martedì 31 dicembre 2013
LITHA-Solstizio D'Estate Il Trionfo della Luce
SOLSTIZIO
D’ESTATE
IL TRIONFO DELLA LUCE
Intorno al 21 giugno il sole celebra il suo trionfo, in quello che è il giorno più
lungo dell’anno, ma che allo stesso tempo, rappresenta l’inizio del suo declino.
Infatti, dopo il Solstizio d’Estate, le giornate iniziano lentamente ma inesorabilmente
ad accorciarsi fino al solstizio d’inverno, in quella che è la fase
“calante” dell’anno. Solstizio deriva dal latino sol stat, “il sole si ferma”, e,
infatti, pare quasi che il sole indugi un po’ in questa posizione prima di
riprendere il suo cammino discendente. Il sole raggiunge la sua massima
declinazione positiva rispetto all’equatore celeste, per poi riprendere il
cammino inverso: inizia l’estate astronomica.
E’ tempo in cui possiamo ricevere il massimo della potenza solare: la mistica
forza che unisce cielo e terra è ora più forte. Questa elementare verità, era
conosciuta dagli antichi popoli che pare fossero a conoscenza del fatto che le
“ley lines”, le misteriose linee energetiche che solcano la superficie terrestre
aumentano la loro carica energetica tramite la potenza solare. Anche
monumenti come menhir, dolmen e cerchi di pietre erano forse focalizzatori
artificiali del sistema energetico terrestre. I cristalli possono essere potentemente
caricati al solstizio e siccome il granito dei megaliti di Stonehenge
contiene una grande quantità di quarzo, questo
cerchio si attiva al Solstizio, generando un forte campo energetico.Non a caso
la cerimonia del Solstizio d’Estate è la festa più elaborata e più famosa
compiuta dai moderni ordini druidici, che la celebrano ogni anno appunto a
Stonehenge (nel 1999 sono ripresi i rituali dopo una sospensione di dieci anni
decretata nel 1988 dalle autorità britanniche per motivi di ordine pubblico).
Li Neo-DruidiSmO chiama il Solstizio d’Estate Alban Heruin, “Luce della riva”.
Infatti, la festa è al centro dell’anno, al suo volgere, così come la spiaggia è il
luogo d’incontro di mare e di terra dove i due confini si uniscono. Nelle tradi -
zioni antiche la “terra” era la zona astronomica al di sopra dell’equatore celeste
e I’ “acqua” quella inferiore. Il sole trovandosi nel loro punto d’incontro è come
sulla riva del mare.
Nell’antica Grecia i due solstizi erano chiamati “porte”:
“Porta degli uomini” l’estivo (Borea perché il sole è a nord dell’equatore
celeste) e “porta degli dei” l’invernale (Noto perché il sole è a sud dell’equatore
celeste). Per la prima porta si entrava nel mondo materiale della creazione
mentre per la seconda si entrava nel regno divino e soprannaturale. Tempo di
passaggio è dunque il Solstizio, che si colloca fuori dallo spazio-tempo quel
confine che separa la crescita dal declino, la manifestazione dalla nonmanifestazione.
Esso è una sorta di capodanno. Midsummer, mezza-estate, lo
chiamano nei paesi anglosassoni, e Shakespeare nel suo “Sogno di una notte
di mezza estate” ne ha raffigurato l’aspetto magico, dove sogno e realtà si
fondono. Questa atmosfera di tempo fuori dal tempo rende il Solstizio un
momento propizio per ~ presagi e le pratiche divinatorie, sia nel folklore
popolare, sia nelle tradizioni magiche cerimoniali e “colte”.
Pur se cristianizzata come festa di San Giovanni (24 giugno) la notte di
mezza estate ha conservato tutte le sue valenze magiche.In tutta Europa si
traevano (e forse ancora si traggono) presagi ad opera delle ragazze nubili per
sapere se si sposeranno ed eventualmente acquisire indizi sull’identità del
futuro sposo. Ad esempio col piombo liquefatto nelle padelle si individuava,
tramite le forme assunte dal metallo, il mestiere del futuro sposo. Altri metodi
utilizzavano la chiara d’uovo versata nell’acqua o le fave sbucciate.
In Galles per trovare la propria anima gemella si camminava intorno ad una
chiesa nove volte e si metteva alla fine di ogni giro un coltello nella serratura
del portone, dicendo: “Qui c’è il coltello, dove è il fodero?” Il simbolismo è
evidente...
Usanze logiche se si pensa che la Natura, al massimo del suo rigoglio,
favorisce tutto ciò che riguarda l’amore e la fertilità. Mazzetti di erbe collocati
sotto il cuscino favoriscono i sogni divinatori: le erbe giocano un ruolo di primo
piano nelle tradizioni solstiziali e di San Giovanni.
Si raccolgono piante aromatiche da bruciare sui falò solstiziali, piante che
danno poco fumo e hanno un buon aroma, come timo, ruta, maggiorana.Era
comune credenza che moltissime piante in quest’epoca avessero poteri quasi
miracolosi.Il vischio è una pianta solstiziale molto importante nella tradizione
celtica: secondo lo scrittore romano Plinio pare che gli antichi Druidi
raccogliessero questa pianta con un falcetto d’oro, strumento che univa la
forma lunare al metallo solare. I rami di vischio al Solstizio d’Estate assumono
un aspetto dorato, il famoso Ramo d’Oro dei miti. Il sambuco tagliato la vigilia
del Solstizio, sanguina nelle leggende britanniche. Il seme di felce permetteva
di trovare tesori nascosti, mentre il leggendario fiore di felce (che non esiste, al
pari del seme, in quanto la felce è una pianta pteridofita, cioè che si riproduce
tramite spore) rendeva invisibili i suoi fortunati raccoglitori. In tutti i paesi
europei si raccoglievano erbe ritenendole impregnate di miracolose virtù: la
verbena portava prosperità, mentre l’artemisia sacra ad Artemide sorella di
Apollo, proteggeva dal malocchio. Si riteneva in particolare che l’energia solare
si raccogliesse in fiori come la calendula o l’iperico, la miracolosa “erba di San
Giovanni”.
Proprio tutte queste virtù più magiche che terapeutiche attribuite alle piante,
spiegano l’abbondare di leggende riguardanti coloro che più di ogni altra
persona conoscevano le erbe magiche: le streghe. L’usanza antica di certe
donne di recarsi nude a raccogliere erbe ricorda antichi riti in cui le donne
andavano nude nei campi per propiziare il raccolto, spesso compiendo danze
cavalcando bastoni o manici di scopa. Anche questa usanza può essere
all’origine di tanti racconti sulle streghe. Forse dietro le storie dei raduni di
incantatrici e di fattucchiere nella notte di mezza estate, si cela anche il ricordo
dei riti solstiziali celtico-germanici intorno ad un albero (il noce di Benevento!)
o delle feste licenziose in onore della dea Fortuna nell’antica Roma che si
tenevano appunto il 24 giugno. In onore di Fortuna tutta la popolazione, ricchi
e poveri, liberi e schiavi, accorreva ai templi, banchettava e danzava. Fortuna
è la Dea della casualità assoluta, del caos benefico e rigeneratore.
La somiglianza di queste feste con i Saturnali del Solstizio d’Inverno fanno del
Solstizio estivo una sorta di capodanno o di carnevale, un periodo“caotico” in
cui il cosmo si rinnova e si ricrea, con conseguente rimescolamento dei ruoli
sociali e capovolgimento delle norme morali. In questo benefico caos
assumono rilievo i due elementi primordiali del fuoco e dell’acqua, contrapposti
ma pur sempre complementari, simboleggiando il primo i poteri della divinità
maschile e la seconda quelli della divinità femminile o, se si preferisce il sole e
la luna. Nell’astrologia babilonese il Solstizio d’Estate era simboleggiato dal
matrimonio di sole e luna, in cui i due astri spargono le loro energie sul mondo.
L’acqua del Solstizio è appunto direttamente collegata alla luna e al segno del
Cancro: significativamente il glifo di questo segno zodiacale è composto da due
segni spirali-formi che si oppongono in un simbolo simile allo Yin-Yang
orientale, forse indicanti le due metà dell’anno che ora si incontrano. Nelle
celebrazioni solstiziali l’acqua è rappresentata dalla rugiada o “guazza di San
Giovanni”, cui sono attribuiti poteri miracolosi: fare ricrescere i capelli, ringiovanire
la pelle o addirittura propiziare la fertilità. Non era raro che molte
giovani donne si bagnassero nude nei prati con la magica rugiada la notte di
San Giovanni...
Il fuoco viene simboleggiato dai falò accesi un po’ ovunque in Europa
nella notte solstiziale o di San Giovanni, fuochi che sono strettamente collegati
a quelli del Solstizio d’Inverno o ai fuochi di primavera. Quale è il loro significato?
Secondo una teoria sono simboli solari e accenderli significa rafforzare
l’energia dell’astro che d’ora in avanti va declinando. Un’altra interpretazione
esalta il loro valore purificatorio, con cui vengono scacciati gli spiriti maligni e
le malattie. Non bisogna dimenticare infatti che in questo periodo caotico, di
“passaggio”, così come gli esseri umani hanno libero accesso a regni e poteri
soprannaturali, così
anche le entità malefiche possono vagare indisturbate per il nostro mondo. In
molti luoghi si diceva che coloro che avevano il coraggio di rimanere nel
cimitero la vigilia di Mezza Estate potevano avere la visione di quelli che
sarebbero morti nel corso dell’anno! Nel folklore nord-europeo la vigilia di San
Giovanni è una delle tre “notti degli spiriti” insieme alle vigilie di Calendimaggio
e di Hallowee’enlSamhain. Ad ogni modo tutte le tradizioni popolari europee
vedono l’accensione di fuochi sulle colline, processioni notturne con fiaccole e
ruote infuocate gettate lungo i pendii.A somiglianza dei fuochi di Beltane (festa
di cui in fondo il Solstizio è la controparte celeste, astronomica) si danza
intorno ai falò e si salta sulle fiamme quando queste si abbassano. Il fumo dei
fuochi veniva usato per purificare il bestiame, mentre le ceneri erano sparse
sui campi per propiziarne la fertilità. In Scandinavia il falò del Solstizio era il
‘fuoco di Baldur”. Baldur, figlio di Odino, era il giovane dio che veniva ucciso
nel fiore degli anni e probabilmente nell’antichità si sacrificavano uomini per
rappresentarne la morte. Forse Baldur era uno spirito della vegetazione, lo spirito
della quercia celebrato da alcuni miti nordici e celtici. Infatti, le leggende
narrano di una lotta eterna tra due opposte divinità, il Re della Quercia e il Re
dell’Agrifoglio, dove il primo rappresenta il Dio dell’anno crescente (cioè della
metà dell’anno in cui la luce solare prevale sulle tenebre notturne) e il secondo
raffigura il Dio dell’anno calante (la metà dell’anno in cui la notte prevale sul
giorno). Se in inverno era il Re dell’Agrifoglio a soccombere, al Solstizio
d’Estate era il Re della Quercia a dover cedere di fronte all’avversario. E questo
spiegherebbe perché i fuochi solstiziali erano alimentati con legno di quercia...
La quercia fiorisce intorno al Solstizio e segna il passaggio tra anno crescente e
anno calante. La morte estiva del Re della Quercia aveva varie forme: bruciato
vivo, accecato con un ramo di vischio o crocifisso su una croce a T. Il poeta e
studioso di miti Robert Graves disse che l’uomo il quale personificava il Dio era
sacrificato in questi modi, ma il Dio stesso ascendeva al cielo, fino alle stelle
circumpolari e precisamente fino alla Corona Borealis (costellazione chiamata
nelle leggende celtiche Caer Arianrhod, Castello della Dea Arianrhod - “ruota
d’argento” -), dove attendeva la rinascita.
Al Solstizio d’Estate vengono a interagire e ad intersecarsi i due cicli della
Ruota dell’Anno: quello primordiale dei cacciatori-raccoglitori che narra lo
scambio stagionale di potere tra due figure gemelle, e il ciclo solare solstizialeequinoziale.
L’idea di due divinità o di due re che combattono eternamente tra loro
appare in molte culture. Basti pensare ad Apollo che uccide il serpente Pitone a
Delfi, al dio babilonese Marduk che abbatte Tiamat o a Zeus che lotta contro
Tifone. Il serpente era nella remota antichità una divinità o il simbolo di varie
divinità, forse la raffigurazione del dio dell’anno calante. Ciò può avere
generato più tardi i miti degli eroi che uccidono draghi. Ma se nelle mitologie
più antiche il signore abbattuto risorgeva ogni anno, in modo che la luce e
l’oscurità regnassero in equilibrio tra loro, in tutti questi miti più tardi,
probabilmente per influenza dei culti solari legati alla regalità, la vittoria dei
personaggi “luminosi” è sempre definitiva e senza appello.
Nelle leggende riguardanti il duello eterno dei due re appare spesso una
figura femminile che rappresenta la Dea, la quale non soccombe ma costituisce
un perno immobile tra le due figure, simbolo della Morte in Vita. Infatti, anche
se ora la terra è esuberante nella sua fertilità, è pur sempre uno zenith
transitorio in cui la Natura presiede alla morte del Re della Quercia e
all’insediamento del suo oscuro ma necessario gemello. Nei miti solstiziali la
Grande Dea appare anche come Ape Regina a manifestare i due aspetti, quello
luminoso e quello tenebroso. La Dea Cibele era raffigurata come Ape Regina
perché i suoi sacerdoti si castravano per diventare i suoi sposi, come il fuco è
castrato dall’ape regina durante l’accoppiamento. Si diceva che al solstizio
d’estate Cibele avesse imprigionato il suo amante Attis nell’erica, perché i fiori
di erica sono un fiore prediletto alle api. Ma l’ape è anche un animale solare,
perché viaggia tra i fiori seguendo la posizione del sole e produce il miele il
quale ha lo stesso colore del sole. I Celti consideravano le api dei messaggeri
che viaggiavano sui sentieri della luce solare fino ai regni degli spiriti, creature
associate alla conoscenza del futuro e all’ispirazione divina. Ma per molti popoli
erano anche simbolo di rinascita, in quanto si riteneva che esse nascessero dai
corpi di animali morti.Il Solstizio d’Estate rappresenta anche il ciclo agricolo
incentrato sui cereali. Nelle Isole Britanniche questo ciclo venne narrato nella
storia di John Barleycorn (lo spirito dell’orzo) che vive dalla semina fino al
momento della sua morte ad opera della falce, ma che poi rinasce dal suo stesso
seme, in un ciclo senza fine ma con momenti ben definiti, caratterizzati da
celebrazioni rituali. In questo ciclo il dio muore e discende agli inferi dove la
Dea della Terra lo soccorre e lo fa rinascere.
Tra i popoli nordici il Solstizio d’Estate era chiamato anche Litha, dal nome
della dea sassone del grano affine a Demetra e a Cerere.
La pianta sacra del solstizio d’estate è l’iperico. L’iperico raccolto a
mezzogiorno del solstizio era capace di guarire molte malattie, mentre le radici
raccolte a mezzanotte cacciavano via gli spiriti maligni. L’iperico era appeso
sulle porte per proteggere le abitazioni dagli spiriti malvagi, e il suo nome
greco hyperikon significa appunto “proteggere” o “sconfiggere un’apparizione”.
Inoltre si diceva che le donne ansiose di concepire dovevano andare nude nel
loro giardino la vigilia di San Giovanni e raccogliere l’iperico.
CELEBRARE IL SOLSTIZIO D’ESTATE
I poteri del Dio Sole sono allo zenith e anche se i giorni più caldi devono
ancora venire, l’estate è ormai con noi. Si vuole trascorrere quanto più tempo
possibile al sole e all’aria aperta. Si gioisce nel pieno flusso dell’abbondanza,
nell’apogeo di luce e calore. E’ un momento adatto per concludere e portare a
compimento quello che stiamo realizzando. Ed è anche tempo di gioia e di
divertimento. Come celebriamo la crescita delle messi così festeggiamo la
nostra crescita interiore.Psicologicamente è il momento di celebrare il
raggiungimento dei nostri obiettivi, di riconoscere i nostri talenti e la nostra
azione nel mondo esterno. Ma tutto scorre e dobbiamo ricordarci che la vita è
un processo dinamico, non una condizione fissa. In questo periodo, punto di
equilibrio tra l’anno crescente e l’anno calante, troviamo il momento ideale per
lavorare sulle qualità di integrazione e di equilibrio:
integrazione di quello che abbiamo imparato in questi mesi e raggiungimento
di un nuovo equilibrio interiore.
Per celebrare il solstizio possiamo fare cose molto semplici. Ad esempio
alzarci all’alba e osservare il sole che spunta, meditando sulle sue qualità e sul
suo destino: la massima forza coincide con l’inizio del suo declino.
Possiamo bagnarci con la rugiada solstiziale oppure accendere un piccolo
falò nel nostro giardino la vigilia del solstizio e organizzare un piccolo festino
con i nostri amici.
Possiamo raccogliere le erbe del solstizio e conservarle come portafortuna.
Ma possiamo anche celebrare ritualmente questo momento con una veglia
che cominci a mezzanotte, in fondo è la notte più breve dell’anno! Se si è
all’aperto si può tenere acceso un piccolo fuoco oppure si possono accendere
candele rosse o dorate, meditare sui significati di questa festa, ascoltare o
suonare musica, leggere poesie, magari in compagnia dei nostri amici. Questa
veglia ci darà modo di rivedere il nostro anno con le cose iniziate e quelle
compiute, nonché di guardare al resto dell’anno che si stende davanti a noi.
Al momento dell’alba possiamo salutare il sole dicendo:
“Salute a te Sole nel giorno del tuo trionfo!”. Sentiamo l’energia solare che
pervade il mondo intero e accettiamo il fatto che questo momento di trionfo sia
anche l’annuncio del declino
Possiamo fare offerte di vino e di dolci.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)
BELTANE LA FESTA DELLA FERTILITÀ
BELTANE
LA FESTA DELLA FERTILITÀ
La fine della metà “oscura “ dell’anno e l’inizio dell’estate ha costituito da
sempre un momento di passaggio, in cui la rigenerazione della vita vegetale è
anche la resurrezione della vita cosmica, un ritorno al tempo mitico degli
inizi.Nella tradizione celtica le due feste maggiori erano quelle che segnavano
rispettivamente l’inizio dell’estate e l’inizio dell’inverno. Come molte altre
popolazioni pastorali, gli antichi Celti avevano infatti due sole stagioni, non
quattro: la metà oscura e la metà luminosa dell’anno. Nel Nord Europa inoltre,
gli effetti della primavera cominciano a sentirsi solo all’inizio di maggio. Le
successive suddivisioni dell’anno furono introdotte più tardi dagli agricoltori.Gli
antichi Celti celebravano il l~ maggio la festa di Beltane (pron. Beltein) nome
anglicizzato che corrisponde al gaelico irlandese Bealtaine (pron. B’ioltinna) e
al gaelico scozzese Bealtuin (pron. B’ialten) In Scozia Bealtuin è il Giorno di
Maggio, May Day, mentre in Irlanda Bealtaine è il nome dell’intero mese di
maggio. Beltane significa “i fuochi di Bel”, i quali venivano accesi in onore di
Bel (Beh, Balor o Belenos sono altri nomi con la quale è conosciuto in varie
aree celtiche).Bel è il “Luminoso”, dio di luce e di fuoco. Non una divinità
solare, perché per i Celti il sole era un’entità femminile,tuttavia presentante
alcuni attributi solari. Una controparte celtica di Apollo, tanto per tracciare un
parallelo con altri ambiti culturali. Il sole in molte tradizioni antiche era un simbolo
della divinità, non la divinità stessa.Se questo può sembrare un concetto
strano, basti pensare al Cristianesimo dove non viene adorato l’agnello ma
tuttavia questo animale è simbolo di Gesù Cristo. Le quattro feste celtiche
hanno in fondo un carattere stagionale e ctonio più che solare e celeste, a
differenza delle feste solstiziali ed equinoziali. Per questo molti studiosi hanno
interpretato Bel come l’equivalente del gallico Cernunnos e del britannico
Heme, due divinità maschili della fertilità, signori dei boschi e degli animali,
come indicano le loro corna nelle raffigurazioni che ci sono pervenute. Essi
sono la controparte nordica di Pan e il loro culto, celebrato nei boschi e nelle
campagne, sopravvisse a lungo nel Medio Evo, tanto che può aver contribuito a
creare l’immagine delle streghe adoratrici del demonio. Agli occhi degli
ecclesiastici che cosa altro poteva essere un’entità animalesca munita di corna,
e i cui fedeli celebravano riti orgiastici? Simbolicamente Cernunnos e Bel possono
essere due aspetti del Dio Padre che feconda la Dea Madre, aspetti
rappresentati dai due temi che dominano la festa di Beltane: fertilità e fuoco.Il
fuoco in questa festa rappresenta appunto il calore della passione che genera
la vita. I fuochi di Bel erano accesi sulle colline per celebrare il ritorno della vita
e della fertilità nel mondo. Ogni dan o tribù accendeva ritualmente grandi fuochi
per mezzo di scintille sprigionate da una selce. In Scozia, negli Highlands
centrali, i fuochi di Beltane erano accesi tramite il cosiddetto needfire, il “fuoco
della necessità” o“fuoco della miseria”: si usava allo scopo una.tavola di quercia
forata ed un palo, pure di quercia che veniva fatto ruotare velocemente per
mezzo di una corda. La tradizione fissava in “tre volte tre” o “tre volte nove” il
numero di coloro che dovevano far girare questo strumento.In Galles, nella
Valle di Glamorgan, nove uomini rimuovevano dalle loro persone tutti gli
oggetti di metallo e andavano nei boschi a raccogliere nove diversi tipi di
legna; poi, in un buco scavato nel terreno veniva deposta la legna raccolta che
era accesa ritualmente con due pezzi di legno(anche qui di quercia) sfregati
insieme per provocare scintille. I nove diversi tipi di legna erano probabilmente
i nove legni sacri dei Druidi. Essi erano forse sorbo selvatico, quercia, salice,
nocciolo, betulla, biancospino, melo, pino, vite - o rovo - (altri elenchi danno al
posto delle ultime tre piante il sambuco, il tasso e il vischio - o ginepro). Il
numero nove nella tradizione celtica è il numero che indica la completezza,
quindi simbolico del cosmo.Tuttavia le accensioni rituali di fuochi si ritrovano
anche al di fuori del mondo celtico: ad esempio in varie regioni europee i fuochi
solstiziali erano accesi mediante una ruota fatta girare intorno ad un piolo
fisso, mentre riti simili erano osservati nell’India vedica e a Roma per
riaccendere il fuoco di Vesta. Lo sfregamento di legnetti, il tabù circa l’uso di
metalli, l’utilizzo di selci, ci rinvia forse a epoche remotissime, antecedenti
qualsiasi civiltà storica e testimonia l’antichità di queste tradizioni.Il fuoco
sacro era simbolo del fuoco celeste, del calore primordiale che produsse la
creazione e che si ripresentava a ogni ritorno della primavera. E’ significativo
l’uso di legno di quercia, infatti la quercia è l’albero attribuito alla metà
luminosa dell’anno che proprio a Beltane celebra il suo trionfo. Nell’Irlanda
pagana nessuno poteva accendere un fuoco di Beltane finché l’Ard Ri (Grande
Re) non avesse acceso il primo fuoco rituale sulla collina di Tara, il centro
mistico e politico dell’antica Irlanda. San Patrizio sfidò questa usanza per
distruggere le usanze pagane e San David fece una cosa simile in Galles.I
fuochi di Beltane venivano spesso accesi in coppia, e tra i due fuochi veniva
fatto passare il bestiame, per propiziare latte abbondante, fertilità e buona
salute per tutto l’anno, prima di essere condotto ai pascoli estivi. Ci poteva
essere una spiegazione “razionale” per questa pratica dato che il calore poteva
uccidere i batteri e i microbi accumulatisi sulla pelle degli animali nelle sporche
stalle invernali, ma il significato principale era comunque quello di una
purificazione rituale tramite il fuoco, una vera e propria “pulizia di primavera”.
Il fuoco distrugge i poteri ostili, purifica l’aria e favorisce la fertilità di tutti gli
esseri viventi. Incidentalmente, un detto gaelico che dice “essere preso tra due
fuochi di Beltane’ sta ancora oggi a indicare il trovarsi in un dilemma. Anche le
persone e gli oggetti venivano fatti passare attraverso i due fuochi. La gente
danzava attorno ai falò: si danzavano danze con alti salti quali la Danza del
Cervo e la Danza del Salmone Saltante, ricordi di antiche danze di caccia e
pesca. Molte donne danzavano in cerchio su bastoni di legno in una frenetica
danza di fertilità, per promuovere la crescita dei nuovi raccolti (i bastoni
divennero poi manici di scopa ma la loro forma fallica suggerisce sempre il tipo
di energia che veniva evocata).
Quando le fiamme dei falò iniziavano ad abbassarsi le persone saltavano sui
fuochi, usanza ancora praticata in Scozia e in Irlanda per propiziarsi la fortuna.
Così giovani e ragazze saltano per trovare l’anima gemella, i viaggiatori per
garantirsi viaggi sicuri, le spose per ottenere figli e perfino le donne gravide
per assicurarsi un parto facile! Infine, le ceneri dei fuochi venivano (e ancora
oggi in certe località vengono) sparse sulla terra per garantire la fecondità dei
campi.
Dopo le danze e i salti spesso le giovani coppie si appartavano col favore
dell’oscurità continuando a modo loro le celebrazioni Infatti Beltane era una
festa di fertilità nella quale la Madre terra e il Grande Dio dei boschi si
accoppiavano. Per la gente comune era una festa orgiastica.Per tutta la notte
del 30 aprile (come si è detto i Celti facevano cominciare i giorni dal crepuscolo
del giorno precedente) si susseguivano in un’atmosfera orgiastica banchetti e
danze che terminavano con l’avvento della nuova vita. Su questa notte
vegliava la Grande Dea della fecondità, che dominava allo stesso tempo il
destino dei semi e quello dei morti e che perciò era la Dea della Morte in Vita.
Si entrava in comunicazione con il mondo infero e con i defunti. Il grande
studioso Mircea Eliade giustamente assimilò i semi ai morti, che aspettano di
tornare in vita sotto una nuova forma e perciò si accostano ai viventi nei
momenti in cui la tensione vitale raggiunge il culmine, cioè nelle feste di
fertilità, quando sono evocate le forze generatrici della Natura. I morti
necessitano dell’esuberanza organica dei vivi, così come i viventi necessitano
dell’aiuto dei morti per far germinare i semi dei nuovi raccolti (dopotutto,
Beltane si erge diametralmente in opposizione all’altra porta dell’anno
Samhain, festa dei morti !). I bambini generati in questa notte si credeva
fossero i morti ritornati in vita e Beltane veniva definita anche la Festa della
Generazione dei Bambini.
In questo periodo, vero e proprio momento “caotico” di passaggio, le leggi
della realtà ordinaria sono quasi sospese e si aprono le porte dei regni
ultraterreni come il sidhe, il regno fatato dei Celti. A differenza dei defunti
umani, gli esseri fata-ti non sempre sono benevoli: in questo periodo le fate
appaiono agli umani e chiunque si addormenta sotto un biancospino (albero
fatato) rischia di essere portato via da loro. Molte leggende associate a queste
feste riguardano spesso gli incantamenti dell’Altro Mondo. Un mito legato a
Beltane è quello gallese di Lludd. Ogni vigilia di Beltane il regno di Lludd soffriva
a causa di uno spaventoso grido che provocava la sterilità nei campi, negli
esseri umani e negli animali, facendo morire giovani e anziani e togliendo la
forza agli adulti. Lludd scoprì che la causa di questo incantesimo era il
combattimento fra il drago di Britannia e un drago straniero. Egli li catturò e li
rinchiuse. ignificativamente Lludd è figlio di Beh...
La notte del 30 aprile fu demonizzata per questi motivi dal Cristianesimo che
ne fece una notte di convegni di spiriti e di streghe, da cacciarsi per
intercessione di Santa Valpurga, monaca inglese dell’VIli secolo e badessa del
monastero tedesco di Heidenheim.In Germania questa è appunto la
Walpurgisnacht o Notte di Santa Valpurga.
Ma anche nel folklore “pagano” europeo si prendevano precauzioni contro le
fate e gli spiriti malvagi. Era (e spesso ancora è) tabù sposarsi a maggio
perché era il mese delle Nozze Sacre del Dio e della Dea, e in Inghilterra non si
comprano scope nuove di maggio perché esse spazzerebbero via la buona
fortuna.
La festa celtica di Beltane divenne la festa medievale di Calendimaggio.
L’inizio della bella stagione era celebrato con tornei dove il vincitore,
personificazione del Dio vittorioso sulle tenebre invernali, otteneva il diritto di
sposare la damigella per cui si era battuto. In molte località europee divenne
usanza formare comitive di giovani che giravano per i villaggi cantando
stornelli e augurando la buona fortuna (il “cantar maggio” di molte località
toscane). Rami e fiori venivano portati dai boschi la mattina di Beltane per
decorare porte e finestre o per fabbricare ghirlande che i giovani portavano in
giro per le strade cantando e chiedendo cibo e dolci in cambio. Infatti una
caratteristica dei festeggiamenti di Beltane è la celebrazione della vegetazione,
così una usanza celtica era quella di appendere una ghirlanda primaverile
(simbolo della grande Dea) a un tronco privo di rami (simbolo fallico del Dio
selvaggio).
In Inghilterra il simbolo della festa di maggio o May Eve (“vigilia di maggio”)
divenne l’albero o palo piantato nelle piazze dei villaggi e adornato di nastri
multicolori. Il palo di maggio non è altro che l’Albero Cosmico, l’Axis Mundi che
collega i tre regni cosmici (celeste, terreno e infero). Gli sciamani usano
l’albero cosmico per ascendere fino al mondo Superiore o discendere a quello
Inferiore, come gli sciamani siberiani che usavano ritualmente un palo di betulla
a sette pioli. In Galles la danza attorno al palo di maggio era chiamata
“danza della betulla”.
Tutto ciò che è vivente si manifesta con un simbolo vegetale, e la vita che
risorge celebra il suo trionfo intorno al palo delle danze, simboleggiata dai
danzatori che, afferrato ciascuno l’estremità di uno dei nastri muovevano in
direzioni opposte (gli uomini in un senso e le donne in un altro), finendo con
l’intrecciare i nastri intorno al palo e con le coppie abbracciate: la danza della
vita che muovendo in cerchi e spirali unisce tutti gli opposti, danza di morte e
di rinascita. Ma a Beltane il palo di maggio ha anche un ovvio significato fallico,
il potere fecondante della divinità maschile immerso nel grembo della Madre
Terra e sormontato spesso dalla ghirlanda femminile della Dea. A Cerne Abbas
nel Dorset, Inghilterra, c’è la figura antica del Gigante di Gesso, forse il Dio
Padre celtico Dagda, con la dava e il fallo eretto. Fino a epoche recenti il palo
di maggio era eretto sopra questa figura rappresentata su una collina gessosa
e le donne che volevano un bambino visitavano il luogo trascorrendo anche la
notte sul fallo del gigante. Si può facilmente comprendere perché i Puritani
proibissero nel 1641 i pali di maggio, ripristinati solo successivamente con la
restaurazione monarchica! A Beltane si eleggevano tra i giovani anche il Re e
la Regina di maggio, rappresentati in terra delle antiche divinità, che
regnavano per tutta la festa portando in processione i sacri rami (i “Maggi”) nei
boschi e che spesso governavano anche le altre feste e danze dell’anno. La
Regina simboleggia la giovane Dea dei Fiori e la nuova crescita e il Re
rappresenta il Dio della Vegetazione e della morte dell’inverno, divinità
personificata nel folklore come Jack-in-the-Green, cioè Jack il Verde. E’ il Verde
Giorgio del folklore primaverile dell’Europa dell’Est ma è anche l’uomo vegetale
scolpito nei pilastri e nelle travi delle cattedrali gotiche e romaniche (i boschi
sacri della nuova religione...). Infine tutte le coppie si appartavano di nuovo
nei campi e nei boschi, con la scusa di portare il Maggio o raccogliere fiori, e
questo provocò nel corso dei secoli dure reazioni da parte delle autorità
ecclesiastiche! Un chierico scozzese scrisse e a fatica una ragazza torna a casa
vergine”. Più tardi lo scrittore Rudyard Kipling scriverà nella sua poesia “A Tree
Song”:
“Oh, non dite al prete della nostra promessa che la chiamerebbe peccato
Ma noi siamo stati fiori nei boschi tutta la notte”
Le leggende relative a Robin Hood, Lady Marian e Little John hanno giocato
un ruolo importante nel folklore britannico della Vigilia di Maggio: pare che
queste figure, lungi dall’avere una realtà storica siano simboli dei culti di fertilità
sopravvissuti in epoca medievale. I cognomi inglesi Robinson, Johnson,
Hodson derivano da antenati a cui vennero dati tali soprannomi (“Figlio di
Robin”, ecc.) in quanto figli di questi “matrimoni” boscherecci.
Queste usanze possono sembrare a qualcuno volgari, tuttavia la fertilità e la
continuazione della stirpe erano cose di primaria importanza: i figli erano una
ricchezza e una benedizione, anche se illegittimi.
Ma la festa di Beltane era caratterizzata anche da altre usanze. Ad esempio
analogamente al solstizio d’estate, in molte località europee si riteneva questo
periodo propizio alle sorgenti miracolose e si compivano riti e pellegrinaggi alle
sacre sorgenti. Così la rugiada raccolta all’alba del primo maggio era
particolarmente potente e si usava come liquido calmante per gli occhi o come
lozione di bellezza.
Un altro rituale folklorico è quello, tuttora esistente nelle Isole Britanniche,
del cavalluccio di legno, Hobby Horse o Oss come viene chiamato. Appena
prima di mezzanotte i Maggiaioli del villaggio di Padstow si recano alla locanda
dove l’Oss è conservato e cantano un canto augurale al proprietario della
locanda e a sua moglie. L’Oss è fatto di un cerchio ricoperto di pelli, con un
palo munito di una mandibola di legno che si apre e si chiude. Il tutto viene
indossato da un danzatore che gira per le strade accompagnato da musici che
suonano un tamburo e una fisarmonica: ogni volta che la musica cessa esso si
accascia per sollevarsi dopo un po’. L’Qss (che si ritiene abbia forti poteri di
fertilità) viene imbrattato di grasso scuro così che qualsiasi ragazza catturata
da esso ne veniva segnata. L’Oss moriva a mezzanotte per rinascere l’anno
successivo.
Tipici delle feste di Beltane sono anche le danze o le corse nei labirinti.
Spirali e labirinti sono simboli antichissimi, che si vedono incisi e scolpiti in
molti monumenti sepolcrali preistorici. La famosa triplice spirale di Newgrange
potrebbe simboleggiare la natura ciclica di morte e rinascita. Molte usanze più
tarde, espresse dai labirinti tagliati nel prato o costruiti con siepi possono avere
avuto un significato di fertilità, ove le danze rituali attraverso i labirinti stavano
a indicare la rinascita della vita a primavera. La stessa danza intorno al palo di
maggio ha un andamento a spirale.
Il periodo del primo maggio era un momento sacro anche in altre tradizioni
pagane europee. Nell’antica Roma il 1” maggio era la festa di Flora, protettrice
delle piante in fiore. Le sue feste impudiche e gioiose come quelle di Beltane,
comprendevano cacce ineruente ad animali mansueti, offerti in premio alle
cortigiane vincitrici di scherzose gare di corse e combattimenti. Durante i
Floralia ci si vestiva con abiti multicolori ad imitazione dei fiori. La notte del
primo maggio era sacra a Bona Dea, ai cui misteri non erano ammessi gli
uomini, mentre il giorno dopo si celebrava Maia, sposa di Vulcano che dava il
nome al mese. Bona Dea era forse Fauna, signora delle selve probabilmente
collegata ad Angitia, dea dei Marsi, e come questa patrona dei serpenti. Il
serpente, occorre ricordare, è un altro simbolo della vita che si rinnova e
rappresenta anche il potere fecondante del Dio (l’esclusione degli uomini
significava forse questo: l’unica energia maschile ammessa era quella del Dio e
nessun mortale poteva soppiantarla).Così da un capo all’altro d’Europa e per
tutta l’antichità eil Medio Evo, un simbolismo comune dominava questo
periodo dell’anno: giochi e feste che celebrano il ritorno della primavera e della
fertilità.Pianta sacra di Beltane è il biancospino, la cui fioritura rappresentava
per i Celti l’inizio della festa. E’ pianta della Dea, come la quercia è l’albero del
Dio. Si dice infatti che il suo profumo ricordi quello della sessualità femminile.
Inoltre è anche una pianta legata all’Altro Mondo, associata alle fate. Piante di
biancospino che crescono solitarie su una collina o vicino ad una sorgente sono
ritenute segnali del regno delle fate. Gli esseri fatati abitano nelle piante di
biancospino. Il tabù sulla raccolta di questa pianta viene sospeso a Beltane,
quando può essere raccolto per la festa o per essere portato in casa
(analogamente al tabù sulla caccia alla lepre in primavera). Così la rugiada
raccolta dai rami di biancospino è a Beltane benefica e indicata per le ragazze
che vogliano conservare la loro bellezza.
CELEBRARE BELTANE
Beltane è un momento in cui le energie della luce e della vita si manifestano
nel loro aspetto piò gioioso e trionfale.Questo è un tempo in cui celebriamo il
ritorno dell’estate e della fertilità, periodo di scampagnate e feste all’aperto. E’
un periodo dell’anno in cui di solito ci sentiamo fisicamente bene, in cui i nostri
bioritmi si sono adattati alle accresciute ore di luce e ci siamo lasciati alle
spalle i momenti critici della fine dell’inverno e dell’inizio della primavera.Quindi
è il momento adatto per operare, per condurre a realizzazione le cose che ci
siamo prefissati di compiere. Anche psicologicamente i nostri pensieri si
volgono all’esterno, per fare e operare. Questa estroversione stagionale fa’ sì
che questa sia un’epoca propizia ai nuovi amori e alle nuove amicizie, come
anche al rafforzamento delle relazioni già esistenti.E’ il momento di passare più
tempo con gli altri. E’ anche tempo di stimolare la nostra creatività e la nostra
fertilità interiore.Possiamo celebrare questa festa in vari modi. Seguendo le
tradizioni possiamo piantare un palo di maggio in un prato e danzare con i
nostri amici. Oppure possiamo mettere ghirlande di fiori attorno ad un albero.
Un’altra tradizionale attività di Beltane è attaccare nastri rossi (colore della
passione) a cespugli di biancospino per propiziare amore, fortuna o
guarigione.Si possono accendere due piccoli fuochi e passare in mezzo ad essi
per purificarci, sentendo la loro energia riempire i nostri corpi quando
attraversiamo il loro spazio.
Se vogliamo si può celebrare questa data in un modo più rituale. La vigilia
del primo maggio accendiamo un piccolo fuoco all’aperto o (se desideriamo
restare in casa o non abbiamo la possibilità di trovare uno spazio adatto) una
candela rossa dicendo: “Signore del Bosco porta i tuoi doni di fecondità perché
la terra si desti dal suo sonno”. Poi si accende un secondo fuoco a sinistra del
primo (o una candela color verde) dicendo: “Bella Signora della Terra, gioisci.
Il Grande Cervo viene a cercare la sua sposa perché l’estate è arrivata”. Poi
passiamo in mezzo ai due fuochi per tre volte, salutando l’estate che è arrivata
e gridando “Bel!”. Si medita per un attimo sui misteri della fertilità, con riferimento
sia al fiorire della Natura, sia alla nostra fertilità interiore. Possiamo
infine consumare ritualmente vino e dolci (lasciandone sempre una parte per la
Madre Terra e le sue creature). Questo è un rituale che sarebbe preferibile
celebrare con altre persone o ancor meglio, col proprio partner. In quest’ultimo
caso il rito può terminare nel modo in cui terminavano i festeggiamenti intorno
ai fuochi di Beltane o al palo di Maggio: con un bel “matrimonio” silvestre nel
nome di Robin Hood e di Lady Marian (non è necessario procreare un “figlio di
maggio”!! !)...
(Feste Pagane Di Roberto fattore)
OSTARA-EQUINOZIO DI PRIMAVERA L’EQUILIBRIO DEL COSMO
DI PRIMAVERA
L’EQUILIBRIO DEL COSMO
All’Equinozio di Primavera, intorno al 21 marzo, giorno e notte sono in
perfetto equilibrio.
(la parola equinozio deriva dal latino aequus nox, “uguale notte”) ma la luce aumenta sempre di più, dopo le lunghe notti invernali. La
Ruota dell’Anno gira attraverso le stagioni, verso i lunghi e caldi giorni estivi.
La Natura si risveglia, i fiori sbocciano ovunque. E’ il tempo del ritorno della
vegetazione: fioriscono il narciso, la primula, la tussilaggine, fiori primaverili
color del sole. Gli uccelli costruiscono nidi e si accoppiano. Non c’è da
meravigliarsi quindi se questa data sia stata associata presso varie culture a
concetti quali la fertilità, la resurrezione, l’inizio.
Ma se nel suo aspetto di fertilità umana l’Equinozio deve inchinarsi alla festa
successiva, quella di Beltane, esso possiede completamente l’aspetto della
fertilità vegetale, che si manifesta in modi diversi a seconda della latitudine.
Infatti, se nel Mediterraneo è tempo di germogli, nel Nord Europa è tempo di
semina, in cui i nuovi semi vengono benedetti.
Nelle tradizioni neo-druidiche contemporanee l’Equinozio primaverile è
denominato Alban Eiler, “Luce della Terra”, con riferimento al fatto che il sole
ora si trova al di sopra dell’equatore celeste, la zona astronomica chiamata
nelle antiche cosmologie “terra emersa” e contrapposta alle “acque inferiori”,
cioè la zona al di sotto ditale fascia. La primavera, in queste concezioni
druidiche è celebrata con tre feste: Imbolc che ne rappresenta i primi
movimenti, l’Equinozio che ne è la manifestazione visibile, e Beltane che è la
sua pienezza.
Come inizio l’Equinozio di Primavera segna appunto l’inizio del calendario
zodiacale col segno dell’Ariete. Inoltre ogni era zodiacale viene chiamata col
nome della costellazione in cui cade il punto equinoziale nel suo ciclo precessionale
(circa 2000 anni per ogni segno zodiacale).
L’Equinozio primaverile rappresenta così una sorta di capodanno. Nella Roma
arcaica l’anno cominciava a primavera, nel mese di marzo sacro appunto a
Marte, padre dei due gemelli fondatori della città. Anche in altri paesi del
Mediterraneo e del Vicino Oriente l’anno iniziava con la primavera, quando il
sole torna a splendere alto nel cielo e la terra si risveglia.
E ogni anno a Roma, il 14 o 15 marzo, veniva portato in processione un
uomo coperto di pelli di capra, colpito con lunghe verghe e chiamato Mamurio
Veturio. Ritenuto il mitico fabbro che aveva costruito undici scudi a imitazione
di quello sacro donato da Giove al re Numa Pompilio e per questo ritenuto
colpevole di sacrilegio, Mamurio era in realtà la personificazione dell’anno
vecchio (Veturio da vetus
vecchio), il quale veniva scacciato alle Idi di Marzo per far posto al nuovo anno.
All’Equinozio di Primavera, in molte tradizioni ricorreva addirittura la nascita
del mondo, come nel mithraismo, l’antica religione persiana. Il mito narra che
Mithra sacrificò il toro cosmico, da cui nacquero tutte le piante e tutti gli animali,
e poi suggellò la sua amicizia con il Sole offrendogli la carne del toro in
un banchetto sacrificale.
Ma le antiche tradizioni ci offrono tutta una serie di miti legati alla
primavera, che hanno alloro centro l’idea di un sacrificio a cui succede una
creazione-rinascita-nascita. Esiste un preciso riferimento cosmico alla base di
queste mitologie: il sole che incrocia e supera la linea dell’equatore celeste
passando da nord a sud.Sembra che al tempo dell’equinozio nel segno dei
Gemelli (6000 - 4000 a.C. circa) la più notevole figura astronomica del cielo
meridionale, la Croce del Sud, fosse visibile nei cieli della Mesopotamia. I
Babilonesi fecero della croce il simbolo dell’adempimento, quasi ad indicare che
il mito del dio dell’anno si conclude al termine di un ciclo con il dio stesso
appeso ad una croce....
Un mito che mostra bene l’idea di un sacrificio e di una successiva rinascita
è quello frigio di Attis e Cibele. Attis, bellissimo giovane nato dal sangue della
dea Cibele e da questa amato, voleva abbandonarla per sposare una donna
mortale. Cibele Io fece impazzire ed egli si evirò morendo dissanguato. Dal suo
sangue nacquero viole mammole, e gli dei, non potendolo resuscitare, Io
trasformarono in un pino sempreverde (raffigurazione dell ‘Albero Cosmico).
Secondo i filosofi neoplatonici questa storia cruda simboleggiava l’amore della
Provvidenza (Cibele) per la causa generatrice (Attis) di ogni cosa. La discesa
della causa generatrice termina al livello più basso, il mondo della materia,
quando la Provvidenza interrompe la folle corsa
Adone era in realtà il dio assiro-babilonese Tammuz, a cui i fedeli si
rivolgevano chiamandolo “Adon” (Signore). Egli, dimorava sei mesi all’anno
negli inferi, come il sole quando si trova al di sotto dell’equatore celeste
(autunno e inverno). Si festeggiava a primavera la sua risalita alla luce quando
si ricongiungeva alla dea Ishtar, l’equivalente dell’Afrodite greca. Allo stesso
modo nei Misteri Eleusini si festeggiava Persefone éhe ritorna nel mondo dopo
aver trascorso sei mesi nel regno dei morti. Proprio nel mese di Anthesterion
(“mese dei fiori”, febbraio-marzo circa) si celebravano ad Atene i Piccoli Misteri
Eleusini.
La Pasqua è la versione cristiana del tema dell’accoppiamento sacrificale: la
discesa di Cristo agli Inferi per salvare le anime dei giusti da Adamo in poi.Gli
inferi, nella visione delle tarde religioni pagane non erano altro che il misconosciuto
aspetto femminile della divinità, la Dea in cui il Dio sacrificato si
immerge per rinascere, ma i nomi di varie dee degli inferi (la nordica Hel, la
cananea Sheol) sono passati in seguito ad indicare luoghi ultraterreni di
punizione eterna...
Nel mese successivo all’Equinozio si festeggiavano in Atene le Grandi
Dionisìe in onore di Dioniso, dio morto e resuscitato. La processione compiuta
per celebrano portava per le strade simulacri di falli, simbolo della fertilità nel
suo aspetto maschile.
Tutti questi miti mostrano l’unione di un simbolismo cosmico, celeste, legato
al cammino del sole nel cielo, e un simbolismo terrestre, legato al risveglio
della Natura. Ciò riecheggia il sottostante tema del matrimonio fra una divinità
maschile, celeste o solare, ed una femminile, legata alla terra o alla luna.verso
l’indeterminato, il mondo frammentato e caotico della materia, per richiamarla
a sé. La mutilazione di Attis era il ritorno alla madre primordiale, il ridiventare
simili ad essa, androgini, per risorgere nell’Uno.A Roma le feste in onore di
Attis iniziavano il 15 marzo, con penitenze e digiuni. Il 22 marzo iniziavano i
Tristia, le commemorazioni per la passione e morte di Attis, durante le quali
avvenivano le autoevirazioni dei suoi adoratori che volevano diventarne
sacerdoti, i cosiddetti Galli. Il 25 marzo erano gli Hilaria, durante i quali si
celebrava la resurrezione di Attis, il suo ritorno alla Grande Madre, all’apparire
del sole che aveva appena superato l’equatore celeste. Si diceva che la tomba
si apriva e che il dio si levava tra i morti. I sacerdoti, toccando con un balsamo
le labbra degli adoratori, annunciavano che anche essi come Attis avrebbero
trionfato sulla morte. Tutti questi riti avevano luogo sul posto dove ora sorge la
basilica di San Pietro.Dopo l’Equinozio, si svolgevano nel mondo ellenico le
Adonìe, le feste della resurrezione di Adone. Bellissimo giovane amato dalla
dea Afrodite, venne ucciso da un cinghiale (forse il dio Ares ingelosito).
Collegati ai riti in suo onore erano i “giardini di Adone”, vasi in cui si
seminavano cereali e ortaggi che germogliavano rapidamente al sole
primaverile e venivano poi gettati in mare o nelle sorgenti per propiziare il
rinnovamento della Natura. Tale usanza è sopravvissuta nelle celebrazioni della
Pasqua cristiana: ancora oggi in molte località d’Italia si prepara nello stesso
modo il cosiddetto “grano del sepolcro”.
La primavera era infatti la stagione per accoppiamenti rituali meno cruenti di
quello di Attis: gli hieros gamos, le nozze sacre in cui il Dio e la Dea
(personificati spesso da un sacerdote e da una sacerdotessa) si accoppiano per
propiziare la fertilità. Il Dio Sole inizia a far sentire la sua giovinezza e ad
accoppiarsi con la giovane Dea della Terra.
Come festa solare, appartengono all’Equinozio i temi del fuoco e della luce.
Luce e fertilità sono sopravvissuti nel folklore europeo, in cui è rimasta la
tradizione di accendere i fuochi di Pasqua sulle cime di alte colline: più a lungo
restano accesi, più sarà fruttifera la terra.
I miti primaverili della fertilità sono presenti infatti anche nel Nord Europa.La
parola Est, la direzione a cui è collegato l'Equinozio primaverile, deriva da
Eostre (o Ostara, “la stella dell’est” cioè Venere) la dea sassone della fertilità
assimilabile a Venere, Afrodite e Ishtar. Eostre ha dato il suo nome anche alla
Pasqua nella lingua inglese: Easter per l’appunto. A Eostre era sacra la lepre,
simbolo di fertilità, il cui comportamento in mano si dice assomigli a quello di
una congrega di streghe danzanti (la famosa lepre marzolina di “Alice nel
paese delle meraviglie”...). Questo totem animale della dea fu infatti in seguito
considerato lo “spirito familiare” delle streghe, ma in realtà era un animale
sacro in molte tradizioni.Gli antichi Britanni associavano le lepri alle divinità
della luna e della caccia: ucciderle e mangiare la loro carne era tabù. Fino a
tempi recenti la lepre non veniva mangiata nella regione del Kerry, dal
momento che si diceva che mangiare una lepre equivaleva a mangiare la
propria nonna! I Celti abolivano temporaneamente il tabù all’equinozio
primaverile o a Beltane: si trattava di un pasto rituale in cui il corpo dell’ animale
totemico veniva consumato per partecipare della sua fertilità. I Celti
inoltre consideravano la lepre un animale divinatorio e dal modo in cui correva
traevano presagi. Anche gli Anglo-Sassoni veneravano la lepre e una
caratteristica delle feste primaverili in onore di Eostre era appunto una caccia
rituale a questo animale. Nel folklore delle Isole Britanniche ancora esistono
sopravvivenze di questi rituali. Così ad esempio la Contesa del Pasticcio di
Lepre nel villaggio di Hallaton, dove un grande pasticcio di carne di lepre viene
conteso dagli abitanti del villaggio, (sebbene in tempi recenti esso venga
tranquillamente servito nei piatti dal vicario).Fino alla fine del’700, vicino
Leicester aveva luogoogni Lunedì di Pasqua una caccia alla lepre nelle colline
circostanti.Si dice che i disegni sulla superficie della luna piena raffigurino una
lepre, ricordo questo dell’associazione dell’animale con divinità lunari. Questa
raffigurazione della “lepre nella luna” appare nelle tradizioni cinesi, europee,
africane e indiane.Nella tradizione buddista le leggende narrano di come una
lepre si sacrificasse per nutrire il Buddha affamato, balzando nel fuoco. In
segno di gratitudine il Buddha impresse l’immagine dell’animale sulla luna.
Questa leggenda riecheggia tradizioni ancora più antiche del Buddismo: in Cina
la lepre lunare ha un pestello ed un mortaio con cui prepara un elisir di
immortalità e figure di lepri e conigli vengono costruite in occasioni delle feste
lunari. La lepre è considerata un animale Yin che viene dal Polo Nord recando il
saluto della Dea della Luna. Amuleti di giada verde raffiguranti la lepre sono
costruiti e regalati per augurare la buona fortuna.
Nelle tradizioni dei Nativi Americani la Grande Lepre è l’eroe dell’alba, il
salvatore, creatore e trasformatore, padrone dei venti e fratello della neve. E’ il
Grande Imbroglione, simbolo della mente veloce che supera in astuzia la forza
fisica. Gli Indiani Algonchini adoravano la Grande Lepre che si diceva avesse
creato la Terra.
Per gli antichi Egizi la lepre era un animale lunare ma anche collegato
all’alba, all’est.Osiride risorto è simboleggiato dalla lepre in quanto divinità
solare, come pure Thoth, Ermes e Mercurio quali divinità messaggere, dal
momento che l’est è il luogo da cui provengono gli dei portatori di luce.
Nell’antica Europa i Norvegesi rappresentavano le Divinità lunari
accompagnate da una processione di lepri che portano lanterne. Anche la Dea
Freya aveva come inservienti delle lepri e la stessa Dea Eostre era raffigurata
con una testa di lepre.
Nel folklore europeo la lepre è stata associata allo spirito del grano, siccome
ha l’abitudine di nascondersi nei campi di grano fino alla mietitura, tanto che
l’ultimo covone veniva chiamato, tra gli altri nomi, “la lepre”. Ma la lepre è
stata collegata anche alla fertilità e alla sessualità vigorosa, essendo una
generatrice veloce e prolifica. I Greci la consideravano sacra ad Afrodite e a
suo figlio Eros. Filostrato diceva che il sacrificio più adatto per Afrodite era la
lepre in quanto essa possiede il suo dono di fecondità in un grado superlativo.
Come molti animali sacri dell’antichità, anche la lepre subì nel Medio Evo un
processo di demonizzazione e venne ritenuta animale di cattivo auspicio, in cui
le streghe si trasformavano. Si pensava che una lepre bianca fosse presagio di
morte e abbondarono le storie di ferite inflitte a lepri, ferite rinvenute il giorno
dopo su qualche donna.In Cornovaglia si raccontava che le ragazze morte dopo
essere state abbandonate dai loro innamorati si trasformavano in lepri bianche
per perseguitare i loro amanti infedeli!
Ma l’immagine della lepre fortunatamente ha incontrato un destino meno
lugubre: la lepre di Eostre che deponeva l’uovo della nuova vita per annunciare
la rinascita dell’anno è diventata l’odierno coniglio di Pasqua che porta in dono
le uova, altro simbolo di fertilità. Al giorno d’oggi la ricorrenza della Pasqua ci
ripropone ogni anno il tradizionale consumo e dono di uova, da quelle di
cioccolato con la sorpresa a quelle naturali decorate a mano (che raggiungono
livelli artistici nei “pysanky” dell’Ucraina) alle numerose ricette tipiche di
frittate e dolci. Ma che cosa rappresenta l’uovo e perché gioca un ruolo così
importante nelle tradizioni pasquali? In realtà l’attuale uovo di Pasqua ha
origini pre-cristiane, essendo un antichissimo simbolo di vita, di creazione e di
rinascita.
Come simbolo di iniziazione l’uovo simboleggia il due-volte- nato, la sua
deposizione essendo una prima nascita e la schiusa la seconda.
La nascita del mondo da un uovo cosmico è un’idea universalmente diffusa,
e non a caso veniva celebrata presso molte civiltà alla festa equinoziale di
primavera, quando la Natura risorge e le ore di luce iniziano a prevalere su
quelle notturne.In numerose mitologie un uovo primordiale, embrione e germe
di vita, è il primo essere ad emergere dal Caos. Non sinonimo di confusione o
distruzione, bensì di condizione primordiale che contiene la potenzialità di tutte
le cose esi
stenti, il Caos è la forza vitale generatrice di tutto ciò che esiste. E’ 1’ “Uovo
del mondo” covato da una Grande Dea e dischiuso dal Dio Sole. L’uovo è il
principio da cui nascono tutte le cose, portando in manifestazione ciò che
prima era solo allo stato potenziale. Nell’alchimia l’uovo è il vaso mistico in cui
si compie la trasmutazione, un modello della creazione in scala ridotta.
Un mito dell’India narra che nella notte dei tempi tutto era immerso nelle
tenebre e sepolto in un sonno profondo. L’Assoluto volle creare il cosmo dalla
propria sostanza:
così creò le acque e vi depose a galleggiare un uovo splendente il quale generò
al proprio interno Brahma il Creatore, che divise poi l’uovo stesso in due parti,
formando la terra e il cielo. In Cina era il tuorlo dell’uovo a rappresentare il
cielo mentre l’albume era la terra.
In altre tradizioni il tuorlo è il dio Sole e il guscio la Dea:
l’uovo del mondo deposto da una Dea veniva infatti dischiuso dal calore del
Sole, come si è detto. In molte leggende egizie, l’Oca del Nilo, la Grande Dea,
deponeva un uovo da cui nasceva Ra, il Sole. Un mito orfico greco narra che in
principio esisteva la Notte, la dea uccello dalle nere ali la quale, fecondata dal
Vento del Nord, depose un uovo d’argento nel grembo dell’oscurità. L’uovo era
la Luna e da esso balzò Eros, il dio della vita dalle ali dorate che portò alla luce
l’intero cosmo.
Ma in Grecia esisteva un mito più antico: Eurinome, Dea di Tutte le Cose,
cioè il Caos primigenio, per scaldarsi si mise a danzare nuda sulle onde delle
acque primordiali e poi strofinò tra le proprie mani il Vento del Nord. Da tale
gesto nacque un serpente, Ofione, che si accoppiò con la grande Dea.
Eurinome per accoppiarsi con Ofione si tramutò in colomba e dopo l’amplesso
depose l’uovo universale. Anche gli antichi popoli medio-orientali, come
babilonesi e sumeri, credevano alla mitica colomba che sorvolava le acque primordiali
del Caos. Una colomba.., non suggerisce nulla quest’immagine? E la
colomba in questi stessi miti viene’ associata ad un animale che tradizioni più
tarde avrebbero considerato con orrore. Infatti l’originale uovo primordiale era
un uovo di serpente.
Nel mondo celtico i Druidi chiamavano l’uovo cosmico “uovo del serpente” e
custodivano talismani fatti a sua immagine, forse ricci di mare fossili, che si
diceva possedessero qualità miracolose.
Una leggenda egizia narra come Kneph, il serpente primordiale produsse
l’uovo cosmico dalla propria bocca. Sempre l’orfismo greco, quella straordinaria
fucina di miti, considerando l’uovo il mistero della vita e della creazione, Io
raffigurò spesso circondato dall’Ouroboros, il mitico serpente circolare che si
morde la coda, quasi a rappresentare il tempo ciclico nel suo eterno ritorno. Ma
il serpente disteso è il tempo lineare della storia, e così anche l’uovo con la
propria forma simboleggia contemporaneamente il tempo cosmico, circolare e
ciclico, e quello storico e lineare. Del resto il serpente rappresenta in molte
tradizioni la rinascita, come l’uovo...
Osservando da vicino i simboli ci si accorge come essi in realtà si rispecchino
l’uno nell’altro, si generino l’uno dall’altro in un gioco infinito e universale. E’
nato prima l’uovo o la gallina? O il serpente? O la colomba? Domande che
rivelano tutti i limiti della nostra logica razionale e meccanicistica...
La pianta sacra dell’Equinozio di Primavera è il trifoglio. Pianta simbolo
dell’Irlanda, della quale si dice che San Patrizio, evangelizzatore dell’isola se ne
usasse per spiegare la Trinità cristiana (incidentalmente la festa di San Patrizio
ricorre il 17 marzo, in prossimità dell’equinozio). In realtà si tratta di una
tradizione tarda risalente al 180 secolo e il trifoglio non era altro che la
triskele, la ruota solare a quattro bracci, mentre la varietà a quattro foglie
rappresentava la croce celtica, la ruota solare, il cerchio nìagico delle quattro
direzioni: tutti simboli molto più antichi del Cristianesimo.
CELEBRARE L’EQUINOZIO DI PRIMAVERA
L’Equinozio di Primavera è il momento del risveglio della Natura, in cui si
manifesta pienamente il seme di luce germogliato a Imbolc.
Fisicamente è tempo di uscire all’aria aperta, di fare movimento, di andare
per prati e per boschi. Gli equinozi sono un periodo di equilibrio e al tempo
stesso di instabilità, di nervosismo. Giovano molto quindi le cure disintossicanti
e ricostituenti, specie se effettuate con metodi naturali (Fiori di Bach, ecc..). La
nostra irrequietezza è inoltre facilmente superabile con una maggiore attività
fisica: tra l’altro è tempo di iniziare a lavorare sulla terra per tutte le colture
che in breve tempo fioriranno e fruttificheranno.Se abbiamo un orto o un
giardino possiamo dedicare ad essi un po’ del nostro tempo, altrimenti
possiamo piantare o seminare qualche piantina in un vaso per sistemarla in
casa.Psicologicamente è tempo di iniziare nuovi progetti, magari le cose che
abbiamo sognato o immaginato durante l’inverno: un nuovo hobby, uno sport
o una qualche attività fisica. E’ infatti tempo di mettere in pratica le lezioni che
abbiamo imparato dalle nostre riflessioni invernali, dalle profonde visioni
interiori e dalla espansione della coscienza, tempo di portare quella conoscenza
nel mondo esterno, uscendo dalla introversione invernale.Per manifestare in
maniera ancor più concreta i mutamenti di questo momento di passaggio
potremmo compiere qualche piccolo rito propiziatorio.Siccome l’uovo è un
simbolo primario di Ostara e della rinascita (sia del Dio della Vegetazione, sia
dell’anno) possiamo quindi usarlo per rappresentare questa rinascita, come
pure la nostra rinascita interiore in questo periodo dell’anno, quando il clima si
riscalda e i nostri orizzonti si espandono. L’uovo riflette il nostro potenziale
interiore, già nato a Imbolc ma in attesa della sua schiusa. Così possiamo
dipingere (con colori non tossici!) il guscio di uova sode da consumare nel
nostro pranzo equinoziale o da regalare agli amici. Anche se non siamo artisti
possiamo decorarle con semplici disegni, ispirati al simbolismo stagionale: il
sole, il trifoglio, il coniglio e i fiori di primavera. L’uovo sta a simboleggiare le
nostre speranze spirituali nel ciclo annuale, quindi dipingendo le uova possiamo
formulare i nostri desideri per i prossimi mesi.Per celebrare la giovinezza
dell’anno e la nostra crescita interiore possiamo anche piantare dei semi, dopo
averli presentati al Sole e alla Terra e aver chiesto la loro benedizione.Se si
desidera compiere qualcosa di più complesso, si può celebrare un piccolo rito
all’aperto, in un prato o nel proprio giardino. Su una grossa pietra o un grosso
ceppo di legno si accendano candele gialle (colore della luce e del sole) e/o
verdi (la nuova crescita della vegetazione). Si salutino le potenze divine nel
loro aspetto di giovinezza:“Benvenuto Giovane Dio Sole”, (oppure Giovane Dio
della Vegetazione, se si vuole mettere l’accento sui cambiamenti della Natura)
e “Benvenuta Giovane Dea della Terra”. Ovviamente si possono pronunciare
formule di saluto più elaborate... Se lo si desidera, si può avere un piatto di
semi o di piantine (da piantare nel nostro giardino o da regalare ai nostri
amici) sui quali si visualizza discendere la benedizione delle forze cosmiche.
Possiamo pensare ai semi e alle piantine come ai nostri nuovi progetti da
concretizzare, così quando li pianteremo legheremo le nostre azioni ai grandi
cicli cosmici e stagionali armonizzandole con la Natura. Meditiamo sul mistero
della rinascita della Natura e sentiamo la fresca energia degli inizi che pervade
il nostro corpo.Si può bere vino (o succhi di frutta) e mangiare dolci,
ricordando di lasciare qualche goccia e qualche briciola da versare sulla terra,
come nostra offerta di ringraziamento.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)
IMBOLC LA FESTA DELLA LUNA CRESCENTE
LA FESTA DELLA LUNA CRESCENTE
La luce che è nata al Solstizio di Inverno comincia a manifestarsi all’inizio del
mese di febbraio: le giornate si allungano poco alla volta e anche se la stagione
invernale continua a mantenere la sua gelida morsa, ci accorgiamo che
qualcosa sta cambiando. Le genti antiche erano molto più attente di noi ai
mutamenti stagionali, anche per motivi di sopravvivenza. Questo era il più
difficile periodo dell’anno poiché le riserve alimentari accumulate per l’inverno
cominciavano a scarseggiare. Pertanto, i segni che annunciavano il ritorno
della primavera erano accolti con uno stato d’animo che oggi, al riparo delle
nostre case riscaldate e ben fornite, facciamo fatica ad immaginare.
Se sovrapponiamo la Ruota dell’Anno al nostro moderno calendario, la
prima festa che incontriamo cade l’1 febbraio.
Presso i Celti l’1 febbraio era Imbolc (pronuncia Immol’c) detta anche
Oimelc o Imbolg. L’etimologia della parola è controversa ma i significati
rinviano tutti al senso profondo di questa festa. Infatti Imbolc pare derivare da
Imb-folc, cioè “grande pioggia’ e in molte località dei paesi celtici questa data è
chiamata anche “Festa della Pioggia”:
ciò può riferirsi ai mutamenti climatici della stagione ma anche all’idea di una
lustrazione che purifica dalle impurità invernali. Invece Oimelc significa
“Iattazione delle pecore” mentre Imbolg vorrebbe dire ‘nel sacco” inteso nel
senso di “nel grembo” con riferimento simbolico al risveglio della Natura nel
grembo della Madre Terra e con un riferimento più materiale agli agnelli, nuova
fonte di cibo e di ricchezza, che la previdenza della Natura e degli allevatori
avrebbe fatto nascere all’inizio della buona stagione.
L’allattamento degli agnelli garantiva un rifornimento provvidenziale di
proteine. Il nuovo latte, il burro, il formaggio costituivano spesso la differenza
tra la vita e la morte per bambini e anziani nei freddi giorni di febbraio.
Imbolc è una delle quattro feste celtiche, dette “feste del fuoco” perché
l’accensione rituale di fuochi e falò ne costituiscono una caratteristica
essenziale.In questa ricorrenza il fuoco è però considerato sotto il suo aspetto
di luce, questo è infatti il periodo della luce crescente. Gli antichi Celti, consapevoli
dei sottili mutamenti di stagione come tutte le genti del passato,
celebravano in maniera adeguata questo tempo di risveglio della Natura. Non
vi erano grandi celebrazioni tribali in questo buio e freddo periodo dell’anno,
tuttavia le donne dei villaggi si radunavano per celebrare insieme la Dea della
Luce (le celebrazioni iniziavano la vigilia, perché per i Celti ogni giorno iniziava
all’imbrunire del giorno precedente).
Nell’Europa celtica era infatti onorata Brigit (conosciuta anche come Brighid o
Brigantia), dea del triplice fuoco; infatti era la patrona dei fabbri, dei poeti e
dei guaritori. Il suo nome deriva dalla radice “breo” (fuoco): il fuoco della
fucina si univa a quello dell’ispirazione artistica e dell’energia guaritrice. Brigit,
figlia del Grande Dio Dagda e controparte celtica di Athena-Minerva, è la
conservatrice della tradizione, perché per gli antichi Celti la poesia era un’arte
sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia,
rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni. La capacità di
lavorare i metalli era ritenuta anche essa una professione magica e le figure di
fabbri semi-divini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extraeuropee;
l’alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa
concezione sacra della metallurgia.
Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di
questo sono testimonianza le numerose “sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’
ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino ad oggi
numerose tradizioni circa le loro qualità guaritrici. Ancora oggi, ai rami degli
alberi che sorgono nelle loro vicinanze, i contadini appendono strisce di stoffa o
nastri a indicare le malattie da cui vogliono essere guariti.
Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio. Lo specchio è
strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno
accesso eroi e iniziati. La ruota del filatoio è il centro ruotante del cosmo, il
volgere della Ruota dell’Anno e anche la ruota che fila i fili delle nostre vite. La
coppa è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono.
Cristianizzata come Santa Bridget o Bride, come viene chiamata
familiarmente in gaelico, essa venne ritenuta la miracolosa levatrice o madre
adottiva di Gesù Cristo e la sua festa si celebra appunto l’1 febbraio, Giorno di
Santa Bridget o Là Fhéile Brfd.Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia
l’esistenza storica quanto certa la sua derivazione pagana, si diceva che avesse
il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrire i poveri, potendo trasformare
in birra perfino l’acqua in cui si lavava!
A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un
fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove
monache. Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un
ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella
doveva pronunciare la formula rituale “Bridget proteggi il tuo fuoco. Questa è
la tua notte”. Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere
miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare
metonico che si ripete identico ogni diciannove anni solari.
Inutile ricordare come questa usanza ricordasse il collegio delle Vestali che
tenevano sempre acceso il sacro fuoco di vesta nell’antica Roma, ma più
probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae,
una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro
recinto sacro dall’intrusione degli uomini e i cui riti furono mantenuti attraverso
molte generazioni.
Allo stesso modo, nel monastero di Kildare solo alle donne era concesso di
entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con
mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel 120 secolo. Il fuoco bruciò
ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario, nel 60
secolo fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a
questa devozione più pagana che cattolica.
I riti di Brigit celebrati a Imbolc ci sono stati tramandati dal folklore scozzese e
irlandese. Nelle Isole Ebridi (che forse devono il loro nome proprio a Brigit o
Bride) le donne dei villaggi si radunano insieme in qualche casa e
fabbricano un’ immagine dell’antica Dea, la vestono di bianco e pongono un
cristallo sulla posizione del cuore. In Scozia, la vigilia di Santa Bridget le donne
vestono un fascio di spighe di avena con abiti femminili e lo depongono in una
cesta, il “letto di Brid”, con a fianco un bastone di forma fallica.Poi esse gridano
tre volte “Brid è venuta, Brid è benvenuta!”, indi lasciano bruciare torce e
candele vicino al “letto” tutta la notte. Se la mattina dopo trovano l’impronta
del bastone nelle ceneri del focolare, ne traggono un presagio di prosperità per
l’anno a venire. Il significato di questa usanza è chiaro: le donne preparano un
luogo per accogliere la Dea e invitano allo stesso tempo il potere fecondante
maschile a unirsi a lei. Anche nell’isola di Man veniva compiuta una cerimonia
simile, chiamata Laa’l Breesley. Nell’Inghilterra del Nord, terra dell’antica
Brigantia, la ricorrenza veniva denominata “Giorno delle Levatrici”.
In Irlanda, si preparano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a
quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare
(che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso
giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad
allora.La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza
precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina.
Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra
l’altro che la luce ed il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova
in continuazione, anno dopo anno. Le spighe di avena (o grano, orzo, ecc.)
usate per fabbricare le bambole di Brigit, provengono dall’ultimo covone del
raccolto dell’anno precedente. Questo ultimo covone, in molte tradizioni
europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo , dell’Avena, ecc.) e la
bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano
(o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.).Si credeva cioè che lo spirito del cereale o la
stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto:
come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la
vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea
della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita,
morte e rinascita. E Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.
Un antico codice irlandese, il Libro di Lisrnore, riporta una curiosa leggenda.
Si narra che a Roma i ragazzi usavano giocare ad un gioco da tavolo in cui una
vecchia megera liberava un drago mentre dall’altra parte una giovane fanciulla
lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava
un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine
che abbatteva il leone. Papa Bonifacio, dopo aver interrogato i ragazzi e aver
saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì. La megera
non è altro che la Vecchia Dea dell’Inverno sconfitta dalla Giovane Dea della
Primavera. Essendo questa leggenda stata raccolta in un ambito culturale
celtico, si può supporre che la Vecchia altri non era che la Cailleach a cui si
contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di
Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù
Cristo.
In realtà è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così
come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto. I Carmina Gadelica, una
raccolta di miti, proverbi e poemi gaelici di Scozia, raccolti e trascritti alla fine
dell’800 dal folklorista scozzese Alexander Carmichael, riportano la seguente
filastrocca:
“La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me
Il serpente appare come uno degli animali-totem di Brigit. In molte culture il
serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di
crescita, decadimento e rinnovamento. Nel giorno di Bride il serpente si
risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine
imminente della cattiva stagione. Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica
Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della
Natura e anche la sua dualità Infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a
“naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nem”. La Vecchia Dea e
la Giovane Dea sono la stessa persona! (nelle fiabe l’eroe che coraggiosamente
bacia una vecchia megera si ritrova di fronte una bellissima fanciulla...)
In un’altra area culturale europea, nell’antica Roma, i primi giorni di febbraio
erano sacri alla dea Februa o a Giunone Februata. “Februare” in latino significa
purificare, quindi febbraio è il mese delle purificazioni (anche la febbre è un
modo di purificarsi usato dal nostro corpo!).
Processioni in onore di Februa percorrevano la città con fiaccole accese,
simbolo di luce e allo stesso tempo, di purificazione. Un’altra usanza, legata
anche a rituali di fertilità erano i Lupercali: i Luperci, sacerdoti di Fauno,
correvano per le strade vestiti solo con una pelle di capra e con una frusta
(anche essa fabbricata con strisce di pelle di capra) con la quale battevano le
giovani spose per propiziarne la fertilità (e quindi la capacità di partorire).
La Chiesa, per combattere queste usanze, istituì processioni con candele,
alle quali a partire dall’11° secolo aggiunse la benedizione delle candele per gli
altari.Col nome di Candelora o Candlemas (nei paesi anglosassoni) è nota la
festa cristiana del 2 febbraio, denominata “Presentazione del Signore al
tempio”. Ma è evidente che la nuova religione non ha potuto modificare il
significato autentico della festa, un significato che è profondamente incarnato
nella Natura e nello spirito umano. Il legame della festa con le candele, la
purificazione e l’infanzia, sopravvisse nell’usanza medievale di condurre le
donne in chiesa dopo il parto a portare candele accese.
L’idea di una purificazione rituale in questo periodo è rimasta forte nel folklore
europeo. Ad esempio le decorazioni vegetali natalizie vengono messe da parte
e bruciate alla Candelora per evitare che i folletti che in esse si sono nascosti
infestino le case. Il concetto di purificazione è presupposto di una nuova vita:
si eliminano le impurità del passato per far posto alle cose nuove. Alcuni gruppi
neopagani europei festeggiano Imbolc accendendo candele che sporgono da
una bacinella di acqua. Il significato è quello della luce della nuova vita che
emerge dalle acque del grembo materno, le acque lustrali di Imbolc che lavano
via le scorie invernali. Un antico detto celtico ricordava come fosse una buona
cosa lavarsi mani e viso a Imbolc!
La pianta sacra di Imbolc è il bucaneve. E’ il primo fiore dell’anno a sbocciare e
il suo colore bianco ricorda allo stesso tempo la purezza della Giovane Dea e il
latte che nutre gli agnelli.
CELEBRARE IMBOLC
Imbolc è una festa dove si onorano il principio femminile della Natura e
l’infanzia, vista come inizio promettente di ogni cosa.
E’ il periodo in cui una nuova corrente di vita inizia a scorrere nel mondo della
Natura: noi dobbiamo lasciare definitivamente il passato e guardare al futuro
con fiducia e ottimismo, con lo stesso sguardo di un bambino. Anche se questo
è il periodo dal clima più freddo e più crudele, guardandoci intorno possiamo
vedere che la Primavera sta cominciando; la linfa inizia a crescere nei rami
degli alberi e appaiono i bucaneve. E’ tempo di prendere coraggio da questi
piccoli segni di rigenerazione e riconoscere che su di essi si costruiranno tante
cose nei mesi a venire. Questo è il momento delle potenzialità, il potenziale
della Primavera e dei semi che si muovono nel terreno ma anche il potenziale
dei semi di crescita e di creatività nelle nostre vite. Per preparare il sentiero
alle nuove energie occorre però compiere un cammino di purificazione,
abbandonando alle nostre spalle le scorie del passato.
Fisicamente è opportuno praticare una dieta più leggera, dopo che i
banchetti delle feste invernali e la forzata sedentarietà trascorsa al chiuso delle
nostre case, hanno appesantito il nostro fisico. Possiamo anche decidere di fare
una bella pulizia in casa! E’ utile purificare la nostra casa e il nostro corpo con il
fumo dell’incenso: vanno benissimo anche i bastoncini di incenso profumati che
si trovano ovunque in commercio. Scegliamo pure l’aroma che ci piace di più e
lasciamo che il fumo sottile pulisca i nostri corpi energetici.
Psicologicamente è il momento di purificare la nostra mente dai cattivi
pensieri e dai sentimenti inadeguati. Una bella pulizia mentale, che ci consenta
di fare entrare in noi la luce della Natura rinnovata e di partecipare al risveglio
del cosmo dalla lunga notte invernale.
Spiritualmente può essere utile la celebrazione di piccoli rituali legati ai
simboli della festa.
Un rituale molto semplice può essere quello di accendere una candela bianca
(colore di purificazione) dicendo “Accendo la fiamma di Brigit per illuminare il
cammino della mia vita”. Si mediti per un po’ di tempo sui significati della
festa: sul nostro bisogno di purificazione, sulla necessità di abbandonare cose e
aspetti della nostra vita che non ci piacciono più, sulle nuove cose che
vogliamo portare nelle nostre esistenze. Poi si porti la candela accesa nelle
varie stanze della nostra abitazione, facendo il giro degli ambienti in senso
orario (magicamente è la direzione propizia, che porta energia). Alla fine si
spenga la candela dicendo “Spengo la fiamma di Brigit per farla vivere in me” e
si visualizzi la luce della candela che entra in noi.
Se si vuole compiere qualcosa di più tradizionale, gli uomini possono uscire
dopo l’imbrunire della vigilia di Imbolc, per andare a raccogliere un dono per
Brigit (pietra, conchiglia, penna di uccello) da riportare in casa. Le donne
invece possono trascorrere la vigilia di Imbolc pulendo la casa e immaginando
di ramazzare via le energie morte dell’inverno: la Vecchia dell’Inverno è
cacciata fuori dall’uscio di casa con la scopa.Poi, sempre le donne, con rametti
raccolti in precedenza preparano un letto per Brigit dove depongono una
bambola fabbricata con spighe tenute da parte per l’occasione, e danno il
benvenuto alla Dea accendendo una candela bianca e meditando sulla nuova
vita che sta tornando. Anche gli uomini, ritornati in casa con il dono per Brigit
possono accendere una candela bianca e meditare sul ritorno della luce e della
buona stagione.
Un rituale invece più complesso, che possono eseguire tutti, consiste nel
procurarsi tre candele (sempre di colore bianco!), e disporle in un triangolo,
con la punta rivolta verso nord. Nel centro del triangolo così disposto si pone
un calice di acqua (simbolo della purificazione) o di latte (simbolo del
nutrimento della nuova vita). Dopo un breve rilassamento, seduti o in piedi, ci
si muove verso la candela a nord, la si accende e si dice “Signora dell’Inverno,
ti dico addio, la tua stagione è terminata”. Si visualizzi il gelido potere
dell’inverno che si allontana. Dopo avere sostato un po’, ci si sposta alla
candela di sud-est, la si accende e si dice “Signora della Primavera, ti offro un
caloroso benvenuto, la terra è il tuo letto”. Si visualizzi il gioioso potere della
primavera che si avvicina. Dopo un po’ si va alla candela di sud-ovest, la si
accende e si dice “Signora dell’Estate, presto io ti chiamerò e risveglierò il tuo
amante”. Si visualizzi il potere ancora lontano della bella stagione, desideroso
di nascere e pulsante di vita nel sottosuolo. Quando ci si sente pronti, si va al
centro del triangolo, si raccoglie il calice e si dice “Io bevo il potere della
Triplice Dea. Possa questo potere diffondersi su tutta la terra per segnare la
nascita della primavera”. Si beve dal calice e si immagina il potere che fluisce
in noi, attraverso di noi per risvegliare la Natura. A questo punto si può inserire
qualche usanza ricordata in precedenza, cioè la fabbricazione del letto di Brigit
o l’arsione delle decorazione vegetali delle feste invernali. Oppure si può
semplicemente concludere la cerimonia andando a ciascuna delle candele,
nell’ordine in cui sono state accese: si spengono dicendo mentalmente o ad
alta voce “Va’ fuoco e caccia l’inverno, riscalda la terra e risveglia la
primavera”. Ovviamente in tutti questi piccoli rituali le parole delle formule
possono essere adattate e se lo desideriamo, possiamo utilizzare brevi frasi
che noi stessi avremo composto, secondo le nostre capacità e la nostra
sensibilità.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)
lunedì 30 dicembre 2013
Pele
Pele
Pele nella mitologia hawaiiana è una divinità del fuoco, della luce, della danza, dei vulcani e della violenza. È quindi la dea della creazione ma anche della distruzione. La sua dimora è situata all'interno del vulcano Kilauea, uno dei vulcani più attivi e turbolenti della terra. Le sue lacrime hanno formato le piccole formazioni laviche che si possono rintracciare nei pressi del vulcano.
Caratteristiche
È nota sia per il suo temperamento focoso sia per la dolce passione con cui vive i suoi amori. I suoi fedeli hanno modo di assistere alle sue apparizioni durante le quali assume le sembianze di una donna affascinante e seducente, oppure di una terribile strega.
Racconti mitologici
Quando molto tempo fa, a Tahiti fu imposto un nuovo culto religioso che prevedeva il sacrificio di vite umane, alcuni non condivisero questa imposizione. I dissenzienti decisero di abbandonare l'arcipelago, guidati da Tamatoa e da suo fratello Teroro. Assieme a loro imbarcarono anche animali e piante da trapiantare nella terra di destinazione. Il loro viaggio fu lungo e difficoltoso. Quando ormai sembravano perduti, riuscirono a rintracciare un'isola vulcanica che denominarono Hawai'i. Restarono ammaliati dalla bellezza del monte che, però, dopo poco tempo, incominciò le sue eruzioni svelando i segreti del luogo. Per cercare di rabbonire la divinità dovettero utilizzare la pietra rossa, simboleggiante la dea.
(Wikipedia)
Freyja
Freyja
Freyja è una divinità della mitologia norrena, dapprima della stirpe dei Vanir, ma dopo la pace che concluse il conflitto fra le due stirpi divine, viene mandata dagli Æsir come ostaggio e diviene una di loro. Ha molte manifestazioni ed è considerata la dea dell'amore, della seduzione, della fertilità, della guerra e delle virtù profetiche. Freyja è chiamata anche Gefn, Hörn, Mardöll, Sýr, Valfreyja e Vanadís. È figlia di Njörðr e di Skaði, sorella di Freyr e moglie di Óðr, a causa del quale soffre le pene d'amore, dato che la lascia per intraprendere lunghi viaggi, costringendola ad infruttuosi inseguimenti, durante i quali si lascia andare a pianti di lacrime d'oro. Assieme al consorte, mette al mondo due splendide fanciulle, dai nomi emblematici: Görsimi e Hnoss, sinonimi di "tesoro". Loki la definisce una ninfomane, sempre pronta a saziare le sue voglie con qualunque tipo di partner, dai giganti agli elfi, ed in effetti il suo irrefrenabile desiderio è cantato nelle Mansöngr, letteralmente canzoni per uomini, liriche amorose, ufficialmente vietate, ma diffusissime nelle alcove. Ne parla l'Edda di Snorri che afferma che la dea ama i canti d'amore e incita gli innamorati ad invocarla; aggiunge anche che Freyja cavalca nei campi di battaglia ed ha diritto alla metà dei caduti che guiderà in battaglia durante il Ragnarök, mentre l'altra metà è del dio Odino. Alla fine della guerra fra i Vanir e gli Æsir va a vivere con il fratello fra questi ultimi. Dimora nel palazzo Sessrumnir, che significa "dalle tante sedie", che si trova in Folkvang, "campo di battaglia"; ne esce ogni giorno viaggiando su un carro scintillante tirato da due gatti (si presume di razza delle foreste norvegesi).
numerose peculiarità, Freyja annovera quella di esperta nelle arti magiche seiðr, con cui poteva realizzare divinazioni e incantesimi a distanza. Possiede la collana Brísingamen, forgiata dai nani che gliela donarono a patto che giacesse con loro. Il suo giorno sacro è il venerdì e ne rimane traccia nel termine inglese Friday e in quello tedesco Freitag. Il suo nome, Freyja in norreno, dal significato di Signora, si trova a volte scritto in altre forme (Freia, Freya). Freyja, nella mitologia norrena, viene a volte confusa con Frigga, dea Æsir moglie di Odino, con la quale condivide la salvaguardia della fertilità e della fecondità e il ruolo di protettrice delle partorienti.
Freyja nella cultura moderna
Il suo nome di Vanadís dà origine al nome del vanadio. L'elemento chimico fu così battezzato dal suo riscopritore, il chimico svedese Nils Gabriel Sefström.
(Wikipedia)