uovo con la
propria forma simboleggia contemporaneamente il tempo cosmico, circolare e
ciclico, e quello storico e lineare. Del resto il serpente rappresenta in molte
tradizioni la rinascita, come l’uovo...
Osservando da vicino i simboli ci si accorge come essi in realtà si rispecchino
l’uno nell’altro, si generino l’uno dall’altro in un gioco infinito e universale. E’
nato prima l’uovo o la gallina? O il serpente? O la colomba? Domande che
rivelano tutti i limiti della nostra logica razionale e meccanicistica...
La pianta sacra dell’Equinozio di Primavera è il trifoglio. Pianta simbolo
dell’Irlanda, della quale si dice che San Patrizio, evangelizzatore dell’isola se ne
usasse per spiegare la Trinità cristiana (incidentalmente la festa di San Patrizio
ricorre il 17 marzo, in prossimità dell’equinozio). In realtà si tratta di una
tradizione tarda risalente al 180 secolo e il trifoglio non era altro che la
triskele, la ruota solare a quattro bracci, mentre la varietà a quattro foglie
rappresentava la croce celtica, la ruota solare, il cerchio nìagico delle quattro
direzioni: tutti simboli molto più antichi del Cristianesimo.
CELEBRARE L’EQUINOZIO DI PRIMAVERA
L’Equinozio di Primavera è il momento del risveglio della Natura, in cui si
manifesta pienamente il seme di luce germogliato a Imbolc.
Fisicamente è tempo di uscire all’aria aperta, di fare movimento, di andare
per prati e per boschi. Gli equinozi sono un periodo di equilibrio e al tempo
stesso di instabilità, di nervosismo. Giovano molto quindi le cure disintossicanti
e ricostituenti, specie se effettuate con metodi naturali (Fiori di Bach, ecc..). La
nostra irrequietezza è inoltre facilmente superabile con una maggiore attività
fisica: tra l’altro è tempo di iniziare a lavorare sulla terra per tutte le colture
che in breve tempo fioriranno e fruttificheranno.Se abbiamo un orto o un
giardino possiamo dedicare ad essi un po’ del nostro tempo, altrimenti
possiamo piantare o seminare qualche piantina in un vaso per sistemarla in
casa.Psicologicamente è tempo di iniziare nuovi progetti, magari le cose che
abbiamo sognato o immaginato durante l’inverno: un nuovo hobby, uno sport
o una qualche attività fisica. E’ infatti tempo di mettere in pratica le lezioni che
abbiamo imparato dalle nostre riflessioni invernali, dalle profonde visioni
interiori e dalla espansione della coscienza, tempo di portare quella conoscenza
nel mondo esterno, uscendo dalla introversione invernale.Per manifestare in
maniera ancor più concreta i mutamenti di questo momento di passaggio
potremmo compiere qualche piccolo rito propiziatorio.Siccome l’uovo è un
simbolo primario di Ostara e della rinascita (sia del Dio della Vegetazione, sia
dell’anno) possiamo quindi usarlo per rappresentare questa rinascita, come
pure la nostra rinascita interiore in questo periodo dell’anno, quando il clima si
riscalda e i nostri orizzonti si espandono. L’uovo riflette il nostro potenziale
interiore, già nato a Imbolc ma in attesa della sua schiusa. Così possiamo
dipingere (con colori non tossici!) il guscio di uova sode da consumare nel
nostro pranzo equinoziale o da regalare agli amici. Anche se non siamo artisti
possiamo decorarle con semplici disegni, ispirati al simbolismo stagionale: il
sole, il trifoglio, il coniglio e i fiori di primavera. L’uovo sta a simboleggiare le
nostre speranze spirituali nel ciclo annuale, quindi dipingendo le uova possiamo
formulare i nostri desideri per i prossimi mesi.Per celebrare la giovinezza
dell’anno e la nostra crescita interiore possiamo anche piantare dei semi, dopo
averli presentati al Sole e alla Terra e aver chiesto la loro benedizione.Se si
desidera compiere qualcosa di più complesso, si può celebrare un piccolo rito
all’aperto, in un prato o nel proprio giardino. Su una grossa pietra o un grosso
ceppo di legno si accendano candele gialle (colore della luce e del sole) e/o
verdi (la nuova crescita della vegetazione). Si salutino le potenze divine nel
loro aspetto di giovinezza:“Benvenuto Giovane Dio Sole”, (oppure Giovane Dio
della Vegetazione, se si vuole mettere l’accento sui cambiamenti della Natura)
e “Benvenuta Giovane Dea della Terra”. Ovviamente si possono pronunciare
formule di saluto più elaborate... Se lo si desidera, si può avere un piatto di
semi o di piantine (da piantare nel nostro giardino o da regalare ai nostri
amici) sui quali si visualizza discendere la benedizione delle forze cosmiche.
Possiamo pensare ai semi e alle piantine come ai nostri nuovi progetti da
concretizzare, così quando li pianteremo legheremo le nostre azioni ai grandi
cicli cosmici e stagionali armonizzandole con la Natura. Meditiamo sul mistero
della rinascita della Natura e sentiamo la fresca energia degli inizi che pervade
il nostro corpo.Si può bere vino (o succhi di frutta) e mangiare dolci,
ricordando di lasciare qualche goccia e qualche briciola da versare sulla terra,
come nostra offerta di ringraziamento.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)

IMBOLC LA FESTA DELLA LUNA CRESCENTE

IMBOLC

LA FESTA DELLA LUNA CRESCENTE

La luce che è nata al Solstizio di Inverno comincia a manifestarsi all’inizio del
mese di febbraio: le giornate si allungano poco alla volta e anche se la stagione
invernale continua a mantenere la sua gelida morsa, ci accorgiamo che
qualcosa sta cambiando. Le genti antiche erano molto più attente di noi ai
mutamenti stagionali, anche per motivi di sopravvivenza. Questo era il più
difficile periodo dell’anno poiché le riserve alimentari accumulate per l’inverno
cominciavano a scarseggiare. Pertanto, i segni che annunciavano il ritorno
della primavera erano accolti con uno stato d’animo che oggi, al riparo delle
nostre case riscaldate e ben fornite, facciamo fatica ad immaginare.
Se sovrapponiamo la Ruota dell’Anno al nostro moderno calendario, la
prima festa che incontriamo cade l’1 febbraio.
Presso i Celti l’1 febbraio era Imbolc (pronuncia Immol’c) detta anche
Oimelc o Imbolg. L’etimologia della parola è controversa ma i significati
rinviano tutti al senso profondo di questa festa. Infatti Imbolc pare derivare da
Imb-folc, cioè “grande pioggia’ e in molte località dei paesi celtici questa data è
chiamata anche “Festa della Pioggia”:
ciò può riferirsi ai mutamenti climatici della stagione ma anche all’idea di una
lustrazione che purifica dalle impurità invernali. Invece Oimelc significa
“Iattazione delle pecore” mentre Imbolg vorrebbe dire ‘nel sacco” inteso nel
senso di “nel grembo” con riferimento simbolico al risveglio della Natura nel
grembo della Madre Terra e con un riferimento più materiale agli agnelli, nuova
fonte di cibo e di ricchezza, che la previdenza della Natura e degli allevatori
avrebbe fatto nascere all’inizio della buona stagione.
L’allattamento degli agnelli garantiva un rifornimento provvidenziale di
proteine. Il nuovo latte, il burro, il formaggio costituivano spesso la differenza
tra la vita e la morte per bambini e anziani nei freddi giorni di febbraio.
Imbolc è una delle quattro feste celtiche, dette “feste del fuoco” perché
l’accensione rituale di fuochi e falò ne costituiscono una caratteristica
essenziale.In questa ricorrenza il fuoco è però considerato sotto il suo aspetto
di luce, questo è infatti il periodo della luce crescente. Gli antichi Celti, consapevoli
dei sottili mutamenti di stagione come tutte le genti del passato,
celebravano in maniera adeguata questo tempo di risveglio della Natura. Non
vi erano grandi celebrazioni tribali in questo buio e freddo periodo dell’anno,
tuttavia le donne dei villaggi si radunavano per celebrare insieme la Dea della
Luce (le celebrazioni iniziavano la vigilia, perché per i Celti ogni giorno iniziava
all’imbrunire del giorno precedente).
Nell’Europa celtica era infatti onorata Brigit (conosciuta anche come Brighid o
Brigantia), dea del triplice fuoco; infatti era la patrona dei fabbri, dei poeti e
dei guaritori. Il suo nome deriva dalla radice “breo” (fuoco): il fuoco della
fucina si univa a quello dell’ispirazione artistica e dell’energia guaritrice. Brigit,
figlia del Grande Dio Dagda e controparte celtica di Athena-Minerva, è la
conservatrice della tradizione, perché per gli antichi Celti la poesia era un’arte
sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia,
rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni. La capacità di
lavorare i metalli era ritenuta anche essa una professione magica e le figure di
fabbri semi-divini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extraeuropee;
l’alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa
concezione sacra della metallurgia.
Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di
questo sono testimonianza le numerose “sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’
ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino ad oggi
numerose tradizioni circa le loro qualità guaritrici. Ancora oggi, ai rami degli
alberi che sorgono nelle loro vicinanze, i contadini appendono strisce di stoffa o
nastri a indicare le malattie da cui vogliono essere guariti.
Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio. Lo specchio è
strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno
accesso eroi e iniziati. La ruota del filatoio è il centro ruotante del cosmo, il
volgere della Ruota dell’Anno e anche la ruota che fila i fili delle nostre vite. La
coppa è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono.
Cristianizzata come Santa Bridget o Bride, come viene chiamata
familiarmente in gaelico, essa venne ritenuta la miracolosa levatrice o madre
adottiva di Gesù Cristo e la sua festa si celebra appunto l’1 febbraio, Giorno di
Santa Bridget o Là Fhéile Brfd.Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia
l’esistenza storica quanto certa la sua derivazione pagana, si diceva che avesse
il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrire i poveri, potendo trasformare
in birra perfino l’acqua in cui si lavava!
A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un
fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove
monache. Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un
ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella
doveva pronunciare la formula rituale “Bridget proteggi il tuo fuoco. Questa è
la tua notte”. Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere
miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare
metonico che si ripete identico ogni diciannove anni solari.
Inutile ricordare come questa usanza ricordasse il collegio delle Vestali che
tenevano sempre acceso il sacro fuoco di vesta nell’antica Roma, ma più
probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae,
una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro
recinto sacro dall’intrusione degli uomini e i cui riti furono mantenuti attraverso
molte generazioni.
Allo stesso modo, nel monastero di Kildare solo alle donne era concesso di
entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con
mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel 120 secolo. Il fuoco bruciò
ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario, nel 60
secolo fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a
questa devozione più pagana che cattolica.
I riti di Brigit celebrati a Imbolc ci sono stati tramandati dal folklore scozzese e
irlandese. Nelle Isole Ebridi (che forse devono il loro nome proprio a Brigit o
Bride) le donne dei villaggi si radunano insieme in qualche casa e
fabbricano un’ immagine dell’antica Dea, la vestono di bianco e pongono un
cristallo sulla posizione del cuore. In Scozia, la vigilia di Santa Bridget le donne
vestono un fascio di spighe di avena con abiti femminili e lo depongono in una
cesta, il “letto di Brid”, con a fianco un bastone di forma fallica.Poi esse gridano
tre volte “Brid è venuta, Brid è benvenuta!”, indi lasciano bruciare torce e
candele vicino al “letto” tutta la notte. Se la mattina dopo trovano l’impronta
del bastone nelle ceneri del focolare, ne traggono un presagio di prosperità per
l’anno a venire. Il significato di questa usanza è chiaro: le donne preparano un
luogo per accogliere la Dea e invitano allo stesso tempo il potere fecondante
maschile a unirsi a lei. Anche nell’isola di Man veniva compiuta una cerimonia
simile, chiamata Laa’l Breesley. Nell’Inghilterra del Nord, terra dell’antica
Brigantia, la ricorrenza veniva denominata “Giorno delle Levatrici”.
In Irlanda, si preparano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a
quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare
(che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso
giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad
allora.La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza
precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina.
Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra
l’altro che la luce ed il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova
in continuazione, anno dopo anno. Le spighe di avena (o grano, orzo, ecc.)
usate per fabbricare le bambole di Brigit, provengono dall’ultimo covone del
raccolto dell’anno precedente. Questo ultimo covone, in molte tradizioni
europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo , dell’Avena, ecc.) e la
bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano
(o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.).Si credeva cioè che lo spirito del cereale o la
stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto:
come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la
vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea
della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita,
morte e rinascita. E Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.
Un antico codice irlandese, il Libro di Lisrnore, riporta una curiosa leggenda.
Si narra che a Roma i ragazzi usavano giocare ad un gioco da tavolo in cui una
vecchia megera liberava un drago mentre dall’altra parte una giovane fanciulla
lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava
un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine
che abbatteva il leone. Papa Bonifacio, dopo aver interrogato i ragazzi e aver
saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì. La megera
non è altro che la Vecchia Dea dell’Inverno sconfitta dalla Giovane Dea della
Primavera. Essendo questa leggenda stata raccolta in un ambito culturale
celtico, si può supporre che la Vecchia altri non era che la Cailleach a cui si
contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di
Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù
Cristo.
In realtà è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così
come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto. I Carmina Gadelica, una
raccolta di miti, proverbi e poemi gaelici di Scozia, raccolti e trascritti alla fine
dell’800 dal folklorista scozzese Alexander Carmichael, riportano la seguente
filastrocca:
“La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me
Il serpente appare come uno degli animali-totem di Brigit. In molte culture il
serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di
crescita, decadimento e rinnovamento. Nel giorno di Bride il serpente si
risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine
imminente della cattiva stagione. Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica
Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della
Natura e anche la sua dualità Infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a
“naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nem”. La Vecchia Dea e
la Giovane Dea sono la stessa persona! (nelle fiabe l’eroe che coraggiosamente
bacia una vecchia megera si ritrova di fronte una bellissima fanciulla...)
In un’altra area culturale europea, nell’antica Roma, i primi giorni di febbraio
erano sacri alla dea Februa o a Giunone Februata. “Februare” in latino significa
purificare, quindi febbraio è il mese delle purificazioni (anche la febbre è un
modo di purificarsi usato dal nostro corpo!).
Processioni in onore di Februa percorrevano la città con fiaccole accese,
simbolo di luce e allo stesso tempo, di purificazione. Un’altra usanza, legata
anche a rituali di fertilità erano i Lupercali: i Luperci, sacerdoti di Fauno,
correvano per le strade vestiti solo con una pelle di capra e con una frusta
(anche essa fabbricata con strisce di pelle di capra) con la quale battevano le
giovani spose per propiziarne la fertilità (e quindi la capacità di partorire).
La Chiesa, per combattere queste usanze, istituì processioni con candele,
alle quali a partire dall’11° secolo aggiunse la benedizione delle candele per gli
altari.Col nome di Candelora o Candlemas (nei paesi anglosassoni) è nota la
festa cristiana del 2 febbraio, denominata “Presentazione del Signore al
tempio”. Ma è evidente che la nuova religione non ha potuto modificare il
significato autentico della festa, un significato che è profondamente incarnato
nella Natura e nello spirito umano. Il legame della festa con le candele, la
purificazione e l’infanzia, sopravvisse nell’usanza medievale di condurre le
donne in chiesa dopo il parto a portare candele accese.
L’idea di una purificazione rituale in questo periodo è rimasta forte nel folklore
europeo. Ad esempio le decorazioni vegetali natalizie vengono messe da parte
e bruciate alla Candelora per evitare che i folletti che in esse si sono nascosti
infestino le case. Il concetto di purificazione è presupposto di una nuova vita:
si eliminano le impurità del passato per far posto alle cose nuove. Alcuni gruppi
neopagani europei festeggiano Imbolc accendendo candele che sporgono da
una bacinella di acqua. Il significato è quello della luce della nuova vita che
emerge dalle acque del grembo materno, le acque lustrali di Imbolc che lavano
via le scorie invernali. Un antico detto celtico ricordava come fosse una buona
cosa lavarsi mani e viso a Imbolc!
La pianta sacra di Imbolc è il bucaneve. E’ il primo fiore dell’anno a sbocciare e
il suo colore bianco ricorda allo stesso tempo la purezza della Giovane Dea e il
latte che nutre gli agnelli.
CELEBRARE IMBOLC
Imbolc è una festa dove si onorano il principio femminile della Natura e
l’infanzia, vista come inizio promettente di ogni cosa.
E’ il periodo in cui una nuova corrente di vita inizia a scorrere nel mondo della
Natura: noi dobbiamo lasciare definitivamente il passato e guardare al futuro
con fiducia e ottimismo, con lo stesso sguardo di un bambino. Anche se questo
è il periodo dal clima più freddo e più crudele, guardandoci intorno possiamo
vedere che la Primavera sta cominciando; la linfa inizia a crescere nei rami
degli alberi e appaiono i bucaneve. E’ tempo di prendere coraggio da questi
piccoli segni di rigenerazione e riconoscere che su di essi si costruiranno tante
cose nei mesi a venire. Questo è il momento delle potenzialità, il potenziale
della Primavera e dei semi che si muovono nel terreno ma anche il potenziale
dei semi di crescita e di creatività nelle nostre vite. Per preparare il sentiero
alle nuove energie occorre però compiere un cammino di purificazione,
abbandonando alle nostre spalle le scorie del passato.
Fisicamente è opportuno praticare una dieta più leggera, dopo che i
banchetti delle feste invernali e la forzata sedentarietà trascorsa al chiuso delle
nostre case, hanno appesantito il nostro fisico. Possiamo anche decidere di fare
una bella pulizia in casa! E’ utile purificare la nostra casa e il nostro corpo con il
fumo dell’incenso: vanno benissimo anche i bastoncini di incenso profumati che
si trovano ovunque in commercio. Scegliamo pure l’aroma che ci piace di più e
lasciamo che il fumo sottile pulisca i nostri corpi energetici.
Psicologicamente è il momento di purificare la nostra mente dai cattivi
pensieri e dai sentimenti inadeguati. Una bella pulizia mentale, che ci consenta
di fare entrare in noi la luce della Natura rinnovata e di partecipare al risveglio
del cosmo dalla lunga notte invernale.
Spiritualmente può essere utile la celebrazione di piccoli rituali legati ai
simboli della festa.
Un rituale molto semplice può essere quello di accendere una candela bianca
(colore di purificazione) dicendo “Accendo la fiamma di Brigit per illuminare il
cammino della mia vita”. Si mediti per un po’ di tempo sui significati della
festa: sul nostro bisogno di purificazione, sulla necessità di abbandonare cose e
aspetti della nostra vita che non ci piacciono più, sulle nuove cose che
vogliamo portare nelle nostre esistenze. Poi si porti la candela accesa nelle
varie stanze della nostra abitazione, facendo il giro degli ambienti in senso
orario (magicamente è la direzione propizia, che porta energia). Alla fine si
spenga la candela dicendo “Spengo la fiamma di Brigit per farla vivere in me” e
si visualizzi la luce della candela che entra in noi.
Se si vuole compiere qualcosa di più tradizionale, gli uomini possono uscire
dopo l’imbrunire della vigilia di Imbolc, per andare a raccogliere un dono per
Brigit (pietra, conchiglia, penna di uccello) da riportare in casa. Le donne
invece possono trascorrere la vigilia di Imbolc pulendo la casa e immaginando
di ramazzare via le energie morte dell’inverno: la Vecchia dell’Inverno è
cacciata fuori dall’uscio di casa con la scopa.Poi, sempre le donne, con rametti
raccolti in precedenza preparano un letto per Brigit dove depongono una
bambola fabbricata con spighe tenute da parte per l’occasione, e danno il
benvenuto alla Dea accendendo una candela bianca e meditando sulla nuova
vita che sta tornando. Anche gli uomini, ritornati in casa con il dono per Brigit
possono accendere una candela bianca e meditare sul ritorno della luce e della
buona stagione.
Un rituale invece più complesso, che possono eseguire tutti, consiste nel
procurarsi tre candele (sempre di colore bianco!), e disporle in un triangolo,
con la punta rivolta verso nord. Nel centro del triangolo così disposto si pone
un calice di acqua (simbolo della purificazione) o di latte (simbolo del
nutrimento della nuova vita). Dopo un breve rilassamento, seduti o in piedi, ci
si muove verso la candela a nord, la si accende e si dice “Signora dell’Inverno,
ti dico addio, la tua stagione è terminata”. Si visualizzi il gelido potere
dell’inverno che si allontana. Dopo avere sostato un po’, ci si sposta alla
candela di sud-est, la si accende e si dice “Signora della Primavera, ti offro un
caloroso benvenuto, la terra è il tuo letto”. Si visualizzi il gioioso potere della
primavera che si avvicina. Dopo un po’ si va alla candela di sud-ovest, la si
accende e si dice “Signora dell’Estate, presto io ti chiamerò e risveglierò il tuo
amante”. Si visualizzi il potere ancora lontano della bella stagione, desideroso
di nascere e pulsante di vita nel sottosuolo. Quando ci si sente pronti, si va al
centro del triangolo, si raccoglie il calice e si dice “Io bevo il potere della
Triplice Dea. Possa questo potere diffondersi su tutta la terra per segnare la
nascita della primavera”. Si beve dal calice e si immagina il potere che fluisce
in noi, attraverso di noi per risvegliare la Natura. A questo punto si può inserire
qualche usanza ricordata in precedenza, cioè la fabbricazione del letto di Brigit
o l’arsione delle decorazione vegetali delle feste invernali. Oppure si può
semplicemente concludere la cerimonia andando a ciascuna delle candele,
nell’ordine in cui sono state accese: si spengono dicendo mentalmente o ad
alta voce “Va’ fuoco e caccia l’inverno, riscalda la terra e risveglia la
primavera”. Ovviamente in tutti questi piccoli rituali le parole delle formule
possono essere adattate e se lo desideriamo, possiamo utilizzare brevi frasi
che noi stessi avremo composto, secondo le nostre capacità e la nostra
sensibilità.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)

lunedì 30 dicembre 2013

Pele

Pele

Pele nella mitologia hawaiiana è una divinità del fuoco, della luce, della danza, dei vulcani e della violenza. È quindi la dea della creazione ma anche della distruzione. La sua dimora è situata all'interno del vulcano Kilauea, uno dei vulcani più attivi e turbolenti della terra. Le sue lacrime hanno formato le piccole formazioni laviche che si possono rintracciare nei pressi del vulcano.

Caratteristiche

È nota sia per il suo temperamento focoso sia per la dolce passione con cui vive i suoi amori. I suoi fedeli hanno modo di assistere alle sue apparizioni durante le quali assume le sembianze di una donna affascinante e seducente, oppure di una terribile strega.

Racconti mitologici

Quando molto tempo fa, a Tahiti fu imposto un nuovo culto religioso che prevedeva il sacrificio di vite umane, alcuni non condivisero questa imposizione. I dissenzienti decisero di abbandonare l'arcipelago, guidati da Tamatoa e da suo fratello Teroro. Assieme a loro imbarcarono anche animali e piante da trapiantare nella terra di destinazione. Il loro viaggio fu lungo e difficoltoso. Quando ormai sembravano perduti, riuscirono a rintracciare un'isola vulcanica che denominarono Hawai'i. Restarono ammaliati dalla bellezza del monte che, però, dopo poco tempo, incominciò le sue eruzioni svelando i segreti del luogo. Per cercare di rabbonire la divinità dovettero utilizzare la pietra rossa, simboleggiante la dea.
(Wikipedia)

Freyja

Freyja

Freyja è una divinità della mitologia norrena, dapprima della stirpe dei Vanir, ma dopo la pace che concluse il conflitto fra le due stirpi divine, viene mandata dagli Æsir come ostaggio e diviene una di loro. Ha molte manifestazioni ed è considerata la dea dell'amore, della seduzione, della fertilità, della guerra e delle virtù profetiche. Freyja è chiamata anche Gefn, Hörn, Mardöll, Sýr, Valfreyja e Vanadís. È figlia di Njörðr e di Skaði, sorella di Freyr e moglie di Óðr, a causa del quale soffre le pene d'amore, dato che la lascia per intraprendere lunghi viaggi, costringendola ad infruttuosi inseguimenti, durante i quali si lascia andare a pianti di lacrime d'oro. Assieme al consorte, mette al mondo due splendide fanciulle, dai nomi emblematici: Görsimi e Hnoss, sinonimi di "tesoro". Loki la definisce una ninfomane, sempre pronta a saziare le sue voglie con qualunque tipo di partner, dai giganti agli elfi, ed in effetti il suo irrefrenabile desiderio è cantato nelle Mansöngr, letteralmente canzoni per uomini, liriche amorose, ufficialmente vietate, ma diffusissime nelle alcove. Ne parla l'Edda di Snorri che afferma che la dea ama i canti d'amore e incita gli innamorati ad invocarla; aggiunge anche che Freyja cavalca nei campi di battaglia ed ha diritto alla metà dei caduti che guiderà in battaglia durante il Ragnarök, mentre l'altra metà è del dio Odino. Alla fine della guerra fra i Vanir e gli Æsir va a vivere con il fratello fra questi ultimi. Dimora nel palazzo Sessrumnir, che significa "dalle tante sedie", che si trova in Folkvang, "campo di battaglia"; ne esce ogni giorno viaggiando su un carro scintillante tirato da due gatti (si presume di razza delle foreste norvegesi).

numerose peculiarità, Freyja annovera quella di esperta nelle arti magiche seiðr, con cui poteva realizzare divinazioni e incantesimi a distanza. Possiede la collana Brísingamen, forgiata dai nani che gliela donarono a patto che giacesse con loro. Il suo giorno sacro è il venerdì e ne rimane traccia nel termine inglese Friday e in quello tedesco Freitag. Il suo nome, Freyja in norreno, dal significato di Signora, si trova a volte scritto in altre forme (Freia, Freya). Freyja, nella mitologia norrena, viene a volte confusa con Frigga, dea Æsir moglie di Odino, con la quale condivide la salvaguardia della fertilità e della fecondità e il ruolo di protettrice delle partorienti.

Freyja nella cultura moderna

Il suo nome di Vanadís dà origine al nome del vanadio. L'elemento chimico fu così battezzato dal suo riscopritore, il chimico svedese Nils Gabriel Sefström.
(Wikipedia)

Cristalli

Libri...alberi...saggezza...

I libri contengono parole; gli alberi contengono energie e saggezza che i libri non possono neanche sognarsi.

tratto dal libro “Il praticante solitario” di Scott Cunningham

Attenti....

Attenti a ciò che desiderate perché potreste ottenerlo.

-- Marion Zimmer Bradley